Curiosity management: competenza chiave per lo sviluppo del talento

La pianificazione e il controllo in azienda devono diventare sperimentazione e osservazione. E ovviamente la curiosità va attivata. Vediamo come

LA FINE DEL TOP-DOWN MANAGEMENT segna anche la fine dell’innovazione calata dall’alto. Tutti devono essere innovativi e dunque curiosi. Ma come si diffonde un clima di stupore e meraviglia in azienda? Forse trasformando ogni singolo ufficio e angolo dell’impresa in una Wunderkammer permanente?
Un passo indietro. L’amore per le curiosità scientifiche tipico dell’Illuminismo portò, presso l’aristocrazia e la borghesia più ispirata, alla diffusione (e ammirazione) dei cosiddetti gabinetti delle curiosità o meraviglie. Meravigliarsi per superarsi in nuove sfide. Un passo in avanti. L’era dello stupore va ripristinata, ne sono convinti per esempio Google e 3M, che hanno reintrodotto (ovviamente attualizzandoli) contesti da Wunderkammer in azienda. Frank Kohl-Boas, head of hr northwest, central & eastern Europe di Google, l’ha spiegato molto bene l’anno scorso durante il suo speech al 10° Petersberger Trainertage a Bonn. «I dipendenti Google possono e devono ispirare i loro colleghi per ciò che trovano affascinante, non importa cosa sia e non importa se non c’entra con il lavoro in senso stretto. Raccontare, dimostrare, scambiare e stimolare la curiosità per nuove conoscenze è una pratica che da noi viene incentivata e premiata». Stupore come (innovativo) furore. In 3M si attiva questo principio tramite la “giornata delle passioni”. Avendo capito che negli interessi personali spesso si “nasconde” il potenziale innovativo di ciascuno, l’azienda americana permette durante quel giorno ai dipendenti di presentare reciprocamente i loro hobby e le loro passioni. Questo favorisce non solo un senso di comunità, ma anche la scoperta di competenze ignote all’azienda. E se l’ignoto va scovato non ci vogliono i soliti noti ma manager curiosi di scoprire il futuro. È il caso di Hilde Cambier, una donna di 45 anni che alla Beiersdorf ricopre il suggestivo ruolo di vice president innovation & foresight. Guardare oltre come Alice nel paese delle meraviglie. Per guardare oltre bisogna talvolta abitare in luoghi dove il fermento è di casa. Nella Sillicon Valley nessuna visione è troppo grande e nessuna idea è troppo strampalata. Stare un po’ lì a curiosare è già un buon inizio anche per le aziende che hanno sede altrove (per esempio nel vecchio continente). Il colosso Sap, per esempio, è presente a Palo Alto proprio a fianco di Hewlett Packard e Microsoft con una filiale di “contaminazione”. Secondo McKinsey sono però ancora troppo poche le aziende europee che respirano a pieni polmoni (essendoci) l’aria californiana della valle.
Se proprio non vuoi partire almeno a casa tenta di stupire (te stesso e gli altri). Come? Intanto prendendo coscienza che l’impresa che basa le proprie previsioni e decisioni su puntuali ricerche di mercato e dati tangibili quando inizia la partita della disruptive innovation partecipa con le gambe e il cervello paralizzati. La pianificazione e il controllo devono diventare sperimentazione e osservazione. E ovviamente la curiosità va attivata. Vediamo come.

Curiosità è novità
Innovare significa, etimologicamente, far nuovo. Ma tutto ciò che il mondo digitale chiama innovazione lo è veramente? Cos’è oggi il progresso? Quello di cui l’uomo ha bisogno è già stato bello che inventato (vedere Belle Époque). Quello che vediamo oggi all’opera è pura decorazione e cosmesi o nella migliore delle ipotesi la velocizzazione dei processi. Inoltre, il termine innovazione è di per sé neutrale. Il nuovo può essere buono (nuovo rimedio contro una malattia) oppure cattivo (nuovi metodi di tortura). Curiosamente il termine emette un’aurea di purezza.

Curiosità è coraggio
Curioso in tedesco si dice neugierig ed è composto da neu (nuovo) e gierig (goloso, avido). L’essenza della curiosità è dunque una bramosia o tensione verso l’innovazione (il nuovo, spesso ignoto). E qui veniamo al problema di molte organizzazioni. “Not invented here” è l’assurdo vanto delle aziende malate di neofobia (non poche), ovvero terrorizzate da ogni incombente cambiamento o novità. Va da sé che la curiosità è il miglior antidoto al veleno della routine e ai processi di standardizzazione.

Se nella passata era fordista manager e aziende potevano anche sopravvivere replicando in modo seriale processi e metodologie acquisite, nel mutevole e complesso presente non c’è futuro senza curiosity management

Curiosità è libertà
Niente innovazione senza creatività. Niente creatività senza curiosità. E niente curiosità senza libertà. È l’inizio di ogni pensiero e scoperta. Curioso che venga snobbata e confusa come una delle varie attitudini umane. Se nella passata era fordista manager e aziende potevano anche sopravvivere replicando in modo seriale processi e metodologie acquisite, nel mutevole e complesso presente non c’è futuro senza libertà di pensiero.

Curiosità è allucinazione
Cosa ci rende curiosi e come possiamo rendere curiosi collaboratori e team? La droga è una soluzione. Non quell’assunta (anche se può dare ottimi risultati, vedi The Beatles) ma quella prodotta dal nostro organismo quando è in un “curiosity trip” (avere in mente qualcosa di terribilmente nuovo). Già nel 2006 il neuroscienziato californiano Irving Biederman spiegò su American Scientist che le cellule nervose preposte a informazioni nuove e complesse di fatto producono nel corpo oppiacei. In definitiva il nuovo rende curiosi, l’esistente invece non ha lo stesso effetto. Le sostanze eccitanti che produciamo non si lasciano però riprodurre artificialmente. Peccato!

Curiosità è vista
Occhio non vede, cuore non duole. È così? Oppure sarebbe meglio dire: occhio non vede, core (business) duole? “Hai visto che stanno per arrivare i nuovi assistenti vocali digitali per smartphone dotati di intelligenza artificiale?” “No, non li ho visti, sono troppo occupato a mandare avanti l’azienda.” Avanti o indietro? Vedere i cambiamenti in atto è oggi il minimo sindacale per ogni manager. Il quale poi dovrebbe circondarsi di collaboratori che girano per l’ufficio con gli occhi spalancati (wondering index).

Curiosità è domanda
Porre domande è la base per ogni ricercatore e scienziato. Porre domande è anche la base per coloro che scrivono secondo il noto diktat delle 5 W del giornalismo anglosassone (who, what, when, where, why). E i manager? Fanno domande e quali? Avete raggiunto il budget fissato non è una buona domanda. Meglio: perché dobbiamo fissare un budget? Alla base della curiosità c’è una domanda che è la madre di tutte le domande: perché? L’arte di porre domande (linguaggio osservazionale) è la base di ogni innovazione e scoperta (Einstein). Un’arte che, ahimé, non insegna nessuna business school.

Einstein disse una volta di se stesso: “Non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso”

Curiosità è quoziente
Non esiste solo il quoziente d’intelligenza ma anche il quoziente di curiosità: ed è misurabile. Questo almeno è il parere di Patrick Mussel del dipartimento di Psicologia dell’università di Würzburg, il quale ha elaborato il Work-related curiosity scale test. Certo, i test per misurare qualità umane sono sempre un’arma a doppio taglio e spesso sfociano nel ridicolo, ma è cosa buona prendere coscienza che è oggi una qualità determinante per il futuro dell’impresa, forse addirittura più della creatività.

Curiosità è sintesi
Il futuro richiede sintetizzatori. Strumento musicale? No, strumento umano capace di suonare le poche note essenziali che vale la pena di udire per comprendere l’opera della complessità. Detto in modo meno metaforico: il collaboratore ideale del futuro è un camaleonte ibrido che collega conoscenze dai più svariati ambiti e discipline. Un po’ hacker, un po’ analista, un po’ filosofo, un po’ artista e un po’ consulente. La dote maggiore: curiosità abbinata a straordinaria capacità di sintesi estrema. Trovarli, assumerli e tenerli sarà la (difficile) sfida del futuro. Perché solo pochi hanno l’appeal dell’impresa nel paese delle meraviglie come Google (vedi gli uffici a Londra). 

Curiosità è personale
Non inteso come inclinazione personale ma come personale da assumere. Meglio un collaboratore intelligente o curioso? Meglio entrambi. Contrariamente a quello che la società industriale ha sempre preteso – personale (fin nelle più alte sfere) bravo a replicare processi e metodologie ben definite – oggi il tema è: chi mi aiuta a cambiare? Le future domande di recruitment saranno: come si riconosce un collaboratore curioso? Come si può sostenere la sua curiosità in azienda e, soprattutto, come si rende l’azienda curiosa per i curiosi?

Curiosità è leadership
Qualcuno deve pur governare la curiosità e i curiosi reclutati in azienda. Il leader curioso non solo mette in discussione la propria posizione e il suo ruolo ma soprattutto bombarda se stesso e gli altri con domande scomode. Quello che facciamo ha ancora senso nell’immediato e lontano futuro? Nuovi business model potrebbero rendere la nostra attività superflua?

Curiosità è vivere
O meglio: sopravvivere ancora. Partiamo dal ciclo di vita di un’impresa. La durata media è di circa 70 anni: meno di una vita umana. Con l’aumento della pressione “dirompente” l’aspettativa di vita tenderà a diminuire  drasticamente. Oggi le imprese innovative realizzano il 30% del fatturato con prodotti e servizi che hanno meno di tre anni. Facendo un po’ di calcoli, possiamo affermare che in relazione all’anno 2021 l’odierna azienda non esiste ancora. Quindi non si ha altra scelta che innovare di continuo per sopravvivere.

Curiosità è Beta
La diretta conseguenza del vivere (ancora) è vivere in un perenne stato di ebbrezza Beta. Come ci ricorda Wikipedia, la versione Beta è “una versione di un software non definitiva, ma già testata”. Oggi il Beta è quasi diventato un mood emotivo (sto sperimentando) e pratica aziendale (lancio sul mercato versioni di prova). Il nuovo manager in versione Beta è dunque sperimentale (nello stile), mutevole, aggiornabile in tempo reale e quando fallisce non si stupisce ma riparte subito con un nuovo progetto. Curioso.

Curiosità è incrocio
Chi è curioso non incrocia le dita ma l’innovazione. Oggi le migliori innovazioni trovano espressione oltre i confini settoriali, in una sorta di incrocio continuo con altre tendenze e modelli. Eccola dunque la cross-innovation: incrociare settori, esperienze, canali, talenti, culture, tendenze, funzioni, brevetti, competenze, target… per ibridare ogni processo della gestione aziendale. In una formula cara al mash up: innescare innovazione pescando da sorgenti multiple. Suona complicato? Solo se non si prova.

Curiosità è spazio
Ormai lo sanno anche i sassi. Gli angusti spazi lavorativi alla Fantozzi producono grigia ripetitività, gli ariosi spazi lavorativi alla Google producono colorata creatività (e nuovi business). È lì che le aziende accorte investono: da razionalizzare gli spazi (vecchio modello fordista) a rivitalizzare gli spazi (nuovo modello olistico). Anche perché ai migliori (soprattutto le nuove generazione di talenti) piace stare nei posti migliori dove si sta bene come a casa. Che poi siano spazi di co-working con però isole di isolamento è un dettaglio progettuale. Intanto, però, un’occhiata al progetto Brooklyn Boulders’ active collaborative workspace vale la pena di darlo.

Curiosità è favola
L’hanno letto (credo) i creativi di tutte le età e professionalità e forse dovrebbero leggerlo anche i manager di tutte le “funzionalità”. Parliamo della “Gram-matica della fantasia” di Gianni Rodari. Certo, si parla anche di molte tecniche per inventare favole ma le idee migliori non sono spesso proprio idee da favola? È poi la moltiplicazione delle ipotesi e le tecniche dell’invenzione sono oggi un patrimonio indispensabile non solo per gli artisti ma per ogni essere umano che voglia cavarsela nell’immaginato (ecco la necessità) futuro.

Curiosità è dubbio
Il dubbio è alla base del socratico “sapere di non sapere” ed è forse la condizione mentale più nobile e tosta. Ecco un dubbio tosto: servono ancora i manager? Oggi la leadership aziendale produce meno privilegi e più incertezze. I mercati sono incalcolabili, la velocità dei cambiamenti toglie il respiro e i team non obbediscono ma pretendono spiegazioni e motivazioni. Come se non bastasse, nelle nuove organizzazioni innovative il comando viene messo quotidianamente in discussione. In un’epoca in cui le imprese sopravvivono solo se il personale è capace di pensare, progettare, rischiare e assumersi responsabilità, abbiamo ancora bisogno di qualcuno sopra di noi che dirige il gioco? I team di oggi non si governano meglio da sé? Il “sopra non abita più nessuno” è attualmente un tema teorico ma anche pratico: basta vedere come è organizzata la svedese Spotify o l’italiana Loccioni.

Curiosità è calore
Alcune curiosità sono troppo fredde o freddamente calcolate e ciò produce i cosiddetti future bias (pregiudizi previsionali). Quando vidi dieci anni or sono al Cefriel del Politecnico di Milano la stanza domotica con tanto di frigorifero intelligente e connesso, dissi che era una stanza degli orrori ed errori del futuro. Tutti erano convinti, in primis i produttori, che il futuro apparteneva ai vari smart fridge. Così non è stato, per due motivi. Primo: in un’epoca in cui si è sempre meno in casa e si consumano sempre più pasti fuori, che senso ha un frigo che mi ordina il latte finito in una casa deserta? Secondo (più importante): la natura umana (anche biblica) è il libero arbitrio e ciò che esclude la nostra libertà di scelta non funziona mai come innovazione.

Curiosità è epoca
Una bella epoca. Ah, ritornare ai fasti della Belle Époque. Mai periodo fu così prodigioso di esplorazioni, scoperte, invenzioni, spensieratezza, entusiasmo e, sì, curiosità equamente distribuita fra tutti gli individui. Quel mondo inondato di luci e colori dei caffè chantant, delle musiche inebrianti e allegre del primo Moulin Rouge ci inviano un chiaro messaggio: tornate alla fiduciosa vita brillante e leggera (non superficiale) perché la curiosità è soprattutto un luogo da abitare.

Curiosità extravergine
Puro e non manipolato da cattivi (additivi) pensieri. Ovvio che stiamo parlando dell’imprenditore curioso per antonomasia: Sir Richard Branson, il patron di Virgin Group. Vergine, appunto. Curioso non per sua ammissione ma per collettiva acclamazione. Spesso votato come “the most curious entrepreneur”, recentemente intervistato da Curiosity.com ha spiegato cosa lui pensa che lo distingua da altri imprenditori. «Credo di essere uno degli imprenditori più curiosi ancora in vita. La maggior parte degli imprenditori si specializza in un settore. Io semplicemente cerco sempre nuove vie. Per anni ho volato in America su enormi, orribili e sporchi aerei e la mia curiosità mi ha spinto a immaginare di meglio: mettiamo su Virgin America. Una volta qualcuno mi ha detto che l’80% delle specie marine non era ancora stata scoperta, beh, allora ho pensato: forse dovremmo costruire un sommergibile per andare a esplorare. Oppure: sembra molto costoso volare nello spazio. Perché non creare la Virgin Galactic Airways per future astronavi da turismo. Il mio motto “Screw it just do it” è puro divertimento. A volte finiamo con la faccia per terra altre volte facciamo centro. Ma ogni volta imparo qualcosa di nuovo perché sono una persona curiosa».

 

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