Come i manager vivono il sindacato

Dall’ultima indagine di Manageritalia – Rappresentanza: il vissuto dei manager oggi e domani – svolta sui propri associati, emerge uno spaccato significativo sul sindacato oggi in Italia e la rappresentanza dei dirigenti tra presente e futuro. Di seguito una sintesi di queste due tematiche e per ciascuno il punto di vista di due opinion leader: il segretario generale Fim-Cisl Marco Bentivogli e il presidente Censis Giuseppe De Rita

Dall’ultima indagine di Manageritalia – Rappresentanza: il vissuto dei manager oggi e domani – svolta sui propri associati, e di cui si è ampiamente parlato nel numero di dicembre di Dirigente, emerge uno spaccato significativo sul sindacato oggi in Italia e la rappresentanza dei dirigenti tra presente e futuro. Di seguito una sintesi di queste due tematiche e per ciascuno il punto di vista di due opinion leader: il segretario generale Fim-Cisl Marco Bentivogli e il presidente Censis Giuseppe De Rita.

Il sindacato
Analizziamo il vissuto del sindacato, non parliamo di quello dei dirigenti, ma di quello che rappresenta la generalità dei lavoratori e dove nell’immaginario collettivo, e a volte anche nella realtà, i manager si trovano come controparte. Ebbene, per il campione di manager intervistati il sindacato non è per nulla finito, ma deve cambiare. Si dice infatti che i sindacati hanno perso parte della loro capacità di dare risposte utili ad affrontare i cambiamenti in atto (87,8%). Ma poi si afferma che i contratti collettivi nazionali di lavoro restano importanti, seppure vanno rinnovati. In particolare la maggioranza (56,1%) dice che, pur essendo l’economia globale, innovativi e adeguati contratti collettivi nazionali, dando valore a competenze e qualità, possono essere un vantaggio competitivo. Solo il 19,4% afferma che i ccnl non hanno più senso perché ormai si ragiona su dimensioni sovrannazionali, mentre il restante 80,6% lo nega con più o meno forza. Solo il 9,4% nega che il ccnl possa diventare uno strumento sempre più utile per far crescere il sistema, anche le pmi e i loro lavoratori, mentre lo afferma il 38%.

Riguardo ai sindacati dei lavoratori in genere, i manager dicono che…

… serve forte innovazione.

Marco Bentivogli
«L’idea della disintermediazione è un mantra che ha contagiato la nostra politica. Dal governo Berlusconi, con Brunetta che utilizzava i provvedimenti sul pubblico impiego per mettere sullo stesso piano fannulloni e persone oneste, passando al governo Renzi che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, almeno nella prima fase, per arrivare al M5S, che in più occasioni non ha fatto mistero di voler abolire il sindacato. In realtà l’idea di rappresentanza è connaturata all’idea stessa di democrazia. È assolutamente importante ricostruire tra le persone il valore della rappresentanza dei corpi intermedi, ne va non solo della pace sociale in azienda ma dell’idea stessa di democrazia. Per farlo bisogna avere coraggio, fare scelte Radicali, Rifondative e Rigeneratrici (3R), uscendo dallo schema ideologico novecentesco. Serve una visione e la capacità di scrivere il futuro su un foglio bianco. Non tutti sono pronti a questa sfida, ma è l’unico modo per poter guardare con serenità al futuro, a una comunità non chiusa nei propri pregiudizi, ma aperta, solidale e coesa».

Giuseppe De Rita
«Si tratta di una “moda” che riflette un’opinione corrente ancora spaesata e spiazzata da molti anni di crisi e dalla sfiducia che questa ha rovesciato sulle istituzioni e sui soggetti e sui meccanismi di intermediazione. Le recenti analisi del Censis hanno documentato come questo spaesamento, in assenza di un’offerta politica adeguata, si sia trasformato in rancore, disincanto e disaffezione nei confronti delle istituzioni. La posizione dei manager non sembra invece condizionata da questa visione, sembra consapevole che proprio in questa fase – in cui si consolidano i segnali di una ripresa e si possa finalmente guardare avanti – è di grande importanza la visione di un nuovo ciclo di sviluppo collettivo. Occorre dare ruolo a chi può contribuire alla costruzione di una nuova fase, e cioè a tutti quei soggetti di rappresentanza collettiva in grado di interpretare e intuire la direzione del nuovo ciclo».

… hanno perso parte della loro capacità di dare risposte utili ad affrontare i cambiamenti in atto.

Marco Bentivogli
«Con le scelte che abbiamo fatto in questi anni come Fim su molte vertenze importanti, scelte che hanno avuto una conferma e uno sviluppo coerente nell’ultimo contratto dei metalmeccanici, abbiamo dimostrato come un sindacato non ideologico e pronto all’innovazione possa svolgere un ruolo determinante per imprese e lavoratori, uscendo dallo schema della semplice protesta per passare a quello della proposta. Una sfida che si vince se anche le imprese fanno la propria parte, abbandonando una rigida impostazione delle relazioni e favorendo realmente, non solo nei convegni, la partecipazione dei lavoratori e del lavoro organizzato alla gestione d’impresa. Ecco perché è necessario un cambio di cultura e mentalità su entrambi i versanti della rappresentanza. Nell’ultimo contratto dei metalmeccanici abbiamo inserito il diritto soggettivo alla formazione, un diritto fondamentale per il futuro dei lavoratori e delle aziende. Certo, c’è ancora molto da fare: va introdotto un vero e proprio sistema duale in grado di avvicinare la scuola alle aziende. Quello che abbiamo scritto nel contratto nazionale va calato nella pratica quotidiana. Uno dei primi obiettivi è portare a termine la riforma degli inquadramenti, fermi al 1973. E poi dobbiamo puntare con decisione sull’allargamento della contrattazione aziendale e territoriale. Quest’ultima è stata sempre osteggiata, sia da Confindustria che da Federmeccanica, ma rappresenta il terreno di sfida sul quale misurarsi nel prossimo futuro. Perché è da qui che passa il recupero di produttività e l’innovazione contrattuale, soprattutto nelle pmi, il settore in cui più soffriamo in termini di competitività».

Giuseppe De Rita
«Se guardiamo al passato, anche prossimo, vediamo una parabola del sindacato (soprattutto confederale) contrassegnata da frammentazione continuata e da rinserramento a protezione dei propri iscritti, molti dei quali, fra l’altro, pensionati. Nel frattempo, globalizzazione e innovazione tecnologica hanno trasformato radicalmente il lavoro e il quadro di contesto del XX secolo (stabilità del posto, carriera, progressione retributiva, strumenti di protezione), producendo polarizzazione fra profili alti e bassi delle professionalità, svuotando la parte intermedia, iniettando dosi aggiuntive di insicurezza e incertezza ed esponendo diversi segmenti occupazionali al rischio di disoccupazione prolungata. La reazione del sindacato, di tutti i sindacati, già indeboliti dall’assenza di una visione unitaria e dalla deriva corporativa che ha caratterizzato alcune componenti, si è fatta attendere, e l’assenza di risposte tempestive alla progressiva precarizzazione del lavoro – che ha riguardato soprattutto i giovani, ma non solo – comprovano questa percezione».

… i ccnl hanno senso anche e proprio a fronte di un’economia globale. Anzi, i contratti, se innovativi e adeguati al mondo che cambia, possono essere un vantaggio competitivo e danno valore a competenze e qualità.

Marco Bentivogli
«Parlerei di buonsenso e capacità di saper guardare la realtà senza farsi troppo condizionare dall’emotività di chi oggi va proponendo semplicistiche soluzioni alla complessità dell’economia globale, come il salario minimo. La globalizzazione, con tutti i suoi squilibri, ha rappresentato per molti milioni di persone l’uscita dalla povertà assoluta e per il nostro Paese una grande fonte di ricchezza. Lo scorso anno le nostre esportazioni hanno raggiunto il livello record di 417 miliardi, ed è proprio l’industria, insieme all’alimentare e alla moda, che ha trainato l’export e la bilancia commerciale italiana. I contratti nazionali, nel fornire un terreno di confronto e di stabilità delle relazioni sindacali, rappresentano sicuramente un presupposto fondamentale allo sviluppo di imprese e lavoratori. Serve però anche una semplificazione del quadro contrattuale: gli oltre 800 contratti nazionali oggi esistenti sono troppi e possono benissimo essere unificati nei diversi comparti. Nel nostro contratto abbiamo accolto molti elementi che guardano alle trasformazioni in corso, a partire dalla formazione e dal diritto allo studio, di cui abbiamo già parlato, alla flessibilità degli orari (smart working), per finire alle competenze trasversali e relazionali, che sempre più sono richieste dalla realtà dell’impresa e dal lavoro che cambia».

Giuseppe De Rita
«Il contratto collettivo è una piattaforma di regole su cui convergono posizioni di partenza diverse, ma alla fine condivise. È un meccanismo orientato alla risoluzione delle posizioni asimmetriche delle parti contrattuali, ma nello stesso tempo aperto all’inserimento e all’inclusione di nuove esigenze e nuovi interessi delle parti. L’innovazione dei contenuti mantiene in vita uno strumento che consente, a chi lo adotta, di parlare lo stesso linguaggio e di esplorare nuove vie di condivisione e di relazione, come sta avvenendo nel caso del welfare aziendale, materia, questa, inserita e valorizzata in recenti accordi di grande importanza e rilevanza a livello nazionale, come quello dei metalmeccanici».

La rappresentanza dei manager
Abbiamo chiesto ai manager: “Oggi e in ottica futura quanto pensi di aver bisogno di un’organizzazione che ti rappresenti e aggreghi professionalità, interessi simili ai tuoi?” La risposta è stata chiara: l’87,3% dice di averne bisogno, il 46,2% molto e il 41,1% abbastanza. E non è corporativismo, tant’è che serve per la professione, per dialogare con politica e istituzioni, per contribuire nel sociale. Un bisogno di rappresentanza che negli ultimi anni, proprio alla luce dello scenario sfidante e mutevole, è aumentato per l’ampia maggioranza (67,4%).  Una crescita che si caratterizza nelle sue varie sfaccettature. Infatti cresce, con percentuali molto simili, il bisogno di rappresentanza professionale (57,7%), quello in ambito politico e verso le istituzioni (56,1%) e quello in ambito sociale (57,9%). Il motivo? Per il 77,9%, in un mondo del lavoro sempre più globale, complesso e sfidante, la rappresentanza a livello professionale è sempre più determinante. Anche perché ben l’81,4% afferma che servono organizzazioni che supportano lo sviluppo professionale. Chiedono con forza (82,3%) rappresentanza verso istituzioni e società, servizi professionali e, a riprova dell’atteggiamento per nulla passivo verso i tempi che corrono, di contribuire e incidere sulle direttrici e azioni per lo sviluppo generale dell’economia e della società. In termini di servizi, le esigenze oggi, e soprattutto guardando al futuro, sono figlie del contesto. Prima di tutto vengono i prodotti/servizi integrativi della sanità pubblica (89%), servizi per la propria famiglia (78,7%), consulenza e prodotti previdenziali (78%), insomma welfare integrativo a quello pubblico percepito in calo. Poi tutta una serie di servizi per la professione, sempre in percentuali molto alte, sia in termini di sviluppo che di transizione.

Sulla propria rappresentanza i manager chiedono…

… integrativi previdenziali e assistenziali, formazione e assicurazioni, che solo una bilateralità contrattuale nazionale può garantire.

Marco Bentivogli
«È una richiesta che trova nella pratica e nell’esperienza contrattuale la sua sostanza. In questi anni abbiamo sempre più riscontrato la richiesta e l’esigenza di una contrattazione su previdenza e sanità integrativa, a cui si è aggiunto il welfare – questo favorito anche dagli sgravi fiscali – e gli istituti della bilateralità, nati in origine nei settori più frammentati della piccola impresa. Esigenza che può trovare nella contrattazione, sia a livello nazionale che aziendale-territoriale, una risposta adeguata. Come Fim proprio su questo versante abbiamo sottoscritto un accordo con l’Associazione professionale dei quadri e delle alte professionalità del Gruppo Fca, convinti che la nuova rivoluzione industriale, Industry 4.0, apra uno scenario del tutto opposto a quello dell’autunno degli anni 80, in cui era forte la contrapposizione tra colletti bianchi e operai. Oggi Industry 4.0 ha bisogno di smart union, di sindacati che sappiano integrare e rappresentare tutte le professionalità, dagli operai ai quadri. La ricomposizione di tutte le professioni è infatti un elemento insostituibile nella fabbrica moderna. Un percorso che si aggiunge all’attività sindacale già in essere in molti altri accordi che la Fim sta sostenendo e rinnovando in molte aziende, come è stato fatto anche con il recente contratto di secondo livello in Leonardo e Fincantieri».

Giuseppe De Rita
«La “riperimetrazione delle tutele”, indotta dalla riduzione delle risorse pubbliche destinate a politiche di redistribuzione e di protezione sociale e la diffusione di una percezione di maggiore insicurezza nei confronti del futuro, ha portato alla ricerca di nuove soluzioni che non inibiscano la capacità competitiva delle aziende, e nello stesso tempo consentano alle professionalità e alle risorse umane, quelle più elevate in particolare, di agire in un contesto di maggiore certezza. L’attenzione alla formazione e allo sviluppo delle professionalità da parte dei manager riflette la rilevanza di questo “connubio sfidante” fra competitività delle aziende e crescita professionale, sintesi di obiettivi condivisi e veicolo di innovazione in mercati e settori resi sempre più dinamici da tecnologie e reti di integrazione fra domanda e offerta».

 … di essere maggiormente rappresentati professionalmente, perché si devono muovere in un mondo del lavoro sempre più complesso e sfidante.

Marco Bentivogli
«Questa è la sfida maggiore per tutte le associazioni sindacali. Occorrono impegno e intelligenza nell’interpretare i bisogni di rappresentanza, ma anche una grande lungimiranza nel promuovere le spinte positive e innovative che provengono dalle persone, dai lavoratori, dalle nuove esperienze e dai nuovi contesti».

Giuseppe De Rita
«La richiesta di una maggiore rappresentanza è collegata anche al potenziale che Manageritalia può esprimere proprio in forza di un ruolo non ripiegato su se stesso, puramente difensivo (come spesso si riscontra in altre organizzazioni), ma tale da rendere Manageritalia un luogo di elaborazione di soluzioni in grado di fare da apripista rispetto a temi nuovi che il mercato e la competizione sollecitano. Dall’indagine sul “vissuto” di Manageritalia emerge questa sollecitazione a saldare la dimensione individuale del singolo dirigente, quadro, executive professional, con un’ottica di condivisione e sviluppo aperta a occasioni di scambio, di networking, alla creazione di un quadro di facilitazione e di accesso a nuove opportunità di crescita professionale».

… tutela verso le istituzioni, servizi professionali e possibilità di portare il loro contributo allo sviluppo economico e sociale del Paese.

Marco Bentivogli
«È proprio questo lo spirito. Il sindacato, da sempre, è un grande luogo educativo e una palestra di democrazia che crea consapevolezza, autonomia e protagonismo. Anche se poi si è spesso adattato all’esistente, generando pigre dipendenze tra ruoli e ipotecando la responsabilità, che invece costituisce la precondizione di ogni ruolo di rappresentanza forte e all’altezza. Per questo dico che le forme di rappresentanza corporativa hanno ormai perso l’aggancio con le ragioni storiche che le hanno prodotte. Il sindacato moderno si realizza attraverso un’idea evoluta di sviluppo sociale ed economico, sostenibile ed equilibrato, all’interno della quale ognuno assume in pieno la propria responsabilità».

Giuseppe De Rita
«Gli anni appena passati hanno consegnato, inequivocabilmente, una diffusa consapevolezza dell’insufficienza di soluzioni individuali di fronte a problemi globali. I manager su questo aspetto hanno sperimentato sulla propria pelle la maggiore esposizione ai rischi dell’insicurezza e dell’indeterminatezza delle carriere professionali che l’azione solitaria può produrre. Questo per la posizione di prima linea che occupano nella dinamica competitiva anche a livello internazionale. Per questo hanno anticipato, rispetto ad altre categorie, un altro importante assunto: oggi e in futuro la competizione è competizione di sistemi, che può prescindere da confini nazionali, ma non può rinunciare a una base territoriale di riferimento (fatta di soggetti complessi e portatori di visioni condivise). La sommatoria di tutti questi impegni e iniziative diventa la precondizione per una crescita economica duratura e distribuita, questa sì, a vantaggio della collettività e del Paese».

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca