Litigation PR

Tutela della reputazione e comunicazione nelle controversie giudiziarie

Le Litigation PR (intese come la “gestione professionale della comunicazione sviluppata dalle parti coinvolte in una controversia legale”) stanno sempre più assumendo un ruolo di disciplina autonoma nell’ambito della “scienza della comunicazione”. Personalmente la consideriamo una disciplina fondamentale della Comunicazione di crisi.

Infatti, nella vita di ogni persona, nella vita di ogni organizzazione, c’è sempre, prima o poi, una situazione di crisi.

Come dimostrano tutte le ricerche internazionali, la buona uscita dalla crisi dipende da tre fattori: come ti prepari (risk management); come la gestisci (in questa fase un ruolo fondamentale lo rivestono il “Piano di crisi” e il “Crisis team”); come comunichi (prima, durante e dopo la crisi stessa).

Una domanda sorge spontanea: ad una crisi ci si può preparare? La risposta è sì. Nonostante:

  • la pressione (interna ed esterna): il tempo scorre veloce;
  • l’urgenza: le decisioni devono “comunque” essere prese in tempi rapidi;
  • la durata: le persone esauriscono le energie e diventa centrale la gestione dello stress;
  • le minacce, che evolvono nel tempo;
  • le richieste di informazioni provenienti dalle autorità e dall’opinione pubblica.

Nonostante tutto, anzi, proprio per questo è fondamentale prepararsi. Ed è fondamentale farlo “in tempo di pace”, quando la vita dell’organizzazione scorre serena. È fondamentale prepararsi perché le crisi non sono tutte uguali (anche se molte caratteristiche comuni sono evidenziabili!) ed evolvono con modalità uniche, imprevedibili, non standardizzabili. Con alcune precisazioni, con alcuni distinguo, che ci permetteranno di ragionare sul tema iniziale.

Una comunicazione trasparente
Una comunicazione corretta, sincera, è il miglior antidoto nei confronti di ogni perturbazione. Una delle regole fondamentali di comunicazione efficace consiste nell’accettare di farsi carico pubblicamente di quanto accaduto. Ciò non significa assumersi responsabilità davanti alle autorità o a un giudice, bensì prendere a cuore quanto sta accadendo a causa della propria organizzazione. L’opinione pubblica infatti nutre l’aspettativa che le organizzazioni si comportino in modo responsabile, limpido e coerente; di conseguenza mostrare apertura e ascolto, interesse e partecipazione, è una strategia che può rivelarsi utile per stabile un rapporto di fiducia con i diversi pubblici. È utile sottolineare che i mass media si muovono su logiche del tutto differenti rispetto a quelle dei tribunali. Per la stampa e l’opinione pubblica il “silenzio stampa”, il “chiamarsi fuori” dai fatti o il fornire “dichiarazioni tardive”, equivalgono a una sorta di conferma delle accuse o, peggio, a un generale disinteresse per quanto accaduto.

L’interventismo della Magistratura
Nel nostro paese assistiamo preoccupati ad un forte e permanente interventismo della magistratura che si evidenzia con un grande potere dei pm e uno sconfinamento di pm e dei giudici nell’attività economica. Basti qui ricordare l’ultimo richiamo di Giovanni Canzio, primo presidente di Cassazione, nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017, là dove sottolinea “una frattura fra gli esiti dell’attività giudiziaria e le aspettative di giustizia, a prescindere da ogni valutazione circa la complessità dei fatti, la validità delle prove, i principi di diritto applicati, le garanzie del processo, la tenuta logica della decisione. Un problema che si innesta tra le ansie di sicurezza dei cittadini e il pregiudizio del ‘processo mediatico’. Processo mediatico talvolta innescato, magari, dal fenomeno della fuga di notizie, grave perché rischia di ledere il principio costituzionale di non colpevolezza”. In sintesi un forte appello per ridurre i tempi della giustizia, per ridurre l’autoreferenzialità della giustizia, per intervenire in alcuni evidenti distorsioni relative alla carcerazione preventiva e alla tutela del diritto alla difesa.

Il processo del tribunale e il processo mediatico
Spesso si ha la sensazione che il processo mediatico-giudiziario – quello che Daniel S. Lariviere (liberilibri, 1994) chiama: “Il circo mediatico-giudiziario” – abbia due obiettivi: da una parte, screditare le persone prima ancora di capire realmente i fatti e, dall’altra, condannare le persone coinvolte “prima” dell’eventuale condanna reale perché si sa che in Italia le persone “non vanno mai in galera”. Il “processo mediatico” ed il “processo del tribunale”, almeno in teoria, non sono due processi diversi e paralleli. Nei fatti sono due processi che si giocano contemporaneamente su due diversi campi da calcio e le cui sentenze (quella mediatica, è istantanea; quella della giustizia, richiede invece anni!) possono avere effetti devastanti sulle persone, sulle organizzazioni e richiedere la presenza di competenze professionali molto diversificate. Sicuramente su un tema non possiamo non concordare: l’influenza che l’opinione pubblica ha sulla formazione del giudizio penale e la persistenza del giudizio mediatico (precedente, come abbiamo visto e diverso da quello penale) sulla reputazione e sulla memoria della stessa opinione pubblica “dopo” il processo.

Ci vuole una squadra per gestire una crisi giudiziaria
Per porre in atto una strategia comunicativa efficace che salvaguardi la business continuity dell’azienda e la reputazione dei brand e delle persone coinvolte, occorre che i professionisti del diritto, della consulenza fiscale e aziendale, della comunicazione e delle litigation PR, collaborino fattivamente senza personalismi, senza primogeniture. Senza vantare qualsiasi tipo di superiorità accademica o professionale. In questa direzione, avvocati, commercialisti e comunicatori devono collaborare nell’interesse del cliente, ma anche nell’interesse della giustizia, della legalità, del diritto dell’opinione pubblica ad essere informata. “Il rischio vero – afferma Warren Buffet – deriva dal non sapere che cosa si sta facendo in una situazione di crisi” e, aggiungiamo noi, che la mano sinistra (l’avvocato, ad esempio) non sappia quello che sta facendo la mano destra (il comunicatore). “Nella comunicazione di crisi – afferma Laura Tirloni dello Studio Cataldi – l’atteggiamento della difesa spesso non coincide con quello di difesa della reputazione aziendale. Generalmente infatti è prassi diffusa da parte degli avvocati suggerire ai vertici e al management aziendale di mantenere il riserbo, puntando sul fatto che, in assenza di dichiarazioni dirette di questi ultimi, il clamore e l’attenzione mediatica si attenuino. Al contrario, in assenza di nuove informazioni e dichiarazioni ufficiali, l’attenzione mediatica tende spesso a servirsi di voci, gossip e fughe di notizie, che il più delle volte risultano ancora più dannosi per l’organizzazione stessa. Bisogna, al contrario, considerare che se una causa può avere effetti negativi sull’azienda, una crisi di reputazione può arrivare a minarne la sopravvivenza stessa. Il questi casi dunque, il “rischio immobilità” o il “silenzio stampa” da panico, sono atteggiamenti da evitare. Al contrario, l’informazione andrebbe gestita in modo corretta e mai negata, in quanto ‘non comunicare’, spesso fornisce ad altri (competitors in primis) l’occasione per comunicare la loro versione dei fatti”.

Litigation PR e Comunicazione dello studio professionale
Va specificato che queste due discipline, questi due approcci alla comunicazione, non sono sinonimi. Come abbiamo infatti visto le Litigation PR sono la gestione professionale della comunicazione in una controversia legale. La Comunicazione dello studio professionale (dell’avvocato, del commercialista e/o del comunicatore) sono attività continuative di comunicazione che hanno l’obiettivo di incrementare la visibilità, la notorietà, la credibilità, la reputazione dello studio e/o del singolo professionista. È pertanto fondamentale evitare ogni tipo di sovrapposizione o confusione di ruoli che potrebbero danneggiare sia i singoli attori che influenzare negativamente l’esito della controversia. Ciò non significa che seguire una litigation importante non abbia ricadute positive anche sulla reputazione e sulla notorietà dei singoli manager e professionisti. Tutti i professionisti (avvocati, commercialisti e comunicatori) devono quindi essere consapevoli dei rischi connessi a una cattiva o confusa gestione della comunicazione di crisi e dovranno sempre definire con il ceo e il management dell’organizzazione le migliori strategie per gestire efficacemente la controversia e per promuovere le esigenze di tutti.

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