Lavoro e maternità: alcune evidenze

Dall’ultimo numero di Labour Issues - l’Osservatorio sul mercato del lavoro che Cida realizza in collaborazione con Adapt, una fotografia su donne e lavoro. Alcune dimensioni qualitative

Analizzando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro retribuito non è possibile trattare il tema ignorando il ruolo che hanno i carichi di lavoro domestico e di cura, che ancora sono per la maggior parte svolti dalla componente femminile nei nuclei familiari. In particolare, prestando attenzione al tasso di occupazione femminile per fascia d’età e per numero di figli si rileva anzitutto che, per ogni classe d’età, un aumento del numero dei figli determina drammatica mente una diminuzione del tasso di occupazione. È la classe d’età 25-34 anni che in presenza di 2 figli o 3 e più figli riporta i più bassi tassi di occupazione.

Le donne tra i 25 e i 34 anni in presenza di 1 figlio hanno un tasso di occupazione pari al 49,9%, con 2 figli del 35,8% e con 3 e più figli il tasso si riduce al 21,5%. La presenza di 3 e più figli fa comunque registrare un tasso di occupazione pari al 53,1% per le donne tra i 45-54 anni.

Tale situazione è stata anche confermata nel secondo rapporto BES – Benessere equo e sostenibile- dell’Istat, nel quale viene specificato che «in Italia, lo svantaggio delle madri occupate è evidente.

La presenza di figli, soprattutto se in età prescolare, ha un effetto non trascurabile sulla partecipazione della donna al mercato del lavoro. Considerando le donne tra i 25 e i 49 anni, nel secondo trimestre 2020, il tasso di occupazione passa dal 71,9% per le donne senza figli al 53,4% per quelle che ne hanno almeno uno di età inferiore ai 6 anni. Il rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli (moltiplicato per 100) è inferiore a 100 (valore che si avrebbe nel caso di uguaglianza tra i due tassi) di circa un 25%, 1 punto più basso rispetto a quello del secondo trimestre dell’anno precedente».

Se per le donne l’esistenza di uno o più figli ha un impatto diretto sulla riduzione del tasso di occupazione, la stessa dinamica non è rilevabile per i maschi.

Infatti, l’aumento del numero di figli non determina una riduzione del tasso di occupazione maschile. Al contrario si registra che il tasso di occupazione maschile è più alto tra coloro che hanno 2 figli (85,6%) o 3 e più figli (82,9%) rispetto a chi ne ha soltanto 1. 

Le medesime osservazioni possono essere fatte anche prestando attenzione al tasso di attività maschile e femminile che mostra come un maggiore numero di figli determini un abbassamento del tasso di attività femminile. Il tasso di attività delle donne con 1 figlio è pari al 61,30%, con 2 figli è del 60,10% e con 3 e più figli scende al 48,80%. Diversamente, il tasso di attività maschile mostra un andamento tendenzialmente inverso. Si attesta all’85,20% in presenza di 1 figlio, sale all’89,80% in presenza di 2 figli e riscende all’88,70% con 3 o più figli.

Si registra una costante: in tutti i Paesi considerati c’è una percentuale maggiore di donne, rispetto agli uomini, che si occupa della cura dei figli. Nel 2016, nell’Unione Europea, il 93% delle donne (con figli sotto i 18 anni) si prendono cura quotidianamente dei propri figli. La percentuale di uomini che si occupa di questa attività scende al 69%. Le differenze più ampie tra donne e uomini si registrano in Grecia (95% delle donne contro il 53% degli uomini) e in Spagna (95% delle donne contro il 68% degli uomini). Anche nel nostro paese lo scarto tra donne e uomini è molto ampio: 24 punti percentuali (97% delle donne contro il 73% degli uomini).

Le stesse osservazioni possono essere estese anche per quanto riguarda il divario di genere esistente nelle attività connesse alla cura della casa. Si può in questo caso notare come le differenze tra uomini e donne siano amplificate per tutti i paesi considerati. Gli uomini si dedicano in misura ancora minore, rispetto alla cura dei figli, alle attività domestiche e alla cucina. Il paese che riporta il più ampio gap è la Grecia con l’85% delle donne contro il 16% degli uomini. A seguire è l’Italia che presenta un divario di 61 punti percentuali (81% delle donne contro il 20% degli uomini). 

Le rielaborazioni presenti nel citato report di Save the children, partendo dai dati diffusi dall’Ispettorato Nazionale del lavoro (pubblicati nel 2020) e riguardanti le convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, mostrano come le dimissioni volontarie e risoluzioni dei rapporti di lavoro di lavoratrici e lavoratori con figli tra gli 0 e i 3 anni, riguardano il 77,4% delle donne e il 22,6% degli uomini. Il dato sulle dimissioni volontarie, il più ampio, coinvolge 30.911 madri e 9.110 padri.


Il dato deve essere letto in relazione alle difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e la cura dei figli. 18.718 madri segnalano che la motivazione delle richieste di recesso è connessa alla difficoltà di conciliare il lavoro con la cura della prole per ragioni legate ai servizi di cura. Solo 346 padri forniscono questa motivazione. Sono poi 9.794 madri a segnalare la difficoltà a conciliare il lavoro con la cura della prole, per ragioni legate all’azienda di lavoro. 

Vedi qui l’intero report LAVORO FEMMINILE: rivedere i modelli organizzativi per superare i pregiudizi.








LEGGI ANCHE: Un Fiocco in Azienda, il progetto di Manageritalia per aiutare genitori e aziende ad affrontare serenamente la maternità e facilitare il rientro in azienda delle mamme.

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