Donne: entriamo nel merito (con Marcella Mallen)

Lavoro, famiglia e società. Ripartiamo da e con le donne. Ne parliamo con Marcella Mallen, presidente Fondazione Prioritalia

Com’è essere donna oggi nel mondo del lavoro?
«Dovrebbe essere del tutto simile all’essere donna a scuola, all’università, nei luoghi culturali e sociali dove possiamo esprimere al meglio il nostro potenziale di capacità. Non è purtroppo così, come dimostrano gli squilibri tra i generi che emergono, per esempio, dai dati sull’occupazione e la rappresentanza femminile: le donne sono ancora molto più impegnate degli uomini nella cura dei familiari, costrette a ricorrere al part-time involontario e a uscire prematuramente dal mercato del lavoro».

Cosa non va, cosa manca… per arrivare al fatto che il genere non impatti sulle possibilità di lavorare?
«Il problema non è tanto quello di aiutare le donne, attraverso iniziative ad hoc, ad accedere alle stesse opportunità che hanno gli uomini in azienda, quanto quello di costruire un nuovo equilibrio tra vita e lavoro sia per gli uomini sia per le donne. Sul piano manageriale questo equilibrio passa dalla capacità di individuare criteri “flessibili” e “sostenibili” su cui riprogettare gli strumenti di gestione e di sviluppo. Dobbiamo costruire una nuova cultura del tempo, superando l’identificazione della flessibilità con il part-time, per approdare a un full-time realmente smart, agile, mettendo al centro le qualità: delle persone, del lavoro, della vita. Una cultura incentrata sul buon uso degli strumenti digitali, sugli investimenti nelle infrastrutture, nell’organizzazione, nel welfare, nella formazione».

Quali ostacoli ha incontrato nella sua vita lavorativa addebitabili solo all’essere donna e permangono anche oggi?
«Avrei desiderato poter contare su un orario più flessibile legato non solo alla maternità ma alle esigenze della vita familiare e sociale, in cambio di una misurazione dei risultati effettivamente raggiunti. Le carriere, in tutti i contesti lavorativi, continuano ancora oggi a richiedere alti investimenti di tempo: orari senza limite anche quando non serve, riunioni fissate oltre il normale orario di lavoro, impegni che spesso le donne non si possono permettere, al contrario degli uomini».

Ci racconta un’esperienza personale positiva che ha vissuto nel suo lavoro dove il genere non ha influito negativamente?
«Ero vicina alla soglia degli “anta” quando il mio capo, una persona visionaria e di grande spessore umano ed etico, mi lanciò la sfida di lasciare la mia zona di comfort all’ufficio legale per diventare responsabile del personale. Gli dissi che avrebbe potuto trovare competenze più mature, che non lo avevo mai fatto, e mi rispose: “È proprio per questo che te lo propongo, perché so che ce la puoi fare”. Un’esperienza che mi ha trasformato e mi ha insegnato molto: imparare a imparare, uscire dall’iperspecializzazione per diventare un manager ibrido con una visione multidisciplinare dell’organizzazione, imparare a prendermi cura delle persone, affinare la capacità di ascolto».

Le donne: non occupate o mediamente pagate meno, quali le cause?
«Sempre per una questione legata all’uso del tempo, che porta le donne a dover conciliare le responsabilità di cura con le opportunità professionali. È quanto sta accadendo anche nella situazione di emergenza che stiamo vivendo con la pandemia. Ci sono molte barriere sociali, dovute a carenza di servizi, barriere organizzative, legate a modelli d’impresa poco sostenibili e soprattutto ci sono barriere culturali, visto il radicamento degli stereotipi di genere, che rendono la “risorsa” femminile ampiamente sottoutilizzata. Freni e sprechi che non dovremmo permetterci nel momento in cui aspiriamo a una società più giusta e sostenibile».

La maternità pare essere ancora una causa di abbandono o perdita del lavoro o di freno alla carriera. È così e che fare?
«La maternità costituisce ancora oggi un grande ostacolo per la vita lavorativa delle donne: fare figli implica troppo spesso la perdita del lavoro, o comunque la fatica di mantenerlo e di non riuscire fare carriera. Le donne con figli vengono ancora percepite come un costo dalle aziende. Dovremmo invece pensare che, per ogni donna che inizia a lavorare si creano tre posti di lavoro: il suo e altri due per svolgere, a pagamento, i compiti di cura di cui lei si occupa gratuitamente. Investire nel lavoro femminile, ovvero liberare il potenziale delle donne, è una priorità giusta non solo per le donne ma conveniente per tutta la società».

Cosa può e deve fare un manager per includere veramente e alla pari donne in azienda e nell’organizzazione del lavoro?
«Utilizzare sistemi di valorizzazione delle competenze, dei meriti e di valutazione per obiettivi. Adottare una logica di gestione positiva della diversità che possa accogliere le differenze, a partire da quelle di genere, anziché perseguire le eguaglianze. Investire in servizi e welfare per assicurare alle donne e agli uomini un equilibrio di vita effettivo e sostenibile».

Cosa pensa di quello che Manageritalia ha fatto in questi anni con il Gruppo Donne Manager e in generale per dare alle donne le stesse possibilità degli uomini sul lavoro?
«Un lavoro intelligente e sistematico che ha portato nel tempo a risultati concreti: progetti come la legge sulla maternità delle dirigenti, la proposta di legge sul pay gap e Un Fiocco in azienda, che si pone come obiettivo la diffusione di una cultura positiva della maternità, da cui deriva l’affermazione di una nuova cultura del tempo».

Guardando avanti, cosa serve da parte di Manageritalia e in generale per arrivare a neutralizzare il genere sul lavoro e partire tutti alla pari?
«I diritti delle donne vanno messi in agenda come i diritti di tutti, superando una volta per sempre l’dea che quella delle donne sia soltanto una questione femminile. Il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze è il presupposto per costruire una società più equa, inclusiva, innovativa, sostenibile».

Una parte significativa dei fondi del Recovery fund è destinata all’occupazione femminile. Una svolta per un futuro più “rosa”?
«In realtà gran parte delle risorse del Next Generation Eu sono state dirottate a sostenere la transizione digitale ed ecologica, settori in cui la presenza femminile non risulta ad oggi elevata, mentre la parità di genere rimane un obiettivo trasversale. Per non perdere questa straordinaria occasione è decisivo introdurre rigorose valutazioni sull’impatto ex ante ed ex post che gli investimenti del Next Generation avranno sull’equilibrio di genere».

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca