Manageritalia: “Gli aumenti del ccnl non possono essere assorbiti dal superminimo, se non quando previsto”

La nostra risposta all’articolo del Sole 24 ore dell’11 dicembre, inviata anche al quotidiano, dal titolo “Superminimo assorbibile messo in crisi dai Ccnl” a firma di Enzo De Fusco
superminimo

L’articolo di Enzo De Fusco pubblicato sul Sole 24 Ore (vedi sotto) sostiene che il recente rinnovo del Ccnl dirigenti del terziario “metterebbe in crisi” il superminimo assorbibile e che le aziende dovrebbero introdurre una clausola di “rimodulazione” per aggirare il divieto di assorbimento degli aumenti contrattuali. Si tratta di un’impostazione che presenta criticità profonde, sia sul piano giuridico sia su quello sistemico e di politica salariale.

De Fusco interpreta il divieto di assorbimento come una sorta di “intrusione” della contrattazione collettiva nello spazio dell’autonomia individuale. Ma il nostro ordinamento dice esattamente il contrario.

Il superminimo nasce per valorizzare il merito, non per modificare o comprimere le tutele minime né per sterilizzare l’intervento collettivo. La contrattazione individuale può aggiungere, non sottrarre.

La volontà individuale non può essere utilizzata per neutralizzare una funzione propria e collettiva del Ccnl. Ed è proprio questo che la clausola del nuovo rinnovo intende impedire.

Le Parti firmatarie hanno infatti valutato una pluralità di elementi: l’andamento dell’inflazione, l’investimento sulla previdenza complementare, la necessità di riallineare la retribuzione dei dirigenti del settore con altri ambiti comparabili, anche a livello internazionale, nonché l’esperienza dei precedenti rinnovi, nei quali la fase pandemica aveva portato persino alla sottoscrizione di contratti senza aumenti.

In altre parole, non è possibile superare o aggirare, attraverso un fraintendimento interpretativo, la volontà delle Parti, che hanno assunto decisioni di sistema, insindacabili nel loro complesso, per questo rinnovo.

Va inoltre ricordato che il rinnovo del 5 novembre è stato firmato in anticipo, per la prima volta dopo molti anni. Ciò ha consentito di evitare arretrati significativi, di scongiurare il ricorso a Una Tantum onerose per le imprese e di distribuire l’aumento in modo più equilibrato nel tempo, certamente programmabile.

Un ulteriore elemento di chiara logica sindacale è che la clausola tutela chi, negli anni scorsi, ha ricevuto aumenti meritocratici. Se il dirigente ha ottenuto un incremento per merito – come riconoscimento individuale di prestazioni, risultati o responsabilità – quel valore non deve essere eroso da un aumento contrattuale generalizzato.

Si tratta di un principio di equità: chi è stato premiato dall’azienda non può perdere il beneficio del merito; chi non è stato premiato deve comunque recuperare il potere d’acquisto della propria retribuzione, ossia di quanto pattuito, e che deve mantenere lo stesso valore nel tempo.

Per gestire situazioni di inefficienza o inadeguatezza professionale, il contratto prevede altri strumenti; non certo la riduzione, di fatto, della retribuzione.

Su questi temi, del resto, da anni in Italia si denuncia che i salari non crescono, che il potere d’acquisto si erode, che i rinnovi contrattuali sono troppo timidi e che serve maggiore coraggio da parte delle parti sociali.

Finalmente un contratto collettivo interviene seriamente sul potere d’acquisto dei dirigenti e subito si sostiene che ciò “crea problemi” perché impedisce di assorbire gli aumenti nel superminimo. È un paradosso.

L’aumento del minimo serve esattamente a proteggere il potere d’acquisto della componente fissa, lasciando alle aziende tutto lo spazio del merito sul resto della retribuzione (superminimi, MBO, bonus, stock option, RSU, indennità).

Fatte tutte queste lunghe ma riteniamo doverose premesse, ci preme infine sottolineare che la proposta fatta è pericolosa per le azìende perché le espone ad un forte rischio di causa.

L’autore infatti propone che, quando il Ccnl vieta l’assorbimento: il superminimo venga revocato; e contestualmente ricostituito in misura ridotta, per compensare l’aumento tabellare. Questa soluzione presenta tre vizi gravi.

  1. Viola il principio dell’irriducibilità della retribuzione

La Cassazione è chiara: ciò che rileva non è il nome delle voci retributive, ma l’effetto economico complessivo. Revocare un superminimo consolidato e sostituirlo con un nuovo superminimo ridotto è una riduzione retributiva, anche se accompagnata da un aumento contrattuale. Le norme costituzionali e la giurisprudenza non consentono operazioni di maquillage retributivo.

  1. Svuota la funzione dell’aumento contrattuale

Se l’azienda aumenta il minimo tabellare come previsto dal Ccnl, ma contemporaneamente riduce il superminimo individuale, la retribuzione reale non cresce. Questo annulla la scelta collettiva delle parti, la finalità di recupero del potere d’acquisto e la natura stessa del rinnovo contrattuale. È una neutralizzazione dell’intervento collettivo, non consentita dall’ordinamento.

  1. Contrasta con l’art. 2077 c.c. e quindi sarebbe nulla

L’art. 2077 c.c. dispone che le clausole individuali difformi sono sostituite di diritto dal Ccnl, salvo che siano più favorevoli al lavoratore. Una clausola di rimodulazione che compensi l’aumento tabellare con una riduzione del superminimo: contraddice la clausola del Ccnl che rende non assorbibili gli aumenti; produce un effetto meno favorevole per il lavoratore; e dunque è nulla..

Concludendo, si può affermare che la linea dell’articolo si fondi su l’equivoco: che il superminimo sia un’area sovrana della contrattazione individuale.

Ma l’ordinamento afferma principi contrari: la contrattazione individuale non può comprimere lo spazio minimo definito dal Ccnl; le clausole peggiorative vengono sostituite dal contratto collettivo; la rimodulazione elusiva è giuridicamente inapplicabile.

Il Ccnl dirigenti del terziario non crea un problema: ha finalmente risolto quello del recupero reale del potere d’acquisto, impedendo che aumenti tabellari significativi vengano svuotati da operazioni meramente ragionieristiche.

In un momento storico di salari stagnanti e dialogo sociale fragile, una scelta forte e coraggiosa viene contestata solo da chi pensa di poterne annullare gli effetti. Ma sempre attenzione ai pericoli a cui cis i espone.

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