Sul Decreto pensioni d’oro

La questione delle pensioni d’oro, già trattata da una proposta di legge d’iniziativa dei Cinque Stelle e della Lega, è un tema che negli ultimi tempi appare come l’araba fenice, appare, sparisce e ricompare, talvolta sotto altre spoglie. Sulla misura da adottare, infatti, in questi mesi il Governo Conte ha tentato le strade più diverse: abbandonato il famoso ricalcolo delle pensioni sopra i 5mila euro netti basato sulla contribuzione previdenziale (previsto dal contratto di Governo), si è passati, con la proposta di legge AC 1071, a un taglio delle pensioni sopra i 4.500 euro netti basato sull’età. Poi si è pensato a introdurre una misura nel decreto fiscale, strada poi abbandonata; infine da qualche giorno si parla di un nuovo blocco della perequazione oltre i 3.500 euro netti da aggiungersi al “taglio” e si ipotizza anche un contributo di solidarietà per i prossimi tre anni. Manageritalia stigmatizza sia il metodo sia i contenuti delle misure.

Riguardo al metodo, gli interessati al provvedimento sono costretti a rincorrere notizie di stampa sulle  intenzioni del Governo, ogni volta incerte, mutevoli e contraddittorie. Non sarebbe più onesto convocare le categorie colpite e chiedere loro in maniera trasparente un aiuto per il Paese?
Si può fermare questa politica degli annunci (un giorno veri, un giorno falsi, un giorno diversi) e riunirsi intorno a un tavolo per un confronto serio e onesto?
Sui contenuti sembra di capire che i tagli introdotti potrebbero essere addirittura due: uno legato all’età (e non più ai contributi versati) e l’altro collegato all’ennesimo blocco della perequazione, che sembra sarà triennale e per fasce di reddito. Dopo i due anni del blocco disposto dal Governo Letta, prorogati per altri due anni fino a dicembre 2018, vi sarebbe un nuova sospensione di tre anni.

I dirigenti in pensione, che di blocchi della perequazione ne hanno subiti numerosi negli anni, sanno bene che la sospensione dell’indicizzazione, anche se posta per un triennio, non è temporanea, ma si riflette sull’importo pensionistico per sempre. Solo per i tre anni considerati gli uffici di Manageritalia hanno calcolato una perdita media di quasi 2.500 euro.
Quella contro i pensionati “d’oro” è divenuta una persecuzione di classe; nelle tribune politiche questi vengono ora indicati come coloro che hanno sottratto quote di pensioni ad altre categorie per procurarsi la propria.
In tal modo si ledono i principi su cui si basa la democrazia, la meritocrazia, il legittimo affidamento da parte del cittadino nei confronti dello Stato, il rispetto delle leggi ecc.
Per non parlare di chi ancora non è andato in pensione, che vede questo attacco continuo e si chiede, preoccupato, se ha ancora senso versare contributi d’oro per poi vedersi tagliate le pensioni qualche anno dopo.
Si adottano misure generaliste solo per colpire un categoria di presunti privilegiati, senza fare un distinguo tra caso e caso, tra coloro che sono voluti andare in pensione anticipatamente e coloro che sono stati estromessi, loro malgrado, per ristrutturazioni aziendali.
In nome di un finto e ipocrita giustizialismo si intende sacrificare il merito e punire chi si è costruito negli anni una sicurezza economica versando, nel pieno rispetto delle leggi, contributi allo Stato, contribuendo in misura progressiva alla fiscalità generale e assicurando sempre la propria solidarietà verso i più deboli. 

I dirigenti non vogliono sottrarsi dal fare solidarietà nei riguardi di chi ha pensioni di importo basso. Ma respingono totalmente questa immagine di categoria di privilegiati proposta da un Governo che non colpisce chi evade tasse e contributi, ma anzi lo aiuta, con la “pace fiscale”. Con il risultato che l’insieme dei prelievi ai cosiddetti “pensionati d’oro” finiranno per integrare le pensioni erogate dallo Stato a chi risulta nullatenente e nullafacente perché ha evaso da sempre.

Invitiamo il  Governo a riflettere sulla coerenza di quanto si appresta a fare con la manovra economica: si spingono migliaia di lavoratori ad andare in pensione anticipatamente con “quota 100” e si punisce chi lo ha fatto negli anni precedenti, spesso non per propria scelta.

Chiediamo quindi RISPETTO per una categoria che contribuisce da sempre, con il proprio lavoro e con le proprie risorse fiscali e contributive, allo sviluppo del Paese. Insieme con la Cida stiamo assumendo diverse iniziative, sulla stampa e nei riguardi delle istituzioni politiche per frenare questa deriva populista.

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