Nullità del patto di non concorrenza sproporzionato: cosa dice la recente giurisprudenza di merito

La Corte d’Appello di Catania ribadisce i limiti dell’art. 2125 c.c., confermando la necessarietà di un equilibrio tra corrispettivo concordato e limitazioni imposte
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Abbiamo già trattato del patto di non concorrenza in precedenti articoli del nostro focus:

Con la sentenza n. 593 dell’11 luglio del 2025, la Corte d’Appello di Catania ha statuito la nullità di un patto di non concorrenza sottoscritto da un ex dipendente del settore informatico, ribadendo i criteri fondamentali di validità previsti dall’art. 2125 c.c.

Il caso riguardava un lavoratore che, al momento delle dimissioni, era vincolato da un accordo post-contrattuale della durata di 18 mesi, con divieto di svolgere attività di sviluppo software su tutto il territorio nazionale, a fronte della corresponsione di un corrispettivo di 150 euro mensili. A seguito della scoperta di una collaborazione con una società concorrente, l’ex datore di lavoro aveva richiesto la condanna per violazione del patto, o quantomeno la restituzione delle somme versate.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dichiarato la nullità della clausola, rilevando un’eccessiva ampiezza del divieto – che impediva ogni attività riconducibile allo sviluppo software – e un corrispettivo manifestamente inadeguato. Secondo i giudici, il vincolo imposto comprometteva in modo assoluto la possibilità per il lavoratore di esercitare la propria professionalità, in assenza di una contropartita economica equa.

La decisione si inserisce nel solco dell’orientamento consolidato della Cassazione: i patti di non concorrenza devono essere precisi, limitati e proporzionati, bilanciando i vincoli imposti e le contropartite economiche pattuite. Qualora il divieto risulti eccessivo e/o il compenso squilibrato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, l’intero accordo è da ritenersi nullo, con conseguente inefficacia delle clausole accessorie e dell’obbligo restitutorio.

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