Riceviamo e pubblichiamo l’opinione di Guido Carella, consigliere CNEL e presidente Manageritalia Servizi, sulla situazione dei contratti pirata segnalata da Confcommercio.
I cosiddetti “contratti pirata” rappresentano una delle principali distorsioni del mercato del lavoro italiano. Non si tratta soltanto di intese stipulate da sigle scarsamente rappresentative, ma di veri e propri strumenti che, attraverso il dumping contrattuale, alterano la concorrenza e mettono a rischio la sostenibilità del sistema nel suo complesso. Per i manager il problema è duplice.
Da un lato, questi contratti comprimono salari, diritti e tutele, creando un’ingiusta competizione tra imprese che rispettano le regole e altre che scelgono scorciatoie per abbattere i costi.
Dall’altro, incidono direttamente sulla tenuta del welfare contrattuale, costruito negli anni grazie all’impegno delle parti sindacali realmente rappresentative tramite Enti Bilaterali.
Il sistema bilaterale italiano – fondi sanitari, previdenziali, formativi – è oggi e sarà sempre più un pilastro decisivo per la protezione delle persone che lavorano.
I contratti pirata, eludendo il contributo a questi enti, non solo privano i lavoratori delle prestazioni, ma riducono anche le risorse collettive necessarie a garantire solidarietà, innovazione e servizi. In altre parole, chi applica questi contratti danneggia non solo i propri dipendenti, ma l’intero tessuto sociale ed economico.
Secondo le analisi CNEL-INPS, al 31 dicembre 2024 risultavano depositati oltre 1.000 ccnl nazionali. Tuttavia, i contratti sottoscritti dalle principali confederazioni sindacali coprono da soli più del 96% dei lavoratori del settore privato, esclusi agricoltura e lavoro domestico.
Questo dato conferma che la grande maggioranza del lavoro dipendente è regolata da contratti rappresentativi, ma segnala anche la presenza di centinaia di micro-contratti che coinvolgono poche decine o centinaia di addetti, creando spazi di dumping e frammentazione.
In particolare, oltre 460 contratti nazionali trovano applicazione su meno di 100 addetti: una proliferazione però che rischia di minare la chiarezza, la trasparenza e la tenuta del sistema.
Il fenomeno non incide soltanto sui lavoratori coinvolti, ma colpisce anche le imprese corrette, che si trovano a competere con chi applica condizioni spurie e compromette la sostenibilità del welfare contrattuale, che si regge sul principio di solidarietà e sulla contribuzione diffusa. Il sistema si alimenta con nuovi contribuenti che sono distolti quando regolati da questi “contratti”.
Quando mancano queste risorse, si riduce la capacità di finanziare prestazioni sanitarie integrative, previdenza, formazione continua, politiche attive. Si crea così un danno collettivo, che va ben oltre i confini delle singole aziende.
La lotta ai contratti pirata non è quindi una battaglia astratta, ma un impegno concreto per difendere la qualità del lavoro, la competitività delle imprese e la coesione sociale del Paese.
I manager hanno il dovere di presidiare la corretta contrattazione e di sostenere il sistema bilaterale, che rappresenta una delle migliori esperienze italiane di welfare contrattuale.
Come consigliere del CNEL, sento la responsabilità di promuovere e diffondere questi principi, contribuendo a una maggiore consapevolezza tra imprese, lavoratori e istituzioni.
Solo attraverso un’azione di divulgazione e vigilanza costante possiamo contrastare questa piaga, impedendo che contratti privi di reale rappresentatività minino la dignità del lavoro e l’equilibrio del nostro sistema di relazioni sindacali.
