La violazione del patto di non concorrenza: cosa dice la recente giurisprudenza di merito

La penale per la violazione è riducibile in via equitativa solo qualora l’entità della stessa risulti manifestamente sproporzionata rispetto al danno potenziale
assistenza legale

Abbiamo già trattato del patto di non concorrenza in due articoli dedicati alla facoltà di recesso da parte del datore di lavoro e al  diritto di opzione.

Con la sentenza n. 132 del 26 febbraio 2025, il Tribunale del Lavoro di Parma ha confermato la validità di un patto di non concorrenza stipulato tra un consulente finanziario e la banca presso cui lavorava, condannando il lavoratore al pagamento delle penali previste per la violazione degli obblighi contrattuali. La pronuncia appare interessante, distinguendosi per un’approfondita ricognizione dei diversi profili giuridici che caratterizzano la materia.

Il caso riguardava un consulente che, dopo essersi dimesso, aveva iniziato a lavorare per un istituto concorrente, nonostante avesse sottoscritto un patto che gli vietava di svolgere attività concorrenziale per 12 mesi in Emilia-Romagna e nelle province situate entro un raggio di 250 km dalla precedente sede di lavoro, in cambio di un corrispettivo annuo di 10.000 euro.

Il lavoratore contestava la validità del patto, mentre la banca, in risposta, chiedeva l’inibizione dell’attività concorrenziale e il pagamento di penali per 132.436 euro per la violazione del patto, oltre a 20.000 euro per la mancata informativa sulle future attività lavorative.

Il Tribunale ha ritenuto legittime le limitazioni territoriali e oggettive, evidenziando che il consulente poteva comunque operare in settori affini o svolgere attività diverse nello stesso ambito bancario, peraltro all’interno di un’ampia porzione del territorio nazionale. È stata giudicata valida anche la clausola di recesso unilaterale del datore, in quanto esercitabile solo durante il rapporto, senza compromettere il corrispettivo già percepito e con effetti differiti di nove mesi. Anche se ritenuta eventualmente nulla, tale clausola non avrebbe inficiato l’intero patto, in quanto accessoria.

Il compenso annuo è stato ritenuto congruo, considerando anche la previsione contrattuale di un minimo garantito pari a tre annualità. Esclusa, infine, la necessità di un corrispettivo aggiuntivo per l’obbligo informativo, in assenza di una specifica previsione normativa.

Il Tribunale ha quindi vietato al consulente di proseguire nella nuova attività lavorativa e ha confermato l’applicazione integrale della penale, ritenendola proporzionata rispetto al danno potenziale subito dalla banca.

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