Parità di genere nel 2025: qual è la situazione in Italia?

Il nostro Paese resta ancora al di sotto della media europea e lontana dai migliori 50 paesi del Mondo

Secondo il Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum, a livello globale il divario di genere è stato ridotto del 68%, ma nessun Paese ha ancora raggiunto la parità totale. Si stima che occorrerebbero altri 123 anni per conseguire una piena uguaglianza a livello mondiale.

L’Islanda guida la classifica con oltre il 90% del divario colmato, mentre l’Italia si colloca all’85° posto su 148 Paesi, guadagnando solo due posizioni rispetto al 2024 e rimanendo al di sotto della media europea. Il nostro Paese mostra buoni risultati nell’istruzione (quasi parità) e nella salute, ma resta fanalino di coda per partecipazione economica e opportunità (117° posto) ed empowerment politico (65°). Le donne italiane, pur essendo ottimamente istruite e qualificate, rappresentano appena il 28,8% delle posizioni apicali e subiscono un forte ricorso al part-time involontario (fino al 64%). Questo divario economico-sociale ha un riflesso concreto anche nelle retribuzioni: L’Osservatorio dell’Inps del 2024 sui lavoratori dipendenti del settore privato mostra che nel nostro paese il reddito medio femminile è inferiore del 29% rispetto a quello maschile.

Per affrontare il tema del gender pay gap, l’Unione Europea ha adottato la Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza retributiva, che i singoli Stati membri dovranno recepire entro il 7 giugno 2026. La normativa introduce obblighi chiari: comunicazione delle fasce salariali nelle offerte di lavoro, diritto dei dipendenti a conoscere i criteri retributivi e divieto di clausole di segretezza. Le aziende con oltre 100 dipendenti dovranno rendicontare il divario retributivo di genere e, se il gap supera il 5% in assenza di criteri oggettivi, attuare piani correttivi con i rappresentanti dei lavoratori. Inoltre, la direttiva prevede risarcimento e/o riparazione del danno per lavoratrici e lavoratori discriminati e inverte l’onere della prova: spetterà all’azienda dimostrare di non aver violato le regole.

Per l’Italia, dove la trasparenza salariale è tra le più basse in Europa, questa direttiva rappresenta una leva legislativa importante, ma non basta: serve una svolta culturale e organizzativa che smantelli gli stereotipi. La parità di genere non può essere affidata alla sola buona volontà delle imprese: è una priorità sistemica che richiede politiche pubbliche stabili e un impegno congiunto tra istituzioni e aziende.

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