Nel primo quarto del nostro secolo il lavoro, concetto che racchiude significati sociali, economici e tecnologici difficilmente districabili, è un candidato eccellente all’innesco di una trasformazione irreversibile della società. Una trasformazione che potrebbe chiudere un’era, quella in cui il concetto ancora contemporaneo di lavoro si è strutturato e ha preso un ruolo centrale nel modello economico che è corretto definire capital-lavoristico.
La forza dominante si chiama trasformazione tecnologica digitale: dopo aver colonizzato e integrato quasi tutti gli ambiti di sviluppo delle tecnologie precedenti il cerchio si stringe e ha ormai raggiunto l’ambito del lavoro umano. Prevale l’idea che il cambiamento guidato dalla tecnologia sia ineluttabile e si sviluppi in modo lineare, dividendo il mondo tra sostenitori entusiasti, strenui resistenti e fautori dell’adattamento.
La storia, invece, non è già scritta. Se guardiamo l’evoluzione organizzativa degli ultimi decenni scopriamo che la specializzazione – consentendo la diffusione dei processi in outsourcing – e lo sviluppo degli ecosistemi organizzativi – rendendo marginale l’analisi della singola entità legale – hanno impatti sulla natura del lavoro umano almeno paragonabili a quelli delle tecnologie. Le modalità d’apprendimento si stanno rapidamente trasformando, ma i cambiamenti più profondi non avvengono nelle business school, nelle aziende e tanto meno nelle scuole; l’apprendimento esperienziale passa attraverso lo smartphone e si alimenta con i videogame.
Dove invece il quadro concettuale appare bloccato è l’assetto normativo, anche a livello globale. Si profila una grande divergenza tra lavoro e società, una pericolosa segmentazione degli ambiti che rischia di renderli non più comunicanti; le organizzazioni più sviluppate non hanno interesse all’evoluzione normativa, sono più attratte dall’idea di rendere le norme irrilevanti. Il rischio è un futuro d’irrilevanza del ruolo sociale del lavoro. Quando movimenti politici che si qualificano come innovatori derubricano l’occupazione a mera necessità di apporto economico e sognano di liberarsene, percepiamo la distanza già profonda tra le rive del canyon.
Il futuro del lavoro umano, invece, è tutto da scrivere. Per coglierne gli sviluppi profondi e individuare nuove strategie è necessario abbandonare la visione lineare e cogliere la struttura concentrica del tempo, legando passato e futuro più prossimi e recenti, per poi allargare lo sguardo ai cambiamenti strutturali, fortemente condizionati dalla demografia, dall’economia e dalla geopolitica.
Futuro immediato
Nell’orizzonte più vicino (3-5 anni) è urgente operare una trasformazione normativa e organizzativa centrata sul concetto di “lavoro organizzato”, superando la distinzione tra lavoro dipendente e autonomo. La sfida concettuale e pratica consiste nell’estendere le tutele, oggi tipiche del lavoro dipendente, a molte professioni e attività oggi definite come autonome, preservandone gli aspetti di flessibilità e di decentralizzazione organizzativa, di cui beneficerebbero le aziende e anche i lavoratori oggi definiti come dipendenti.
Nel medesimo orizzonte temporale occorre uno sforzo straordinario per preservare, rendendolo più efficiente, il sistema di welfare di tipo europeo, fonte di stabilità e coesione sociale, specialmente nelle sue declinazioni sussidiarie, premessa fondamentale per evitare che le discontinuità indotte dalle trasformazioni tecnologiche abbiano ricadute troppo pesanti sulle persone. Ma l’impegno più rilevante e urgente è quello di sviluppo delle competenze e delle capacità umane basato su modelli d’apprendimento continuo, teorico ed esperienziale, integrato e coerente dagli anni della scuola fino al termine del periodo lavorativo.
Futuro contemporaneo
Nell’orizzonte del futuro contemporaneo (i prossimi 50-60 anni) inizierà molto probabilmente l’Era Robotica, portatrice di grandi aspettative e grandi rischi: si potrebbe infatti materializzare una crisi strutturale del lavoro e della società (la Grande segregazione). Da un lato un mondo cibernetico, guidato dalle intelligenze artificiali, dall’altro un livello direzionale, riservato a pochi talenti, al quale tuttavia non si accede più dal basso. Il blocco dell’ascensore sociale potrebbe condurre a situazioni di segregazione sociale, accentuati da squilibri territoriali già oggi emergenti. Il dibattito sulle politiche economiche atte a scongiurare questi rischi è acceso: le varie forme di “reddito di cittadinanza”, specialmente quelle che compensano le persone per il non-lavoro, diminuiscono o aumentano i rischi? Oggi sono viste da molti come l’inevitabile soluzione, ma nel tempo potrebbero rivelarsi generatrici di conflitti ingestibili.
Occorre quindi prepararsi a un percorso lungo, complesso, oggi scarsamente prevedibile, con rallentamenti e accelerazioni, tra difficoltà che parranno insormontabili e soluzioni che oggi non esistono. La Grande segregazione si potrà evitare, ma occorre preparare rapidamente gli antidoti:
1. la riflessione sul lavoro deve rimanere al centro dell’attenzione politica ed economica, attirando le forze intellettuali e operative migliori, combattendo l’ideologia che vede il lavoro umano marginalizzato, reso inutile dallo sviluppo tecnologico;
2. la struttura di remunerazione del lavoro deve continuare a evolversi, eliminando del tutto gli elementi penalizzanti, ma soprattutto iniziando ad allentare la rilevanza dell’aspetto monetario rispetto a quello d’accesso a beni e servizi. Lo scambio di lavoro contro denaro genera inoltre una serie di inefficienze alle quali la finanza fornisce solo risposte parziali, insieme a notevoli distorsioni;
3. il lavoro deve incorporare una serie di diritti che diano sostanza a un vero e proprio contratto sociale: sicurezza, salute, conoscenza, inclusione sociale, accesso a beni e servizi non monetari, welfare, mobilità territoriale, cura dei bambini e dei deboli, non discriminazione;
4. attraverso lo sviluppo delle organizzazioni del terzo settore il peso dello stato nel welfare, nella gestione di servizi pubblici, nelle attività di protezione ambientale e sociale, deve ridursi, parallelamente al fabbisogno fiscale oggi destinato al suo finanziamento.
Futuro oltre
Nel futuro ancora più lontano potrebbe emergere un nuovo paradigma economico basato sull’accesso a beni e servizi, non più sullo scambio. Una trasformazione epocale, indotta da evoluzioni tecnologiche e umane al cui centro sta sempre il lavoro. Una suggestione che oggi ci appare confusa, relegata in un futuro indefinito. Ma a volte il tempo, che sbagliando consideriamo lineare, gioca qualche scherzo e ci proietta in modo rapidissimo in una diversa dimensione.