Il Governo intende riformare alcune prestazioni previdenziali condizionandole al reddito familiare. Nei prossimi giorni la Commissione Lavoro della Camera dovrà esaminare il disegno di legge del Governo delega relativo al contrasto alla povertà e al riordino delle prestazioni sociali. L’area delle politiche socio-assistenziale è un’area in cui è forte l’esigenza di un intervento riformatore. Per questo il Governo dopo la riforma del mercato del lavoro e quella sugli ammortizzatori si appresta ora a rivedere il sistema delle prestazioni assistenziali, affiancando a tale riforma anche l’introduzione di misure specifiche contro la povertà, strumenti di protezione del reddito di specifiche fasce di cittadini economicamente deboli.
Alcune misure sono già in vigore: l’assegno sociale per gli anziani, la pensione di inabilità per gli invalidi civili – così come alcuni sostegni per le famiglie come l’assegno per le famiglie con almeno tre figli minori, la social card per i bambini con meno di tre anni, il cosiddetto bonus bebè raddoppiato per le famiglie con redditi bassi – ma manca una misura organica che copra le necessità delle famiglie più vulnerabili e in condizioni economiche di bisogno, a partire da quelle con figli.
Nella parte in cui si intende riformare le prestazioni sociali e previdenziali molta preoccupazione suscita una norma contenuta nel progetto di legge nella quale si afferma, tra i principi direttivi in base ai quali dovrà essere esercitata la delega, che vi sia anche quello dell’ “universalismo selettivo nell’accesso alle prestazioni, secondo criteri unificati di valutazione della condizione economica in base all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), eventualmente adeguati alla specifica natura di talune prestazioni”.
Nella relazione al disegno di legge vengono indicate le prestazioni e principali prestazioni di natura assistenziale, o di natura previdenziale sulle quali si intende intervenire: assegno sociale, pensione di reversibilità, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre o più figli minori.
Ad oggi i beneficiari della pensione di reversibilità sono 3.052.482; la spesa totale per lo Stato è pari a 24.152.946.974 euro.
Alla notizia del peggioramento della disciplina relativa alla pensione di reversibilità hanno reagito alcuni sindacati (qui l’articolo) e anche il Presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano (se ne parla qui e qui) dichiarandosi contrari alla misura del Governo. Il Governo ha chiarito che la razionalizzazione riguarderebbe solo le prestazioni future.
Peraltro la Commissione lavoro stava esaminando già da mesi alcune proposte di legge con l’intenzione di migliorare (e non peggiorare) la disciplina della pensione di reversibilità estendendone la portata sul piano economico.
Si profila quindi uno scontro di vedute sulle politiche previdenziali tra Governo e Parlamento. Non sarebbe la prima volta. Manageritalia vigilerà sull’interpretazione della norma segnalata, perseguendo il mantenimento e – se mai – il miglioramento della attuale normativa sulla reversibilità dei trattamenti pensionistici, attualmente già molto penalizzante per i superstiti.