Nella situazione attuale, una Associazione come la nostra crede sia giusto prorogare il blocco dei licenziamenti per le aziende chiuse “per decreto”: pensiamo ai tanti lavoratori del turismo, della ristorazione, dello spettacolo, dei trasporti e dello sport, il cui futuro è tutt’oggi incerto. È necessario, poi, applicare per le aziende che lavorano in questi settori una serie di regole certe, per aiutarle a passare il periodo e riaprire con gradualità, tenendo bene in mente che l’incertezza in questi casi ha conseguenze drammatiche.
Per gli altri settori, invece, occorre salvaguardare la produttività e la competitività delle nostre imprese, investendo maggiormente sulla riqualificazione della forza lavoro.
«Dobbiamo limitare i licenziamenti per le aziende effettivamente in crisi, per le quali sarebbe troppo costoso insistere nel tenerle in vita e costringere le aziende tentate dalla ristrutturazione per ridurre costi ad approfittare per riqualificare la forza lavoro esistente» così il presidente Manageritalia Mario Mantovani. «Necessario sarà anche occuparci di chi sarà espulso definitivamente dal mondo del lavoro; il costo sarà elevato, ma potrebbe ridursi molto se renderemo finalmente efficiente il mercato del lavoro».
Considerate le sofferenze del Paese il nuovo Governo, una volta insediato, avrà come primi nodi da sciogliere le decisioni riguardanti il lavoro. Tra le altre, la scadenza dell’ultima proroga del blocco dei licenziamenti, il 31 marzo, è ormai alle porte.
Non si può arrivare impreparati a quella data, dobbiamo avere chiari gli strumenti per contenere l’impatto della riapertura ai licenziamenti, prevedendo, eventualmente, un’apertura selettiva rinviando il termine nei settori maggiormente colpiti dalla crisi e dare un’alternativa alle imprese che, per essere più competitive, intendono fare ristrutturazioni scegliendo la via più semplice: rinnovare la forza lavoro magari anche per contenere i costi.
Inutile sottolineare che la questione dei licenziamenti e della Cig Covid, sia legata a filo doppio al rilancio delle politiche attive.
La priorità, in questa lunga fase, è stata quella di dare a imprese e lavoratori la tranquillità e la flessibilità necessarie per portare avanti un riavvio estremamente difficile dopo la lunga emergenza Covid 19. L’inefficienza dei servizi al mercato del lavoro è purtroppo un prezzo altissimo da pagare e appare ovvio che ora occorra passare dall’emergenza a una riforma di sistema, al fine di superare quanto prima gli interventi tampone.
«Dobbiamo essere consapevoli che la ripresa deve necessariamente passare dalla maggiore competitività delle nostre imprese, alzare la produttività del sistema Paese e questo può essere fatto investendo sulla forza lavoro. Dobbiamo migliorare l’offerta del lavoro per migliorare il valore dei nostri prodotti e con esso le retribuzioni ora troppo basse anche per sostenere un pesantissimo welfare state» precisa Mantovani.
Purtroppo una valida strategia per affrontare i prossimi mesi ancora non c’è.
Perché ci sia occupazione sono necessarie alcune premesse di fondo. Tra queste, che funzioni il mercato del lavoro. Un mercato non può funzionare se le imprese non trovano le figure professionali più adatte e se non continuano a formare i lavoratori, per adattarsi al cambiamento, rispondere ai mutamenti della domanda ed evolversi. È stato calcolato che il 50% dei lavoratori italiani necessiterebbero di un reskilling per adeguare le proprie competenze e che un terzo della domanda di lavoro qualificato per le imprese oggi, in piena pandemia, è inevaso.
Le difficoltà del lavoro non dipendono quindi esclusivamente dalla carenza della domanda di occupati, derivante da una crisi congiunturale o di mercato, ma dipendono sempre di più dalla carenza dell’offerta, formativa e professionale. È questo il cambio di paradigma che si deve conoscere, governare e saper gestire.
Gli interventi da realizzare sono sostanzialmente già individuati dalla normativa. Quello che manca è la capacità di fare strategia, mettere insieme politiche, strumenti e istituzioni che spesso hanno agito in modo diviso e divisivo.
Se da un lato la gestione delle politiche passive affidate all’Inps sta mostrando tutti i suoi limiti, dall’altro preoccupa anche la gestione delle politiche attive da parte dell’Anpal e delle regioni. C’è un problema complessivo che riguarda l’inadeguatezza della governance affidata all’Anpal, con poteri e managerialità troppo limitati, sia delle infrastrutture del mercato del lavoro e sia della gestione Stato-regioni delle politiche attive.