Il lavoro ha un futuro, anzi tre

Con gli spunti di questo articolo Manageritalia vuole aprire una discussione tra chi si occupa a vario titolo di lavoro, dando vita a un luogo di confronto ed elaborazione. Sono tratti dal libro Il lavoro ha un futuro, anzi tre (Guerini Next) del nostro vicepresidente Mario Mantovani, in uscita in questi giorni nelle librerie, che sviluppa analisi originali e idee innovative basate sulla sua esperienza, sull’osservazione dei cambiamenti in atto e sulle competenze della nostra Organizzazione. I vostri contributi saranno graditi, raccolti e sviluppati, valorizzandoli in una serie di iniziative che seguiranno il lancio del libro

Nel primo quarto del nostro secolo il lavoro, concetto che racchiude significati sociali, economici e tecnologici difficilmente districabili, è un candidato eccellente all’innesco di una trasformazione irreversibile della società. Una trasformazione che potrebbe chiudere un’era, quella in cui il concetto ancora contemporaneo di lavoro si è strutturato e ha preso un ruolo centrale nel modello economico che è corretto definire capital-lavoristico.

La forza dominante si chiama trasformazione tecnologica digitale: dopo aver colonizzato e integrato quasi tutti gli ambiti di sviluppo delle tecnologie precedenti il cerchio si stringe e ha ormai raggiunto l’ambito del lavoro umano. Prevale l’idea che il cambiamento guidato dalla tecnologia sia ineluttabile e si sviluppi in modo lineare, dividendo il mondo tra sostenitori entusiasti, strenui resistenti e fautori dell’adattamento.

La storia, invece, non è già scritta. Se guardiamo l’evoluzione organizzativa degli ultimi decenni scopriamo che la specializzazione – consentendo la diffusione dei processi in outsourcing – e lo sviluppo degli ecosistemi organizzativi – rendendo marginale l’analisi della singola entità legale – hanno impatti sulla natura del lavoro umano almeno paragonabili a quelli delle tecnologie. Le modalità d’apprendimento si stanno rapidamente trasformando, ma i cambiamenti più profondi non avvengono nelle business school, nelle aziende e tanto meno nelle scuole; l’apprendimento esperienziale passa attraverso lo smartphone e si alimenta con i videogame.

Dove invece il quadro concettuale appare bloccato è l’assetto normativo, anche a livello globale. Si profila una grande divergenza tra lavoro e società, una pericolosa segmentazione degli ambiti che rischia di renderli non più comunicanti; le organizzazioni più sviluppate non hanno interesse all’evoluzione normativa, sono più attratte dall’idea di rendere le norme irrilevanti. Il rischio è un futuro d’irrilevanza del ruolo sociale del lavoro. Quando movimenti politici che si qualificano come innovatori derubricano l’occupazione a mera necessità di apporto economico e sognano di liberarsene, percepiamo la distanza già profonda tra le rive del canyon.

Il futuro del lavoro umano, invece, è tutto da scrivere. Per coglierne gli sviluppi profondi e individuare nuove strategie è necessario abbandonare la visione lineare e cogliere la struttura concentrica del tempo, legando passato e futuro più prossimi e recenti, per poi allargare lo sguardo ai cambiamenti strutturali, fortemente condizionati dalla demografia, dall’economia e dalla geopolitica.

Futuro immediato

Nell’orizzonte più vicino (3-5 anni) è urgente operare una trasformazione normativa e organizzativa centrata sul concetto di “lavoro organizzato”, superando la distinzione tra lavoro dipendente e autonomo. La sfida concettuale e pratica consiste nell’estendere le tutele, oggi tipiche del lavoro dipendente, a molte professioni e attività oggi definite come autonome, preservandone gli aspetti di flessibilità e di decentralizzazione organizzativa, di cui beneficerebbero le aziende e anche i lavoratori oggi definiti come dipendenti.

Nel medesimo orizzonte temporale occorre uno sforzo straordinario per preservare, rendendolo più efficiente, il sistema di welfare di tipo europeo, fonte di stabilità e coesione sociale, specialmente nelle sue declinazioni sussidiarie, premessa fondamentale per evitare che le discontinuità indotte dalle trasformazioni tecnologiche abbiano ricadute troppo pesanti sulle persone. Ma l’impegno più rilevante e urgente è quello di sviluppo delle competenze e delle capacità umane basato su modelli d’apprendimento continuo, teorico ed esperienziale, integrato e coerente dagli anni della scuola fino al termine del periodo lavorativo.

Futuro contemporaneo

Nell’orizzonte del futuro contemporaneo (i prossimi 50-60 anni) inizierà molto probabilmente l’Era Robotica, portatrice di grandi aspettative e grandi rischi: si potrebbe infatti materializzare una crisi strutturale del lavoro e della società (la Grande segregazione). Da un lato un mondo cibernetico, guidato dalle intelligenze artificiali, dall’altro un livello direzionale, riservato a pochi talenti, al quale tuttavia non si accede più dal basso. Il blocco dell’ascensore sociale potrebbe condurre a situazioni di segregazione sociale, accentuati da squilibri territoriali già oggi emergenti. Il dibattito sulle politiche economiche atte a scongiurare questi rischi è acceso: le varie forme di “reddito di cittadinanza”, specialmente quelle che compensano le persone per il non-lavoro, diminuiscono o aumentano i rischi? Oggi sono viste da molti come l’inevitabile soluzione, ma nel tempo potrebbero rivelarsi generatrici di conflitti ingestibili.

Occorre quindi prepararsi a un percorso lungo, complesso, oggi scarsamente prevedibile, con rallentamenti e accelerazioni, tra difficoltà che parranno insormontabili e soluzioni che oggi non esistono. La Grande segregazione si potrà evitare, ma occorre preparare rapidamente gli antidoti:

1. la riflessione sul lavoro deve rimanere al centro dell’attenzione politica ed economica, attirando le forze intellettuali e operative migliori, combattendo l’ideologia che vede il lavoro umano marginalizzato, reso inutile dallo sviluppo tecnologico;

2. la struttura di remunerazione del lavoro deve continuare a evolversi, eliminando del tutto gli elementi penalizzanti, ma soprattutto iniziando ad allentare la rilevanza dell’aspetto monetario rispetto a quello d’accesso a beni e servizi. Lo scambio di lavoro contro denaro genera inoltre una serie di inefficienze alle quali la finanza fornisce solo risposte parziali, insieme a notevoli distorsioni;

3. il lavoro deve incorporare una serie di diritti che diano sostanza a un vero e proprio contratto sociale: sicurezza, salute, conoscenza, inclusione sociale, accesso a beni e servizi non monetari, welfare, mobilità territoriale, cura dei bambini e dei deboli, non discriminazione;

4. attraverso lo sviluppo delle organizzazioni del terzo settore il peso dello stato nel welfare, nella gestione di servizi pubblici, nelle attività di protezione ambientale e sociale, deve ridursi, parallelamente al fabbisogno fiscale oggi destinato al suo finanziamento.

Futuro oltre

Nel futuro ancora più lontano potrebbe emergere un nuovo paradigma economico basato sull’accesso a beni e servizi, non più sullo scambio. Una trasformazione epocale, indotta da evoluzioni tecnologiche e umane al cui centro sta sempre il lavoro. Una suggestione che oggi ci appare confusa, relegata in un futuro indefinito. Ma a volte il tempo, che sbagliando consideriamo lineare, gioca qualche scherzo e ci proietta in modo rapidissimo in una diversa dimensione.


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