Non è una pensione per giovani

Cosa è successo al convegno del Pd a cui hanno partecipato governo e sindacati

Ieri sera Manageritalia ha partecipato al seminario Non è una pensione per giovani organizzato dal Partito Democratico nella sede di largo del Nazareno a Roma. All’incontro sono intervenuti il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il vicesegretario e il consigliere economico del Pd, Maurizio Martina e Tommaso Nannicini, e i tre segretari di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

 
Sono stati affrontati, in un clima molto disteso, i temi della cosiddetta fase due, che erano già stati anticipati nell’accordo firmato con le parti sociali il 28 settembre 2016 e che saranno sviluppati nei prossimi mesi. In autunno, infatti, procederà il confronto con le parti sociali in modo da fare confluire la nuova normativa nella legge di bilancio per il 2018.  
 
Uno dei temi più caldi dell’attuale dibattito è il rapporto tra le generazioni sul piano pensionistico. Entrambe le fasi del confronto tra Governo e sindacati sono finalizzate a riequilibrare tale rapporto sul piano dell’equità.
 
Di che si tratta? La proposta che formulerà il Pd parte innanzitutto dalle pensioni dei lavoratori giovani (in particolare quelli assunti dal 1 gennaio 1996), che saranno calcolate esclusivamente con il metodo contributivo e non beneficeranno delle integrazioni al minimo previste invece dal sistema retributivo.  
 
Tali pensioni dipenderanno esclusivamente dai contributi che saranno versati, ma questo presuppone carriere lunghe, senza interruzioni e con retribuzioni adeguate. Poiché la realtà è un’altra, occorre trovare una soluzione immediata che possa consentire a queste generazioni di lavoratori di pensare più serenamente al proprio futuro pensionistico.  
 
Stefano Patriarca, consigliere economico della presidenza del Consiglio, ha ipotizzato l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia basata sul numero di anni in cui si è stati attivi e sull’età del ritiro in quiescenza: se la pensione calcolata con il metodo contributivo risultasse inferiore a quella di garanzia verrebbe integrata fino all’ammontare di quella di garanzia.
 
L’ipotesi che il Governo sta valutando è quella di prevedere una pensione minima di 650 euro, per chi ha 20 anni di contributi (che potranno aumentare di 30 euro al mese per ogni anno in più fino ad un massimo di 1.000 euro). Occorrerà poi poter contare su un sistema di “redditi ponte” attraverso l’Ape social, quella volontaria, e la Rita, oppure di creare un fondo di solidarietà per il sostegno alle basse contribuzioni.  
 
Per le donne si prevede la possibilità di vedersi riconoscere i periodi di cura alla famiglia, che verrebbero tradotti in contribuzione, al fine di contemperare il progressivo e repentino allungamento dell’età lavorativa previsti dalle ultime riforme e il gap contributivo che da sempre caratterizza le carriere femminili.
 
Infine riguardo alla questione dello sganciamento dei requisiti di età dall’aspettativa di vita, di cui si è parlato in questi giorni, si è prefigurato di operare una distinzione tra categorie di lavoratori, consentendo solo a quelle con retribuzioni più basse (e che presentano un maggiore tasso di mortalità), di sospendere l’agganciamento agli indici della speranza di vita.
 
Quindi si parlerà, d’ora in avanti, di “diverse aspettative di vita”, così come confermato dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva in occasione di una recente audizione in Parlamento.
 
 
Qui il video integrale dell’incontro

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