Il superminimo individuale è un compenso accessorio, frutto dell’autonomia negoziale tra datore di lavoro e lavoratore, che si aggiunge ai minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva nazionale. Non essendo eterodeterminato, può essere riconosciuto per diverse finalità: valorizzazione della professionalità, compensazione di condizioni gravose, fidelizzazione o incentivi economici. Una volta attribuito, entra a far parte degli elementi fissi della retribuzione, insieme a paga base, contingenza e scatti di anzianità.
La questione centrale riguarda la possibilità di assorbire il superminimo quando intervengono aumenti retributivi, ad esempio per rinnovi contrattuali o progressioni di carriera. Di seguito un esempio:
Il Ccnl prevede una paga base di 2.200 euro, cui si aggiunge un superminimo concordato singolarmente di 200 euro, per un totale di 2.400 euro. Con il rinnovo contrattuale arriva un aumento di 250 euro, che porta la paga base a 2.450 euro. Poiché l’aumento supera il superminimo, questo verrebbe assorbito e l’incremento reale per il lavoratore sarebbe di soli 50 euro.
La giurisprudenza di legittimità afferma il principio generale dell’assorbimento, ad eccezione dei seguenti casi:
- le parti stabiliscono con clausola espressa la non assorbibilità;
- la contrattazione collettiva lo vieta;
- l’emolumento è attribuito per meriti personali o particolari caratteristiche delle mansioni svolte.
L’onere probatorio grava sul dipendente, e la volontà negoziale può essere ricostruita anche attraverso il comportamento delle parti successivo alla conclusione del patto. In tal senso, la prassi aziendale consolidata può assumere rilievo: la reiterata disapplicazione della regola dell’assorbimento, a vantaggio dei lavoratori, integra un uso aziendale che produce effetti sui singoli rapporti di lavoro alla stregua di una fonte collettiva. Per ripristinare il principio dell’assorbibilità, sarebbe necessario un nuovo accordo aziendale che elimini il trattamento più favorevole e ripristini il diritto datoriale di operare di assorbire i futuri incrementi retributivi. La Cassazione (ordinanza n. 12473/2025) ha confermato tale interpretazione, ma ha anche precisato che, in presenza di un “sopravvenuto sostanziale mutamento di circostanze rispetto all’epoca di formazione dell’uso aziendale”, il datore può revocare tale prassi, motivandone le ragioni per iscritto, e reintrodurre unilateralmente il trattamento meno vantaggioso.
Ciò evidenzia la natura dinamica del superminimo, che richiede attenzione nella formulazione delle clausole e nella gestione delle prassi aziendali, per prevenire contenziosi.