Insubordinazione e licenziamento: la Cassazione ribadisce i confini della giusta causa

La Cassazione fa chiarezza sul tema del licenziamento per grave insubordinazione
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Con l’ordinanza n. 21103 del 24 luglio 2025, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di diritto del lavoro: un singolo episodio di offesa grave rivolto al superiore gerarchico può integrare una giusta causa di licenziamento per insubordinazione, giustificando il recesso immediato del datore di lavoro, senza obbligo di preavviso, ai sensi dell’articolo 2119 del Codice civile.

La decisione si inserisce nel contesto della consolidata giurisprudenza sulla lesione del vincolo fiduciario quale elemento determinante del recesso per giusta causa. Il comportamento insubordinato viene analizzato attraverso un doppio passaggio logico: prima, la sussunzione del fatto nella previsione contrattuale (insubordinazione lieve o grave, secondo i Ccnl); poi, la valutazione di gravità e proporzionalità, che spetta al giudice di merito, tenendo conto della natura del rapporto, del grado di responsabilità del lavoratore, della modalità dell’azione e del contesto in cui essa è avvenuta.

In particolare, l’insubordinazione grave si realizza quando il rifiuto dell’ordine è accompagnato da comportamenti offensivi, denigratori o minacciosi, tali da compromettere irreparabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro (Cassazione n. 8826/2017). Al contrario, l’insubordinazione lieve — come il semplice rifiuto di eseguire un compito, senza eccessi verbali — è in genere sanzionata con provvedimenti conservativi (richiami, sospensioni brevi), salvo che si verifichi una recidiva.

Sul punto, l’ordinanza chiarisce che la recidiva non comporta automaticamente il licenziamento, nemmeno se prevista dal contratto collettivo. Essa può rafforzare la valutazione di gravità solo se la reiterazione della condotta ha effettivamente aggravato il pregiudizio al rapporto fiduciario. Il giudice è tenuto a compiere un accertamento specifico, concreto e non meramente formale, preservando un equilibrio tra le disposizioni collettive e la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cassazione n. 26770/2024).

Infine, si sottolinea che la tipizzazione contenuta nei Ccnl ha valore esemplificativo e non vincolante, rappresentando un criterio utile ma non decisivo nella valutazione della legittimità del licenziamento (Cassazione n. 6398/2025): il datore di lavoro, prima di comminare la sanzione, deve sempre analizzare la gravità della situazione nel contesto specifico.

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