Non esiste oggi settore produttivo che possa considerarsi immune dalle grandi transizioni in corso. A livello globale e locale, le imprese e i lavoratori si confrontano quotidianamente con l’impatto profondo di tre trasformazioni strutturali: tecnologica-digitale, ambientale e demografica. La stampa internazionale, come il New York Times, parla apertamente di “silver tsunami” riferendosi all’Italia, indicando un cambiamento epocale nella composizione anagrafica della forza lavoro.
Ma le tecnologie non sono il cambiamento: sono abilitatori, acceleratori. La vera trasformazione avviene all’interno delle organizzazioni, nei modelli culturali, nella leadership, nel significato attribuito al lavoro, nella capacità di adottare innovazione in modo consapevole ed esteso. In questo scenario, il ruolo dei manager e di un’organizzazione di rappresentanza si confermano importanti nell’accompagnare questa rivoluzione su più fronti.
È stato questo il cuore del confronto durante la tavola rotonda, promossa da Manageritalia nella parte pubblica dell’assemblea nazionale, il 6 giugno a Milano, moderata da Massimo Mascini, direttore del Diario del lavoro, con Marco Bentivogli, esperto di politiche di innovazione industriale e lavoro, Chiara Bisconti, consulente aziendale ed esperta di lavoro agile, insieme ai vicepresidenti di Manageritalia Monica Nolo e Simone Pizzoglio.
L’IA sfida la leadership manageriale
Bentivogli ha ricordato come la rivoluzione tecnologica in atto non riguardi più soltanto le mansioni ripetitive e manuali: «Digitale e robotica hanno inizialmente eroso le attività più routinarie, valorizzando quelle a contenuto cognitivo. Ma oggi ci stiamo accorgendo che anche nel terziario avanzato e nei ruoli manageriali l’impatto dell’IA si fa sentire. I ruoli messi più in discussione sono proprio quelli manageriali».
Non è una novità assoluta. Già alla fine degli anni 80, lo studio so Hans Moravec osservava come l’intelligenza artificiale fosse sorprendentemente più efficace nei compiti che richiedono analisi complesse rispetto a quelli senso-motori. A distanza di decenni, la realtà conferma quelle intuizioni: è più semplice per l’IA analizzare bilanci o generare report che svolgere attività manuali che richiedono tatto, equilibrio o empatia.
Secondo l’ultima indagine Ocse (dicembre 2023), i profili a media o bassa qualificazione risultano oggi più tutelati nelle aziende che adottano in modo strutturato l’intelligenza artificiale, proprio perché i ruoli più esposti sono quelli che svolgono compiti cognitivi. Questo non deve generare la classica “tecnofobia all’italiana”: la risposta non può essere la rinuncia all’innovazione, ma un’adozione consapevole e ben gestita.
Bentivogli mette in guardia contro derive estreme, come quella sperimentata da alcune multinazionali, tra cui Duolingo e Klarna, per fare un esempio eclatante, che hanno introdotto policy “AI first” nella selezione dei profili manageriali. La logica? Puoi assumere un manager solo se le sue attività non sono già svolte in modo efficace da un’intelligenza artificiale. Tuttavia, queste aziende stanno attraversando evidenti difficoltà. La strada giusta non è sostituire, ma accompagnare il cambiamento, ridisegnando ruoli, modelli e culture.
Tempo e spazio: il lavoro agile cambia le coordinate
Il lavoro agile è il modo di lavorare del futuro e l’Italia ci arriverà senza se e senza ma. Ne è convinta Chiara Bisconti, da anni voce autorevole sul tema: «Quando parliamo di lavoro agile dobbiamo sapere a cosa ci riferiamo. Non si tratta di scegliere tra casa e ufficio. La legge italiana del 2017 definisce lo smart working come una modalità flessibile di organizzazione che consente di svolgere la propria attività alternando l’ufficio ad altri luoghi, con flessibilità anche nei tempi».
Bisconti sottolinea come questa trasformazione sia tanto concreta quanto complessa: «Il lavoro agile è così poco applicato perché rappresenta una vera rivoluzione copernicana. Cambia il nostro rapporto con il tempo, la risorsa più scarsa che abbiamo. Il suo scorrere è la nostra vita. Quando mettiamo in discussione la gestione del tempo sul lavoro, stiamo in realtà parlando della nostra esistenza». La conseguenza è che si afferma un nuovo paradigma: il “quando lavorare” non è più gestito unicamente dal datore di lavoro, ma condiviso. Se cambia il tempo, cambia anche lo spazio. «Gli uffici oggi devono essere luoghi attrattivi, non obbligatori. Se voglio che un collaboratore venga in sede, devo offrirgli un ambiente stimolante. Alcune aziende avanzate gestiscono gli orari non più in modo rigido ma progettuale, settimana per settimana».
«Il sindacato e i manager – sottolinea poi Bisconti – devono sempre più comprendere questa priorità e lavorare di conseguenza su rappresentanza e contratti di lavoro i primi e organizzazione del lavoro i secondi. Il sindacato ha l’opportunità di intercettare, orientare e ripensare questo cambiamento e facilitare l’introduzione di nuovi modelli organizzativi. Compito che spetta ai manager e che ritengo anche particolarmente stimolante».
Rappresentanza evolutiva: dai bisogni alle proposte
«Fare rappresentanza significa capire chi si rappresenta» ha affermato con chiarezza Monica Nolo. «Se Manageritalia rappresenta dirigenti, quadri e alte professionalità, deve farlo con contenuti e con una postura coerente. I manager non portano solo istanze, ma responsabilità: hanno il compito di creare valore per l’intero Paese».
Questa visione amplia gli orizzonti del sindacato: «Non ci limitiamo a pochi temi: lavoriamo su almeno 15 fronti, dal fisco al welfare, dall’etica alla digitalizzazione, fino alla responsabilità sociale d’impresa. Il nostro approccio non è rivendicativo ma propositivo. Proponiamo un sistema fiscale basato sull’equa partecipazione alla spesa pubblica e chiediamo la creazione di un polo unico per le politiche attive, per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di competenze manageriali».
E ancora: «Il lavoro in Italia richiede salari e produttività più alti, puntando sul rafforzamento delle pmi quale elemento essenziale del nostro sistema economico. Serve una visione strategica, innovazione e una gestione efficace».
Nolo insiste sul ruolo dei delegati e della base associativa: «La voce di Manageritalia si costruisce ascoltando i territori. Non può esserci forza nella rappresentanza senza consenso reale. E non ci possiamo permettere un sindacato a bassa intensità. In ottant’anni abbiamo costruito un motore straordinario, ma dobbiamo mantenerlo vivo attraverso vicinanza, ascolto e capacità di intercettare i bisogni di cinque generazioni diverse».
Comunicare per incidere
La comunicazione è un altro dei pilastri della trasformazione. Simone Pizzoglio sottolinea come oggi serva una strategia capace di rompere il rumore di fondo e allo stesso tempo ascoltare: «La comunicazione strategica si riferisce a un organismo vivo, osmotico. Oggi ci confrontiamo con difficoltà oggettive: un mondo che chiede messaggi brevi e superficiali. Manageritalia deve riuscire a trasmettere contenuti che incidano, che mostrino la nostra capacità di generare cambiamento».
«La nostra Associazione – prosegue Pizzoglio – deve anche sviluppare una comunicazione capace di accompagnare il cambiamento nella cultura del lavoro e della società, supportando e facilitando in questo modo la trasformazione che i manager devono gestire all’interno delle loro aziende nell’organizzazione e nel senso del lavoro. Anche per questo abbiamo sviluppato un Piano operativo che mette al centro tutte le sfide in corso nel lavoro e nell’economia. Ascolteremo i manager e lavoreremo insieme su tutti i territori per cambiare la cultura e facilitare il loro ruolo di attori principali in questo processo. Abbiamo un obiettivo duplice: parlare verso l’esterno e ascoltare l’interno della nostra base associativa».
Ricostruire senso, creare comunità
Il confronto sulla ricerca di purpose ha toccato punti oggi imprescindibili. Il mondo del sindacato – spiega Bentivogli – deve avere la capacità di cavalcare e orientare l’innovazione e ricostruire il senso di appartenenza e di comunità, rinsaldando il patto intergenerazionale tra le persone che lavorano nelle stesse realtà aziendali». Oggi abbiamo il dovere come manager di ridare significato alle relazioni e alla qualità del lavoro in ogni ambito in cui si crea rappresentanza, in un mondo del lavoro che sta vivendo le profonde evoluzioni dovute alla transizione tecnologica».
Bisconti aggiunge un tassello importante parlando di genitorialità: «Dobbiamo smettere di considerare la maternità come un incidente di percorso. Serve una reale parità tra madre e padre, stessi diritti e stessi doveri. È giusto portare avanti battaglie che ci aiutino a costruire un nuovo valore del lavoro e della vita». In un mondo del lavoro attraversato da transizioni senza precedenti, la sfida di Manageritalia è dunque quella di essere protagonista del cambiamento. Accompagnare, non subire. Proporre, non rivendicare. Ricostruire senso, valorizzare il tempo e creare comunità. Perché, oggi più che mai, rappresentare significa progettare il futuro insieme a chi quel futuro lo costruisce ogni giorno: i manager.
Foto in alto: da sinistra, Massimo Mascini, direttore del Diario del lavoro, Chiara Bisconti, consulente aziendale ed esperta di lavoro agile, Marco Bentivogli, esperto di politiche di innovazione industriale e lavoro, Monica Nolo e Simone Pizzoglio, vicepresidenti di Manageritalia.