Welfare aziendale: una strategia vincente

Dallo scambio lavoro-retribuzione allo scambio lavoro-benessere. Intervista al direttore di Kong News Filippo Di Nardo, autore del libro "Il futuro del welfare è in azienda" (Guerini Next)

Il welfare aziendale è un tema di stretta attualità, soprattutto perché sembra offrire risposte concrete ed efficaci in un contesto dove il ruolo del pubblico appare deficitario. Quali sono gli sviluppi più interessanti dal suo punto di vista e quali prospettive si possono individuare in questo ambito per i prossimi anni?
Il futuro del nostro stato sociale evolverà sempre di più verso una prospettiva a due gambe: da un lato la gamba statale e dall’altra quella privata e del privato sociale. Quest’ultima avrà un ruolo integrativo e ovviamente non sostitutivo della funzione statale. In uno slogan, stiamo passando dal welfare state al welfare community. La spinta di fondo verso un modello integrato pubblico-privato viene da una duplice tendenza, ossia la crisi finanziaria del nostro stato sociale tradizionale e l’aumento dei bisogni sociali legati ai fenomeni di invecchiamento della popolazione, alla flessibilità del mercato del lavoro, e così via.

In questo scenario la leva del privato diventa fondamentale?
Certo, per garantire la crescente domanda di prestazioni sociali. Nell’ambito del privato il welfare aziendale rappresenta uno dei capitoli con maggiori prospettive di crescita anche perché si basa su una triplice convenienza: conviene allo Stato, appunto, perché permette di attivare risorse aggiuntive per rispondere ai bisogni sociali crescenti; conviene alle imprese, perché grazie alle agevolazioni fiscali e contributive ottimizzano i costi del lavoro, aumentano la produttività e migliorano il clima aziendale; conviene ai lavoratori, perché in un generale contesto di consentimento salariale possono aumentare il loro potere d’acquisto. In quest’ottica, quindi, il futuro del welfare sarà sempre di più pubblico-privato e il capitolo del welfare aziendale sarà uno principali driver. In prospettiva il welfare aziendale sarà anche uno dei principali ambiti di risposta ai nuovi bisogni nell’ambito dei servizi alla persona: si pensi alle badanti, colf e baby sitter che oggi sono coperti quasi esclusivamente dal welfare informale, ossia a totale, o quasi, carico delle famiglie e con un massiccio ricorso la lavoro nero. L’introduzione con la Legge di Stabilità 2016 del voucher per il pagamento dei servizi alla persona nell’ambito del welfare aziendale, totalmente esentasse fino a 2.000 euro rappresenta uno dei principali elementi di novità e di sviluppo del welfare azionale nei prossimi anni.

Molte aziende sembrano oggi inclini a entrare nella vita privata dei propri dipendenti, facendosi carico di alcuni problemi oggettivi legati al work-life balance, con confini sempre più sfumati: si può parlare di logiche win-win nel caso del company welfare?
Alla base di questo atteggiamento dell’azienda c’è un fondamentale cambio di paradigma: il tradizionale patto sul lavoro che si reggeva sullo scambio lavoro-salario sta evolvendo verso un nuovo patto basato sullo scambio lavoro-benessere. E la spinta forte verso la dimensione del benessere viene proprio da una logica win-win. La preoccupazione verso il benessere dei dipendenti e quindi verso tutte quelle iniziative volte ad aumentare la qualità della vita delle persone e dei loro familiari sia in termini di organizzazione del lavoro che di politiche retributive, conviene a tutti. Si tratta di una felice e virtuosa convergenza di interessi che crea i presupposti per uno sviluppo consisteste del welfare aziendale.

Quali sono le esperienze e le iniziative che più l’hanno colpita scrivendo questo libro e che possono essere definite emblematiche di questa “rivoluzione”?
La vera forza del welfare aziendale è la duttilità, nel senso che non esiste un modello unico di welfare aziendale ma esistono tanti piani di welfare differenziati che esprimono la cultura e il livello di relazioni tra azienda e dipendenti. Ci sono certamente accordi e aziende che su questo tema hanno fatto scuola, penso a Luxottica, a Tetrapack, Nestlè, ma anche aziende meno note da questo punto di vista, come la Micron per scempio, che ha di recente realizzato un accordo innovativo con i sindacati fondato su una molteplicità di servizi welfare ma anche su una rimodulazione dell’organizzazione di lavoro ispirata al work life balance e allo Smart working. È un fiorire di accordi che stanno rivoluzionando le politiche retributive e gli orari di lavoro. Ma in questa fase mi piace pensare anche alle tante iniziative che stanno partendo nelle Unioni industriali provinciali (Assolombarda, Confindustria Vicenza, Comfindustria Varese, solo per citarne qualcuna), per coinvolgere nei piani di welfare aziendale le PMI, attraverso piattaforme comuni, perché credo che proprio su questo terreno si giocherà lo sviluppo del welfare aziendale nel tessuto produttivo italiano, fatto notoriamente soprattutto di piccole e medie imprese. Molte unioni industriali territoriali stanno facendo rete per permettere anche alle piccole e media imprese di adottare piani di welfare aziendale e di poter usufruire dei vantaggi correlati, oggi appannaggio soprattutto delle grandi imprese.

Qual è il ruolo dei manager nell’ideare, applicare e promuovere una strategia di welfare aziendale?
Il ruolo dei manager è decisivo. L’implementazione dei piani di welfare in un’azienda dipende, quasi sempre, dalla livello culturale dei suoi manager e dalla reale conoscenza di tutti gli aspetti, sia normativi che fiscali, oltre che la consapevolezza dei vantaggi, espressi dal management dell’impresa in particolare dalla funzione HR. Mi è capitato di parlare con molti manager sui temi del welfare è ho trovato dirigenti preparatissimi e molto innovativi che hanno utilizzato al meglio la leva del welfare aziendale e qualcun altro, invece, meno preparato che non ha ancora permesso alla propria aziendale di cogliere tutte le opportunità della leva del welfare aziendale. La conoscenza fa la differenza in azienda, anche, anzi, soprattutto tra il management.

Esistono ancora ostacoli culturali?
Il welfare aziendale in questi ultimi anni è cresciuto soprattutto sulla spinta della necessità. In un generale contesto di crisi la leva salariale non si è potuta attivare per ovvie ragioni. A fronte di questa limitazione le aziende si sono progressivamente accorte che si poteva attivare un altro canale retributivo, molto più conveniente sul piano dei rapporto costi-benefici. La prima spinta, quindi, alla sua diffusione non è stata dettata tanto da un cambio culturale, ma soprattutto dalla necessità. Le resistenze culturali, invece, sono venute, in una prima fase, soprattuto da parte dei lavoratori e dei sindacati. Il fatto di convertite gli aumenti salariali cash in welfare aziendale veniva visto come un escamotage delle aziende per ridurre il costo del lavoro. Strada facendo, invece, anche i sindacati, seppur con diverse sfumature tra loro, si sono resi conto che il welfare aziendale conviene anche ai lavoratori. Oggi, possiamo dire, che il grosso della resistenza culturale che veniva soprattuto dai sindacati si è notevolmente affievolito fino ad arrivare ad un ruolo attivo di molte sigle sindacali che puntano decisamente sul welfare aziendale come elemento retributivo importante per i dipendenti e come terreno di azione e rappresentanza sindacale. Tutto questo, poi, si incrocia con evidenti cambiamenti culturali in atto nell’organizzazione del lavoro in cui il benessere dei dipendenti è sempre di più al centro delle strategie di valorizzazione delle risorse umane. Oggi, quindi, vedo un contesto culturale generale fortemente favorevole allo sviluppo del welfare aziendale in cui anche le Governo sta svolgendo la sua parte.

Cosa pensa dei progetti portati avanti dalle associazioni manageriali come Manageritalia, che da anni cerca di sensibilizzare i manager e non solo sui cambiamenti necessari da attuare nel mondo del lavoro?
Il ruolo delle associazioni di categoria per la sensibilizzazione dei manager e degli addetti ai lavoro in generale verso i temi del benessere e del welfare aziendale è fondamentale. Immagino che sia proprio nel ruolo delle rappresentanze stimolare e favorire una cultura innovativa tra i propri iscritti verso i temi di maggior prospettiva. In questo senso il progetto Produttività e Benessere di Manageritalia è di grande interesse e utilità laddove fa riferimento alla valorizzazione dei disponenti, ai concetti di meritocrazia e talento, collaborazione e condivisione con il fine ultimo di aumentare il benessere di tutti gli attori coinvolti e aumentare la produttività e la competitività del nostro sistema produttivo.

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