Quale futuro per il welfare italiano?

A distanza di 14 anni dall’uscita del Libro bianco sul futuro del modello sociale, che traccia un disegno per un welfare delle opportunità e responsabilità basato sulla centralità della persona e sulle sue proiezioni, quindi sul ruolo della famiglia come attore sociale e su quello delle comunità intermedie, facciamo il punto con Maurizio Sacconi, che nel 2009 ne curò l’edizione come ministro della Salute, del Lavoro e delle Politiche sociali

Parlando del Libro bianco, quanto del modello di protezione sociale da lei auspicato è stato attuato?
«In verità non molto, perché il grado di adesione ai fondi complementari di fonte contrattuale è ancora molto basso e questi stessi non sono evoluti verso le prestazioni di long term care, che corrispondono a bisogni fondamentali delle famiglie. Vi sono poi propensioni stataliste nel Pnrr. Ad esempio, i servizi sociosanitari territoriali dovrebbero evolvere, sussidiariamente, verso obbligatori studi associati (e attrezzati) dei medici di medicina generale e non verso case di comunità facendoli dipendenti».

Quale ruolo hanno oggi i soggetti istituzionali e le parti sociali?
«Assistiamo a un ritorno dei partiti, anche se la giusta riproposizione delle identità si traduce in conflitti esasperati. Vedo invece un indebolimento di molti corpi sociali e della loro funzione di rappresentanza. La soluzione non sta nelle leggi neocorporative, ma nella capacità di rigenerazione interna valorizzando la loro funzione sindacale, anche in termini di servizi».

Quali spazi devono avere il welfare pubblico, quello contrattuale, aziendale e residuo (ma fondamentale) familiare?
«Rimane ovviamente fondamentale la dimensione pubblica, che tuttavia richiede forti razionalizzazioni. Importante la funzione dei contratti nazionali, che nel farsi cornice devono ancor più dedicarsi al welfare complementare. Essenziale per la qualità di vita delle persone fragili sarà sempre più l’assistenza domiciliare, se fortemente sostenuta dal pubblico, ripensando anche la casa di abitazione e utilizzando la telemedicina».

Cosa deve fare lo Stato per favorire il welfare privato, contrattuale, aziendale e individuale?
«Lo Stato deve riconoscerne la grande utilità sociale, adottando norme di sostegno e integrandolo con i propri servizi. Lo Stato ha sempre il compito di “scatenare” e non sostituire la vitalità sociale».

Il contratto dirigenti terziario da sempre prevede un welfare integrativo che nel tempo ha aumentato le sue prestazioni sanitarie e previdenziali e ne ha aggiunte altre in ambito copertura rischi, formazione e politiche attive per la ricollocazione manageriale. Cosa pensa di questa innovazione?
«Manageritalia, ottenendo questi risultati, ha sempre confermato la sua utilità verso gli associati e la categoria. È significativa la volontà di promuovere politiche di ricollocamento nel momento in cui occorre una pluralità di intermediari (anche associazioni) che assistano la continua inclusione delle persone nel mercato del lavoro con formazione personalizzata».

Cosa pensa invece della recente introduzione, nel contratto dirigenti, di un’ulteriore spinta all’utilizzo del welfare aziendale, con la destinazione di una somma fissa e uguale per tutti alla Piattaforma welfare dirigenti terziario?
«La destinazione dei datori di lavoro alla Piattaforma welfare dirigenti terziario di 1.000 euro annui, spendibili in beni e servizi, si aggiunge a possibili sistemi di flexible benefits già presenti in azienda. Oltre alla possibilità di versamenti ulteriori alla Piattaforma tramite un regolamento aziendale. Sono novità importanti in sé e per il concorso allo sviluppo del ruolo dell’impresa nell’evoluzione del nostro welfare». 



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