Il mondo del lavoro non coincide più solo con il nostro paese. L’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche la formazione, oggi avviene sia in un contesto nazionale ma, e sempre più di frequente, anche in una prospettiva internazionale.
I dati sembrano confermare una generale propensione dei giovani italiani a lasciare il paese, siano essi disoccupati (53%), studenti (59%) o giovani lavoratori (47%). Come spiegare questa spinta verso l’esterno?
Due sono le ragioni principali:
- un senso di sfiducia verso il proprio paese e le opportunità di lavoro che può offrire;
- un senso di fiducia verso i tratti tipici dell’italianità, prima fra tutte la creatività.
Puntare sui valori tipici del made in Italy come occasione per trovare lavoro all’estero non è però sinonimo di emigrazione. Quella che stiamo vivendo oggi, nel lavoro come nella vita, non si chiama più emigrazione, si chiama mobilità.
Quello che molti giovani italiani intraprendono, pronti a coglierne le opportunità, è un percorso di mobilità lavorativa e professionale fatto di più tappe e che non esclude il ritorno in patria.
La mobilità “innata” dei giovani lavoratori è un elemento distintivo con un peso molto importante nella valutazione dei curricula.
Esseri cittadini e lavoratori del mondo aiuta a mettere a punto quel bagaglio di soft skills molto apprezzate dalle aziende, tra cui le capacità relazionali e la gestione del confronto.
Tratto dal libro Nove mosse per il futuro, edito da Guerini Next