La qualità dell’aria negli ambienti di lavoro

Azioni finalizzate al controllo e al miglioramento della Iaq (Indoor air quality) vengono solitamente effettuate non, come sarebbe auspicabile, con finalità preventive ma piuttosto di risanamento, ossia in seguito a segnalazioni di effetti negativi già verificatisi sul lavoratore

È sempre più condivisa l’importanza di adeguare e riprogettare l’ambiente di lavoro, soprattutto se luogo di costante e prolungata permanenza quotidiana, anche in funzione del benessere psicofisico dei frequentatori. Trascorrere intense giornate lavorative in ambienti chiusi caratterizzati da una buona qualità dell’aria, ad esempio, predispone al raggiungimento di elevati livelli di produttività e garantisce condizioni di saute e di sicurezza igienica. Il dato è
supportato dall’Organizzazione mondiale della sanità e da numerose direttive comunitarie; in Italia è normato dal
decreto legislativo 81/08, il cui titolo X
(artt. 266-286) riguarda nello specifico
il rischio da agenti biologici, fornendo
strumenti per la sua valutazione e prescrizioni per adeguate misure a tutela
dei lavoratori.
A esclusione delle attività professionali
che si svolgono in condizioni di rischio
biologico specifico, in contesti lavorativi a rischio generico la problematica è
spesso poco considerata o sottostimata.

Ne consegue che azioni finalizzate
al controllo e al miglioramento della Iaq
(Indoor air quality) vengono solitamente effettuate non, come sarebbe auspicabile, con finalità preventive ma piuttosto di risanamento, ossia in seguito a
segnalazioni di effetti negativi già verificatisi sul lavoratore. Come esempio
estremo di un tale danno ci sono importanti patologie originate da agenti biologici correlabili a una bassa Iaq, inquadrate come “malattie-infortunio” sulla
base dell’assimilazione dei concetti di
“causa virulenta” e “causa violenta”.
Le spore aerodiffuse dei microfunghi
filamentosi (comunemente noti come
muffe) spesso rappresentano la componente biologica più determinante per il
peggioramento della Iaq.

Ubiquitarie
nell’atmosfera, sono inevitabilmente
veicolate negli indoor attraverso flussi
d’aria e spostamenti di persone e di
materiali. Lì giunte, possono velocemente insediarsi e moltiplicarsi, qualora
le condizioni ambientali siano favorevoli. E tali condizioni non sono da considerarsi di rara manifestazione: inadeguato microclima, scarsa manutenzione degli impianti di ventilazione forzata dell’aria, scorrette azioni di pulizia delle
superfici lavorative e calpestabili. A ciò si possono aggiungere insospettabili sorgenti indoor in grado di amplificare le spore aerodisperse o di ampliarne la diversità: accumuli cartacei polverosi, fenomeni di umidità o condensa localizzata, residui di substrati organici,
piante ornamentali trascurate. 

I sintomi
Quali sono i più frequenti sintomi indicativi di una contaminazione da
spore fungine nell’aria di un ufficio? Irritazioni nasali, oculari e faringee, cefalea o vertigini, malessere generalizzato e debolezza, difficoltà di concentrazione sono i sintomi più blandi ma comunque fastidiosi, tendenti a svanire allontanandosi dall’indoor contaminato. Nausea, esacerbazione di forme allergiche e asmatiche preesistenti, forte senso di soffocamento e difficoltà di respiro, rush cutanei, emorragie sono i sintomi più intensi da non sottovalutare, segnale di una situazione dell’aria indoor probabilmente già compromessa. Non si trascuri che l’effetto può essere potenziato qualora il lavoratore si trovi in una fase di stress acuto o di debolezza immunitaria, ad esempio causata da un recente stato patologico o da una cura farmacologica. La valutazione della componente fungina aerodispersa è attuabile mediante
un monitoraggio dell’aria appositamente organizzato per catturare, conteggiare e caratterizzare anche le più microscopiche e insospettabili spore. È un’azione consigliabile; può tutelare la nostra salute e favorire il nostro grado di soddisfazione e di percezione dello “stare bene” nell’ambiente di lavoro. 

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