Fondi integrativi per la sanità di domani

Il Servizio sanitario nazionale rappresenta una conquista fondamentale del nostro Paese, ma non è sufficiente. Per lo Stato sarà sempre più difficile fronteggiare la domanda di assistenza proveniente da una popolazione anziana e bisognosa di cure. È necessario ampliare la sussidiarietà con un maggiore utilizzo dei fondi integrativi istituiti dalla contrattazione collettiva, come il nostro Fasdac, che si fondano sulla solidarietà intergenerazionale, non applicano la selezione dei rischi e danno copertura anche per le malattie pregresse. Sono fondi che gestiscono frontiere sanitarie, come la prevenzione, la telemedicina e la long term care, che il Ssn attualmente non è in grado di garantire alla popolazione. Lo Stato dovrebbe favorire un maggiore utilizzo dei fondi integrativi con una seria politica che lasci maggiore reddito disponibile ai cittadini da investire nel welfare privato e con l’aumento degli incentivi fiscali riconosciuti alla sanità integrativa

Negli ultimi anni la spesa sanitaria è stata molto ridimensionata. Secondo i dati Oecd, nel periodo 2010-2019, a livello pro capite si è ridotta in Italia dell’8,1% a prezzi costanti, contro il +23,7% della Germania, il +19,6% della Francia, il +10,5% del Regno Unito e il -1,1% della Spagna. I cali più consistenti? Le cure ospedaliere, l’assistenza farmaceutica territoriale, la riabilitazione e le altre branche dell’assistenza distrettuale.

Il sistema sanitario costituisce un importante strumento per sostenere i processi di sviluppo economico e sociale. Le politiche per la tutela della salute, infatti, possono anche assicurare la coesione sociale, soprattutto se si sviluppa l’assistenza territoriale per fronteggiare l’aumento delle patologie cronico-degenerative e se si assicura una maggiore uniformità nell’accesso alle cure, nella qualità dell’offerta, negli oneri a carico dei cittadini e negli esiti in termini di salute.

Tutto questo non può realizzarsi senza garantire la sostenibilità del sistema sanitario. Tuttavia, la questione della sostenibilità non dovrebbe essere vista esclusivamente come un problema economico, come ammontare di risorse necessarie, ma come “sostenibilità del diritto alla salute”, quindi come un problema culturale e politico: fino a che punto si è disposti a salvaguardare questi principi nell’interesse della collettività? Quali cure il nostro sistema può riuscire a garantire nel modo migliore ai suoi cittadini?

Si tratta di problemi di equità e non solo di sostenibilità economica. Dobbiamo allora capire verso quali tipologie di cure si spingerà il Servizio sanitario nazionale nei prossimi decenni.

Lo stato di salute della popolazione
I problemi con cui il nostro Paese dovrà fare i conti sono l’invecchiamento demografico, la diffusione delle malattie cronico-degenerative e la denatalità.

Invecchiamento
Secondo le previsioni della Commissione europea (The 2021 Ageing Report), in Italia l’incidenza della popolazione anziana è destinata a crescere costantemente nei prossimi decenni, passando dal 23% del 2019 al 33,3% del 2070. A questa crescita dovrebbero contribuire soprattutto le classi di età più avanzate, tenuto conto che, al termine del periodo in esame, la quota degli ultraottantenni si attesterebbe in Italia al 14,5%.

Malattie cronico-degenerative
Secondo i dati Istat, nel nostro Paese il 47% degli anziani è affetto da artrosi o artrite, il 32% da disturbi cardiaci, il 25% da osteoporosi, il 17% da diabete, il 6% da Parkinson o Alzheimer, il 5% da neoplasie ecc.

Denatalità
Dalla lettura dei dati Eurostat emerge che in Italia il tasso di fecondità totale, ossia il numero medio di figli per donna in età fertile, si attesta su un valore (1,32) in linea con quello della Spagna (1,31), ma molto al di sotto di quello della Francia (1,92), del Regno Unito (1,74) e della Germania (1,57).

Per lo Stato risulterà particolarmente difficile fronteggiare la domanda di assistenza proveniente da una popolazione sempre più anziana e bisognosa di cure, considerando che siamo già oggi a livelli altissimi di pressione fiscale e contributiva. Ma anche le famiglie, sempre più di struttura mono-nucleare, non potranno assolvere da sole a tale compito.

La sostenibilità del sistema sanitario pubblico
Secondo le indicazioni dell’Oecd*, alcune riforme strutturali dovrebbero ridefinire il ruolo del settore pubblico e privato nell’ambito dell’assistenza, mantenendo la copertura pubblica universale per le prestazioni essenziali. Dovrebbero inoltre contrastare l’inappropriatezza delle prestazioni e i comportamenti di “free riding”, favorire la diffusione delle best practice a livello clinico, organizzativo e gestionale e, infine, consolidare i meccanismi di filtro della domanda (cosiddetto gatekeeping).

Questi meccanismi – che dovrebbero essere attivati prima di tutto dal medico di base in sede di cure primarie per evitare i ricoveri inutili – assumono una crescente rilevanza per raggiungere degli obiettivi di efficienza ed efficacia, perché a una maggiore disponibilità di servizi e prestazioni assistenziali non necessariamente corrisponde un miglioramento delle condizioni di salute della popolazione.

Come si è già detto, in prospettiva, un apprezzabile contributo alla sostenibilità dei sistemi sanitari pubblici potrà scaturire anche da un ampliamento della quota di spesa coperta dagli schemi assicurativi volontari offerti nel nostro Paese, rispettivamente dal secondo pilastro dell’assistenza socio-sanitaria, comprendente sia i fondi integrativi aperti (detti anche fondi doc o di tipo A) sia i fondi chiusi, ovvero gli enti, le casse e le società di mutuo soccorso aventi esclusivamente finalità assistenziali (detti anche fondi non doc o di tipo B), e dal terzo pilastro dell’assistenza socio-sanitaria, comprendente le imprese di assicurazione del ramo malattia.

Il secondo pilastro: i fondi di tipo B
All’interno del secondo pilastro, particolare rilevanza assumono i fondi istituiti dalla contrattazione, ovvero quei fondi di tipo B che sottoscrivono polizze collettive volte a coprire il rischio di malattia di gruppi omogenei di lavoratori dipendenti e che destinano almeno il 20% delle prestazioni alle cure odontoiatriche, alla riabilitazione funzionale e all’assistenza socio-sanitaria di persone non autosufficienti. L’importanza dei fondi negoziali è evidente se si considera che, su un totale di 10,6 milioni di iscritti ai fondi, il 63% sono lavoratori dipendenti, il 10% lavoratori indipendenti, il 5% pensionati e il rimanente 22% familiari a carico di lavoratori e pensionati.

Diversamente dai fondi sanitari – che sono associazioni non profit di tipo mutualistico – le assicurazioni del ramo malattia offrono sul mercato polizze individuali a premio variabile e non deducibile e, coerentemente con la loro natura di soggetti profit, politiche di selezione dei rischi per massimizzare gli utili.

Incentivare fiscalmente l’utilizzo dei fondi sanitari e ampliarne la diffusione potrebbe essere quindi un’azione strategica importante.

Al 31 luglio del 2018 i fondi iscritti all’anagrafe dei fondi sanitari del ministero della Salute erano 311, di cui 9 di tipo A e 302 di tipo B. In Italia sembrano esserci ampi spazi per un’espansione del contributo offerto dal secondo pilastro dell’assistenza socio-sanitaria, i cui elementi distintivi sono sussidiarietà, responsabilità, partecipazione e flessibilità nella soddisfazione dei bisogni.

I 4 obiettivi dell’attività dei fondi negoziali
L’importanza dei fondi negoziali e degli altri enti del secondo pilastro è strettamente collegata ai quattro obiettivi della loro attività tipica o caratteristica, per i quali vale la pena spendere qualche parola.

<1>
Promuovere la tutela della salute, garantendo ai propri iscritti una serie di prestazioni e percorsi terapeutici compresi e non compresi nei livelli essenziali di assistenza del Ssn.

<2>
Favorire l’accesso ai servizi forniti da ambulatori e ospedali privati.

<3>
Assicurare la cosiddetta long term care, cioè l’assistenza domiciliare.

<4>
Intermediare, in base a un dato nomenclatore tariffario, la spesa out-of-pocket, cioè quella sostenuta direttamente dalle famiglie, senza dimenticare che il rimborso da parte dei fondi di questa spesa comporta un maggiore beneficio in termini monetari per i redditi più bassi, perché – a parità di contributi e di spese deducibili – la sua convenienza si riduce al crescere dell’aliquota fiscale sul reddito.

Come concorrono oggi i fondi sanitari integrativi alla spesa sanitaria
Nel 2019 la spesa sanitaria pubblica e privata ammontava a 155 miliardi: la spesa pubblica era pari a 115 miliardi di euro, mentre era di 4,3 miliardi quella sanitaria “intermediata”, ovvero gestita da fondi sanitari, casse e imprese di assicurazione. A questa cifra poi vanno aggiunti quasi 36 miliardi di spesa diretta delle famiglie (out-of-pocket), che portano la spesa sanitaria privata a più di 40 miliardi.

Per finanziare tutta la spesa di welfare pubblico, oltre a tutti i contributi sociali, per quanto riguarda il Ssn occorre fare leva principalmente sull’Iva, sui ticket sanitari, sull’intramoenia, sull’Irap, sull’addizionale Irpef ecc.

Chi paga la sanità pubblica e più in generale il welfare pubblico? Per Itinerari Previdenziali, la metà degli italiani dichiara reddito zero o inferiore a 7.500 euro lordi l’anno; il 45% di tutti i contribuenti (circa 40 milioni) versa solo il 2,8% dell’Irpef, mentre il 57% dell’Irpef è a carico del 12% dei contribuenti, tra cui l’1,1%, pressato dalle imposte e da tagli indiscriminati e mancate rivalutazioni sulle pensioni, versa il 18,86% dell’Irpef.

Occorre da una parte allargare la platea dei contribuenti attraverso una seria lotta all’evasione e strumenti come la limitazione dell’uso del contante, il cash back, il conflitto d’interessi. Dall’altra, ampliare la sussidiarietà con un maggiore utilizzo dei soggetti intermediari, come i fondi integrativi. Non quindi alternativa al Ssn, o in conflitto con esso, bensì parte integrante del welfare sanitario, con particolare accentuazione nelle aree in cui il contributo pubblico è minore, quali l’odontoiatria, la prevenzione e anche la non autosufficienza, e quale portatore di risorse aggiuntive per la sanità attraverso opportune convenzioni a condizioni che queste siano coerenti con il mercato.

Migliorare gli incentivi fiscali sui contributi ai fondi sanitari integrativi
Incentivare fiscalmente l’utilizzo dei fondi sanitari integrativi e ampliarne la diffusione potrebbe essere un’azione strategica importante. L’ammontare generale delle risorse impiegate nei fondi sanitari integrativi è di circa 2,4 miliardi, mentre il numero degli iscritti è circa 12,9 milioni tra lavoratori dipendenti, autonomi e familiari a carico. I lavoratori dipendenti che aderiscono collettivamente ai fondi sanitari (e i pensionati che contribuiscono sulla base di una fonte istitutiva collettiva) possono dedurre dal reddito da lavoro i contributi versati da loro e dal loro datore nel limite di 3.615,20 euro (mentre i lavoratori autonomi e i liberi professionisti possono dedurre solo se aderiscono a forme collettive).

Questi soggetti hanno inoltre diritto anche alla detrazione e deduzione dal reddito delle spese sanitarie rimaste a loro carico, perché non rimborsate dai soggetti intermediari. Il funzionamento delle agevolazioni fiscali per i fondi sanitari è analogo a quello previsto per altre deduzioni/detrazioni.

Per lo Stato il costo delle agevolazioni fiscali per chi aderisce alla sanità integrativa si attesta su 1,5 miliardi l’anno. Di contro, vanno sottolineati due aspetti: lo Stato risparmia il costo della salute gestito dai fondi sanitari integrativi (4,3 miliardi); i fondi sanitari integrativi gestiscono frontiere sanitarie, oltre alla prevenzione, anche la telemedicina e la long term care, che lo Stato attualmente non è in grado di garantire alla popolazione e anche queste hanno un costo.

Salvaguardiamo il Ssn
Il Servizio sanitario nazionale rappresenta una conquista fondamentale del nostro Paese, favorendo la coesione sociale e costituendo una garanzia per l’equità nell’accesso al diritto alla salute e per la salvaguardia delle fasce sociali più deboli. Per tali ragioni non solo va salvaguardato ma anche rafforzato e reso sempre più efficiente.

L’obiettivo è renderlo più adeguato – in tutte le regioni italiane – ai bisogni di salute della popolazione, più accessibile a tutte le persone, a partire da quelle più pesantemente colpite prima dalla crisi economica e poi dalla pandemia. Ciò anche valutando l’opportunità di modificare il Titolo V della Costituzione, per riattribuire un maggior ruolo di coordinamento allo Stato.

Occorre migliorare la prossimità dell’assistenza sanitaria, approntando una rete capillare di servizi territoriali. La prossimità, oltre che essere utile, consente anche al contribuente di verificare immediatamente il “ritorno” di quanto versato in termini di contributi o imposte.

Sotto questo profilo, il Senato ha approvato l’8 aprile scorso una mozione sul potenziamento delle cure domiciliari per i pazienti affetti da Covid-19, già avviata in alcune zone del Paese. Un importante passo per l’immediata adozione di cure domiciliari personalizzate e per evitare il sovraffollamento negli ospedali, a beneficio dei pazienti affetti da altre malattie gravi.

Una sperimentazione, già avviata con successo in alcune aree del Paese (ad esempio Piacenza), che potrebbe determinare una rivoluzione copernicana del Ssn.

Interventi auspicabili
Per incentivare la diffusione del welfare privato, la prima misura utile sul piano generale potrebbe essere quella di approntare una seria politica retributiva.

Come seconda misura, si potrebbe incentivare maggiormente la sanità integrativa, per esempio aggiornando ogni cinque anni il limite massimo di deducibilità dei contributi ai fondi integrativi del Ssn. L’attuale limite di deducibilità (pari a 3.615,20 euro) risale al 1997.

Come terza misura, andrebbe anche estesa la possibilità di dedurre i contributi a tutte le tipologie di assistiti dai fondi di derivazione contrattuale che risultino iscritti all’anagrafe dei fondi sanitari, ovvero anche ai prosecutori volontari e ai pensionati.

Occorre poi iniziare a definire una strategia nazionale di protezione contro i rischi connessi alla non autosufficienza – al di là di quello che già fanno i fondi sanitari integrativi – individuando soluzioni che consentano la ripartizione degli oneri su una vasta platea di contribuenti, in modo che la spesa individuale sia molto bassa e quindi sostenibile.

E, infine, dare sollecita attuazione al protocollo sul potenziamento delle cure territoriali, come anteposto di un nuovo rivoluzionario sistema di cura, basato sull’intervento immediato a domicilio, che porterà a un rinnovamento culturale e organizzativo del modo di curare le persone. 

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