È stato presentato ieri alla Camera dei Deputati il Sesto Rapporto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2017”, a cura del centro studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presieduto dal prof. Alberto Brambilla.
Si tratta di una sintesi degli andamenti di spesa pensionistica, entrate contributive e saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate, cui si aggiunge la riclassificazione della spesa (con ripartizione tra previdenza e assistenza), utile non soltanto a tracciare un bilancio del 2017, ma anche a effettuare previsioni sulla stabilità di medio e lungo termine del sistema di welfare italiano, tenendo conto anche delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio per il 2019.
Dal 2013 al 2017, al netto dell’assistenza, la spesa pensionistica ha fatto registrare un aumento medio pari allo 0,88%, evidente sintomo del fatto che le riforme varate in questo periodo, pur non esenti da criticità, hanno colto l’obiettivo fondamentale di stabilizzarla. A preoccupare sono piuttosto i numeri dell’assistenza che, peraltro, in assenza di un contributo di scopo, è totalmente a carico della fiscalità generale: 110,15 miliardi di euro nel 2017 (+26,65 miliardi dal 2012).
Nel 2017, la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni ha raggiunto, al netto della quota Gias, i 220,843 miliardi contro i 218,5 miliardi del 2016 e con un’incidenza sul Pil del 12,87%.
Pari a 199,842 miliardi le entrate contributive, con un aumento dell’1,7% rispetto a 2016, non sufficiente a evitare un saldo negativo di 21,001 miliardi (21,981 nel 2016): a gravare sul disavanzo in particolare la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di oltre 30 miliardi, e quella dei parasubordinati, con un passivo di 6,78 miliardi. In attivo invece di 3,67 miliardi il Fondo Pensione lavoratori dipendenti.
Sulle pensioni grava un importante carico fiscale Irpef, che per il 2017 è stato pari a 50,508 miliardi di euro (49,7 miliardi di euro nel 2016). Solo su 3 milioni di pensionati grava la gran parte dei 50,5 miliardi di Irpef. In sostanza, gran parte dell’onere fiscale sulle pensioni grava sul 19% dei pensionati, e in gran parte su quei quasi 890 mila pensionati che hanno pensioni sopra i 3.011 euro lordi il mese.
Questo dovrebbe far molto riflettere tutti coloro che propongono in modo acritico aumenti delle pensioni basse, poiché la maggior parte dei pensionati esenti da imposte, da lavoratore attivo ne ha pagate molto poche, o addirittura nulla.
Anche a seguito del lento decadimento delle pensioni di lungo corso erogate a soggetti di giovanissima età e che duravano da oltre 35 anni, prosegue la lenta riduzione del numero di pensionati, che nel 2017 ammontano a 16.041.852 unità. Una riduzione modesta, ma che segna comunque uno dei valori più bassi in assoluto tra quelli registrati dal 1995 in poi. Non solo, grazie all’effetto combinato dell’aumento dei lavoratori attivi, il rapporto tra occupati e pensionati tocca quota 1,435 (era pari a 1,417 nel 2016), valore prossimo a quell’1,5 che potrebbe rappresentare la soglia necessaria per la stabilità di medio e lungo periodo per l’intero sistema.
Nel 2017, si registra poi un aumento delle prestazioni in pagamento (28.682 prestazioni in più rispetto al 2016), un incremento (imputabile prevalentemente a prestazioni di natura assistenziale) che incide negativamente anche sul rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e pensionati: ogni pensionato riceve in media 1,433 prestazioni, numero più elevato nella serie storica elaborata dal centro studi e ricerche.
L’importo medio effettivo del reddito pensionistico è pari a 17.887 euro annui (17.580 nel 2016).
Con riferimento al 2017, l’insieme delle prestazioni assistenziali (prestazioni per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra) ha toccato quota 4.082.876, per un costo totale annuo di 22,022 miliardi. Se si aggiungono però anche integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali, si arriva a un totale di 8.023.935 di “pensioni assistite”: al lordo di qualche inevitabile duplicazione, i beneficiari di queste prestazioni rappresentano di fatto la metà dei pensionati totali. Il rapporto mette in guardia da una possibile “inefficienza della macchina organizzativa”, che finisce col distribuire queste risorse a una platea che i numeri suggeriscono essere troppo vasta per rispecchiare l’effettiva situazione economica del Paese.
Si dovrebbero armonizzare le norme di accesso attualmente vigenti e prevedere forme di controllo efficaci attraverso la realizzazione del casellario centrale dell’assistenza, mai partito e che potrebbe generare migliore allocazione delle risorse e risparmi per circa 5 miliardi annui strutturali. Il rischio è che queste prestazioni finiscano con l’incoraggiare evasori ed elusori, anziché essere realmente destinate ai più bisognosi.
Ancora tutto da valutare però l’impatto degli interventi sul sistema pensionistico inseriti nella Legge di Bilancio per il 2019 e nei successivi decreti (quota 100 e reddito di cittadinanza, blocco dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva, flessibilizzazione in uscita per precoci e donne, mantenimento di Ape sociale e lavori gravosi): provvedimenti che, verosimilmente, potrebbero in prima battuta interrompere sia la riduzione del numero delle pensioni sia il miglioramento del rapporto attivi/pensionati, facendo aumentare la spesa assistenziale con il rischio concreto che questa superi nel 2019 i 120 miliardi di trasferimenti (142 miliardi in totale): una prospettiva pericolosa, in assenza non solo di un’efficiente macchina organizzativa e di controllo, ma anche e soprattutto alla luce del rallentamento dell’economia del Paese.
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