Con l’ordinanza n. 24911 dell’11 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito un principio fondamentale in materia di diritto del lavoro: anche durante il periodo di prova, il lavoratore può revocare le proprie dimissioni entro sette giorni dalla trasmissione del modulo telematico, come previsto dall’art. 26 del D.lgs. 151/2015.
Questa pronuncia smentisce quanto affermato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 12/2016, che esclude il recesso in prova dall’ambito di applicazione della possibilità di revoca. Secondo la Suprema Corte, tale esclusione non troverebbe alcun fondamento nella norma primaria, la quale elenca in modo tassativo le fattispecie escluse (rapporti di lavoro domestico, pubbliche amministrazioni e dimissioni rese in sede protetta), senza però menzionare il periodo di prova. Le circolari ministeriali, infatti, hanno valore di indirizzo interno e non possono introdurre limitazioni ai diritti dei cittadini né vincolare l’interpretazione del giudice, conferendo contenuti diversi ed ulteriori rispetto al tenore testuale di una disposizione. Nel caso in esame, la circolare ministeriale sarebbe andata oltre la mera attività ermeneutica, introducendo un’ipotesi derogatoria non espressamente prevista dalla legge.
La Cassazione ha quindi chiarito che, se il lavoratore esercita la revoca nei termini di legge, l’atto di dimissioni perde efficacia e il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto, con pieno ripristino della fase di prova. Tale interpretazione rafforza le garanzie contro le “dimissioni in bianco” e tutela la libertà decisionale del lavoratore, assicurando la possibilità di un ripensamento consapevole.
È importante sottolineare che il ripristino del rapporto non limita la libertà del datore di lavoro di recedere dal contratto, come previsto dalle regole del patto di prova. L’azienda mantiene la possibilità di valutare le competenze del dipendente e decidere sulla prosecuzione del rapporto, nel rispetto dei tempi necessari per una valutazione equa.