Rapporto Ocse Pensions at a glance 2019

Evidenziata la necessità di limitare il pensionamento anticipato agevolato rispetto alla vecchiaia e di applicare debitamente i collegamenti con l’aspettativa di vita

Nel sistema pensionistico italiano la priorità dovrebbe essere aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro dato che al momento è a 62 anni, di due anni circa inferiore alla media Ocse e di cinque più bassa rispetto all’età legale di vecchiaia (67). Lo si legge nel Rapporto Ocse “Pensions at a Glance” presentato a novembre, nella scheda sull’Italia, dove viene evidenziata la necessità di limitare il pensionamento anticipato agevolato rispetto alla vecchiaia e di applicare debitamente i collegamenti con l’aspettativa di vita.

L’Ocse sottolinea infatti che nonostante l’età di ritiro legale sia di 67 anni, tre anni superiore a quella della media Ocse, di recente è andata indietro rispetto alle riforme che hanno introdotto Quota 100. Secondo l’organizzazione parigina, nel nostro Paese inoltre il reddito medio delle persone con più di 65 anni è simile a quello dell’intera popolazione, mentre nella media Ocse è più basso del 13%.
Il rapporto evidenzia anche che l’Italia spende per il sistema pensionistico il 16% del Pil: è la seconda più alta tra i paesi Ocse, dietro soltanto a quella della Grecia.

In Italia la spesa previdenziale nel 2015 si è attestata al 16,2% del Pil, contro il 16,9% della Grecia a fronte di una media Ocse dell’8,5%.
Il nostro Paese, insieme a Danimarca, Estonia e Olanda, è uno dei 4 paesi Ocse in cui chi entra oggi nel mondo del lavoro andrà in pensione di anzianità a 71 anni di età. Chi ha iniziato a lavorare in Italia a 22 anni nel 2018 andrà in pensione di anzianità a 71 anni (in compagnia di Olanda ed Estonia) contro i 74 della Danimarca.

Nei paesi Ocse in media si andrà in pensione a 66,1 anni. L’Ocse nota inoltre che, anche per i nuovi arrivati nel mondo del lavoro, qualora restassero in vigore le norme attuali, sarà possibile chiedere di andare in pensione a 68 anni con 20 anni di contributi. Per quanto riguarda il tasso di sostituzione, cioè la percentuale di stipendio medio accumulato nel corso della vita lavorativa che va a formare la pensione, nei paesi Ocse è attualmente del 59%, mentre in Italia può salire fino al 92% per chi va in pensione a 71 anni, mentre per chi chiederà la pensione a 68 anni con 20 anni di contributi scenderà al 79%. L’Ocse segnala inoltre che la pensione di cittadinanza ha innalzato i benefici per la vecchiaia portandoli al di sopra della media Ocse per questi schemi. In particolare, l’Organizzazione ricorda le difficoltà del mercato del lavoro italiano con una percentuale di lavoro temporaneo e part-time, che generalmente dà guadagni più bassi, più alto rispetto alla media dei paesi Ocse.

Queste forme di lavoro, avverte, aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi. Inoltre i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi, con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% della media Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse. Anche questo rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati.
Il consiglio dell’Ocse al nostro Paese è quello di concentrarsi sull’aumento dei tassi di occupazione, in particolare tra i gruppi vulnerabili, al fine di ridurre l’utilizzo futuro delle prestazioni sociali di vecchiaia.

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