Parità di genere nel mondo del lavoro

Attraverso le prospettive ed esperienze di due figure di spicco nel settore della ricerca e selezione del personale – William Griffini di Carter & Brenson e Cristina Spagna di Kilpatrick Executive Search – esploriamo la complessità e le sfide ancora presenti nel raggiungimento della parità di genere. Le loro opinioni ci forniscono interessanti spunti su temi quali il pay gap, l’attrattività delle aziende e il ruolo delle certificazioni nel promuovere un cambiamento culturale e sociale significativo.

Possiamo dire che nelle selezioni da parte delle aziende clienti stiamo arrivando alla parità e cioè a escludere ogni preferenza di genere e a basare tutto davvero sul merito?

Griffini «Nelle medie imprese sono ancora molte le realtà che per rigidità del management non sono ancora pronte a quella flessibilità necessaria per riorganizzare ruoli e competenze, tempi e modi, per affrontare in modo strutturato il tema delle pari opportunità. Diversa è la situazione nelle grandi imprese o nelle multinazionali, dove vengono più facilmente adottate politiche di welfare e di gender equality per agevolare i propri dipendenti e questo le rende molto attrattive, soprattutto per le nuove generazioni».

Spagna «Le aziende stanno diventando sempre più consapevoli dell’importanza di garantire una parità di trattamento tra i candidati, sia nelle condizioni di assunzione che nelle opportunità di carriera. Sempre di più i clienti ci richiedono esplicitamente di avere una rosa di candidati equilibrata tra uomini e donne per favorire la diversità e l’inclusione nel loro organico. Gli sforzi vengono fatti soprattutto da realtà multinazionali evolute, mentre in molte realtà più piccole e imprenditoriali ci sono ancora sfide e barriere da superare e
ancora tanti pregiudizi».

Quando c’è parità, è anche di retribuzione?

Griffini «Purtroppo ci sono ancora dei gap in tal senso. Il pay gap si aggira intorno al 18% (fonte Osservatorio Inps), dato che peggiora con il crescere dei ruoli nell’organizzazione. A sottolineare ulteriormente il divario tra uomo e donna ci pensano i dati del Gender Equality Index 2023 del World Economic Forum, che posizionano l’Italia al 79° posto, in discesa di 16 posizioni rispetto all’anno precedente, al 104° posto quando si parla di partecipazione economica, all’80° per parità di salario tra uomo e donna e al 100° posto a livello mondiale se si considerano quante donne riescono a ricoprire ruoli dirigenziali o di management».

Spagna «Nella selezione del personale quando c’è parità dovrebbe esserci anche uno stesso trattamento retributivo, ma questo non sempre avviene. La legge sulla parità salariale è in atto proprio per promuovere una maggiore equità e giustizia nel mondo del lavoro, ma è solo un punto di partenza di un percorso culturale e sociale lungo e complesso. La strada purtroppo è ancora lunga e, a detta del World Economic Forum, a questi ritmi per superare il gender gap ci vorranno ancora 132 anni. C’è anche da dire che in Italia nel 2022 lavoravano il 51,2% delle donne, dato più basso contro il 64,9% della media Ue».

Come cercate di applicare la parità nel vostro lavoro di executive search verso aziende e candidati?

Griffini «Nelle ricerche che effettuiamo vi poniamo molta attenzione alle pari opportunità, non solo perché è giusto, ma perché non vediamo un altro modo di far crescere un’azienda. È chiaro che l’atteggiamento di imprese e management debba essere più flessibile, disponibile ad ascoltare e comprendere le esigenze dei dipendenti e a trovare soluzioni che guardino verso benessere e felicità. Ovvio che da parte del lavoratore, oltre alle competenze, ci debba essere grande senso di responsabilità. Ma quando le due parti si trovano, si compie l’alchimia e quello che succede è estremamente interessante in termini di fedeltà all’azienda, qualità del lavoro e risultati di business».

Spagna «Noi head hunter, nel processo di selezione, applichiamo criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori. Ci basiamo infatti sulle reali esperienze, competenze e aspirazioni professionali dei candidati. C’è da dire però che, in alcuni tipi di selezione, soprattutto per figure Stem, in Italia spesso manca letteralmente il materiale umano. Le donne scarseggiano e, anche volendo stimolare l’inserimento di quote rosa nelle aziende, non sempre è possibile individuare le giuste candidature in linea con quanto ricercato e necessario. In Kilpatrick crediamo fermamente nel concetto di “meritocrazia” e cerchiamo di inserire la persona migliore per il ruolo e per la realtà aziendale che ce la richiede»

C’è più interesse ad entrare in aziende note per applicare la parità?

Griffini «Nel “bailamme” di quanto normalmente una donna è chiamata a fare tutti i giorni, oltre al lavoro, raggiungere un punto di equilibrio senza situazioni di stress o senza essere costretta a rinunciare alla propria carriera è complicato, ma non impossibile. Per cui, sì, c’è più interesse da parte dei candidati verso aziende che abbiano adottato la cultura delle pari opportunità. Un aspetto che si rivela un ottimo punto di partenza per l’attraction e la retention delle risorse con ricadute positive anche sui risultati di business delle imprese».

Spagna «La parità di genere non è solo un dovere etico e legale, ma anche un vantaggio competitivo, che contribuisce a creare un clima di lavoro positivo, a stimolare la creatività e l’innovazione, a migliorare la produttività e la qualità dei servizi. In una survey abbiamo chiesto alle giovani generazioni in vari paesi del mondo cosa valutano nel cercare un lavoro. Subito dopo l’aspetto retributivo e la qualità della vita, ci hanno risposto che vogliono sapere cosa la realtà in cui saliranno a bordo fa a livello di sostenibilità e in termini di inclusione».

E la certificazione di parità conta e come?

Griffini «Sono cofondatore di Winning Women Institute, prima società in Italia ad aver lanciato nel 2017 la certificazione per la parità di genere nel mondo del lavoro e che grazie alla sua competenza ha contribuito alla stesura della prassi di riferimento UNI/PDR 125:2022 della Certificazione nazionale. Pertanto, sono il primo a credere nel valore di questo strumento. Impegnarsi in un percorso di certificazione per la parità di genere aiuta l’azienda ad avere una maggior consapevolezza di quanto sia pronta o di cosa debba ancora fare per migliorare in tal senso, un percorso che coinvolge l’azienda e le persone a tutti i livelli e che valuta le performance secondo specifici KPIs e quindi misurazioni oggettive. La certificazione è importante, ma deve anche essere un punto di partenza per continuare a evolvere verso un mondo più sostenibile ed equo per tutti».

Spagna «La certificazione di parità come marchio di qualità rilasciato dal ministero del Lavoro a quelle aziende che rispettano determinati requisiti in materia di parità di genere conta molto, perché testimonia l’attenzione e l’impegno dell’azienda verso questo obiettivo».

 

 

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca