Up-skilling e re-skilling: allenare e allenarsi alla complessità

In ambito lavorativo il tema della formazione non va sottovalutato: investire sul capitale umano è necessario tanto per il successo professionale del singolo quanto per l’azienda in cui è inserito. È fondamentale, però, adattare il percorso alla specifica situazione e al contesto in cui si inserisce

Esiste un vezzo, tipicamente italiano, che consiste nel ricorrere a espressioni mutuate dall’inglese senza coglierne il significato originale e, quando si riferiscono alle realtà organizzative, le implicazioni gestionali. L’esempio più eclatante è rappresentato dall’espressione smart working, ampiamente e impropriamente utilizzata dall’arrivo della pandemia per riferirsi a una condizione con la quale milioni di persone si sono trovate costrette, dalla sera alla mattina, a misurarsi. Situazione che di smart ha ben poco, mentre sarebbe più corretto parlare di remote working, dal momento che mancano i requisiti costitutivi dello smart working: poter decidere dove, come e quando lavorare. Forse meno eclatante, ma altrettanto significativo, è l’uso (o, meglio, l’abuso) delle espressioni up-skilling e re-skilling, con le quali si qualificano gli interventi di formazione.

Il punto della situazione
Quando si parla di formazione, non si può prescindere dal contesto di riferimento nel quale viviamo e operiamo, nonché dalle tendenze che stanno emergendo in forma sempre più evidente. Partiamo dal calo demografico: in Italia sta assumendo contorni drammatici non solo per quello che riguarda la futura spesa previdenziale ma anche la disponibilità di risorse competenti. A perimetro costante, interi settori produttivi rischiano, in un lasso di tempo più ristretto di quanto si possa immaginare, di doversi fermare. Un aspetto che continua ad essere oggetto di studi, dibattiti, articoli dai titoli sensazionalistici senza che vengano sviluppate azioni tangibili. Passando poi ad esaminare un’altra tendenza, dobbiamo rilevare come durante i lockdown forzati molte persone abbiano rivisto le priorità personali e professionali. Non solo, recenti studi hanno evidenziato un preoccupante livello di insoddisfazione delle persone in merito alle posizioni lavorative occupate. Senza dimenticare come, fattore inusitato per un mercato del lavoro come quello italiano, si stiano registrando numerose dimissioni e cambi di lavoro, a dimostrazione di come anche l’Italia non sia indenne da quello che viene definito come Yolo effect (you only live once). 

Allenare e allenarsi alla complessità costituisce la vera sfida dei prossimi anni per le aziende e per le persone che, di queste, sono gli asset più conclamati, ma spesso trascurati. Inoltre, risorse più competenti possono agevolmente ricollocarsi sul mercato del lavoro qualora si rendessero necessarie ristrutturazioni

Per completare il quadro, è ormai un dato certo il fatto che nei prossimi anni conosceremo uno sviluppo delle tecnologie decisamente più rapido rispetto a quanto abbiamo sperimentato in questi anni, con effetti rilevanti per le organizzazioni e conseguenti riposizionamenti imposti da una business disruption che non risparmierà nessun settore o segmento di mercato e importerà una revisione degli elementi costitutivi della purpose (competence, culture, cause). In questo contesto è in gioco il capitale umano: quell’insieme di knowledge, skill ed esperienze che appartiene, è bene sottolinearlo, a ciascuna persona, anche se spesso si utilizza questa categoria per identificare gli human asset di un’azienda o di un’organizzazione. La progressiva presa di coscienza da parte delle aziende del contesto delineato, nonché di una crescente vulnerabilità legata sia allo skill-shortage sia all’obsolescenza del capitale umano, sta imponendo un ricorso più attento e selettivo a programmi che puntano proprio a colmare i gap con azioni, a seconda dei casi, di re-skilling o up-skilling.

Piani di formazione: la regola delle tre W
Non si può immaginare, però, di procedere con azioni episodiche: sono necessari piani articolati, costruiti sui fabbisogni e sui gap di ogni singola realtà, da finanziare anche con le opportunità offerte dai fondi professionali, spesso ignorati o non adeguatamente utilizzati soprattutto dalle piccole e medie imprese. Per costruire questi piani può rivelarsi efficace seguire la regola delle tre W (what, why, who).

What
Per orientarsi e definire i contenuti possono essere utilizzati i risultati delle molteplici survey disponibili, dalle quali emerge come siano sempre più necessarie skill cognitive, tecnologiche, sociali ed emozionali. Sono da considerare tali: pensiero critico e capacità decisionale; leadership e capacità di gestire le risorse; data analysis e competenze matematiche; project management; adattabilità e disponibilità all’apprendimento continuo; capacità di gestire e interpretare informazioni complesse; It e competenze programmatiche; disegno tecnologico, ingegnerizzazione e manutenzione; competenze quantitative e statistiche; skill digitali di base; imprenditorialità e spirito di iniziativa.

Why
Per definire le priorità occorre prendere le mosse dal proprio contesto, analizzare attraverso una diagnosi rigorosa fabbisogni nel breve e nel medio termine, verificare i gap da colmare e definire le azioni, le scadenze e le modalità.

Who
Last but not least, il tema più delicato: le persone da coinvolgere. In molte realtà coesistono cinque gruppi generazionali, ciascuno portatore di esigenze e aspirazioni, ma anche di potenzialità diverse. Si preferisce spesso ridurre l’intervento sulle persone più giovani pensando a un ritorno dell’investimento più certo, sicuro e più rapido, trascurando le altre categorie perché maggiormente resistenti al cambiamento. In realtà, in base alle nostre esperienze, quest’ultima non è una caratteristica riferibile esclusivamente a una fascia di età. La tentazione di rifugiarsi nella comfort zone è trasversale a tutti, la vera sfida è quella di saper impostare una road map per coinvolgere le persone, renderle consapevoli dei rischi dell’obsolescenza professionale e delle opportunità di sviluppo e supportarle nell’affrontare l’ignoto che caratterizza tutte le fasi evolutive.

Il capitale umano al centro
Allenare e allenarsi alla complessità costituisce la vera sfida dei prossimi anni per le aziende e per le persone che, di queste, sono gli asset più conclamati, ma spesso trascurati. Inoltre, risorse più competenti possono agevolmente ricollocarsi sul mercato del lavoro qualora si rendessero necessarie ristrutturazioni il cui costo sociale sarebbe, in questo modo, minore rispetto a quello che abbiamo sinora conosciuto. Anche nella gestione di questi processi occorre non cadere nella tentazione di tagli lineari, perché spesso si traducono in un impoverimento del background complessivo dell’azienda e, in ultima analisi, in una riduzione del vantaggio competitivo. L’attenzione agli stakeholder, lanciata oltre due anni fa dai membri del Business Roundtable, implica una coerenza di strategie e comportamenti, anche nei confronti dei collaboratori che degli stakeholder fanno parte. Diversamente, sono pure adesioni formali smentite poi nei fatti, come nel caso di una nota azienda dell’hôtellerie che, dopo aver sottoscritto questo documento, ha iniziato una riduzione di 5.000 persone. 

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