Manageritalia per le donne

Convegno di Manageritalia Piemonte e Valle d'Aosta sulle iniziative, di Manageritalia e non, per favorire l'occupazione femminile

Una strada ancora lunga e in salita, da percorrere però con la speranza fondata che il gap tra uomini e donne si possa via via ridurre, soprattutto con le nuove generazioni, e che il soffitto di cristallo possa finalmente essere infranto. Un mondo, quello del lavoro femminile, in chiaro scuro: tra luci e ombre, i numeri incoraggiano comunque ad andare avanti.

«Crediamo in una leadership gentile» ha sottolineato Antonella Portalupi, vicepresidente di Manageritalia e presidente del Fondo Mario Negri a conclusione del suo intervento di apertura a Manageritalia per le donne, il convegno organizzato da Manageritalia Piemonte e Valle d’Aosta che si è svolto giovedì 11 maggio scorso al Circolo Ufficiali di Torino in corso Vinzaglio. La vicepresidente Portalupi ha presentato e illustrato la fotografia della situazione attuale, commentando i dati relativi alla presenza delle donne nel mondo del lavoro«Il nostro Paese è al 14° posto in Europa per l’uguaglianza tra i generi e solo il 28% dei manager nel nostro Paese è donna. La quota si riduce al 19% se si considera chi ha un contratto da dirigente. E l’incremento ogni anno è bassissimo, dello 0,3%. A fare due calcoli con i dati di oggi, la parità di genere effettiva arriverebbe tra 80 anni. Viene, quindi, naturale pensare che la parità di genere nel mondo del lavoro in Italia sia più lontana di quanto si potesse auspicare». Ma si intravede una luce, che arriva proprio dall’ambito manageriale, «che sfida e disattende questi dati. Dirigenti e manager sono in crescita su tutto il territorio». Si parla di +2,9% nel 2021 rispetto al 2008, di +5,4% nel 21 rispetto al 2020, spinti dalle donne (+13,5% nel 21 rispetto al 20).

Eva Desana, avvocato (socia fondatrice dello Studio legale Musumeci, Altara, Desana & Associati) e professoressa ordinaria di Diritto Commerciale-Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, ha poi inquadrato e approfondito gli aspetti normativi e legali con l’analisi Dalla legge Golfo-Mosca alla WoB Directive: scenari futuri e certificazione di genere.

Le altre relatrici hanno invece portato la loro esperienza in ambito aziendale e associativo: testimonianze preziose, le loro, sugli esempi virtuosi di CSI Piemonte, Lavazza e AIDDA (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda). Laura Maria di Marco, hr manager, referente del progetto Gender Equality Plan – CSI Piemonte ha delineato il Gender Equality Plan. Piano per la parità di genere 2022/2023. Lucia Pellino, diversity and inclusion director Lavazza, ha raccontato L’impegno di Lavazza a favore della parità di genere. Valeria Panini, presidente dell’associazione AIDDA, delegazione Piemonte e Valle d’Aosta, ha puntato l’attenzione sulla necessità di Fare rete per il sostegno dell’equità nel lavoro femminile ad ogni livello. A moderare l’incontro Loredana Faccincani, responsabile del Gruppo Donne Manager – Piemonte e Valle d’Aosta che, a cadenza bimestrale, propone appuntamenti di approfondimento e confronto: «Ci fa piacere notare come all’invito abbiano risposto in tanti e che la platea sia mista, il messaggio è stato recepito».

Sintesi della relazione di Antonella Portalupi

Antonella Portalupi ha ricordato che tra gli obiettivi di Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile uno dai traguardi da raggiungere avrebbe dovuto essere proprio “l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze, ma a guardare la situazione e i dati relativi a occupazione femminile e gender gap, le promesse sembrano lontane dall’avverarsi”.

Occupazione per genere

I dati ISTAT (aggiornamento gennaio 2023) rilevano che in Italia la partecipazione femminile al mondo del lavoro è stranamente bassa se confrontata con le altre realtà europee: 49,4 % rispetto alla media del 63,4%. “Il dato è da più parti considerato uno degli elementi che limita le possibilità di sviluppo economico dell’Italia, con tutte le conseguenze negative dell’eventuale cristallizzazione di questa situazione, anche in termini si sostenibilità futura del sistema previdenziale. Basta infatti comparare il tasso di occupazione femminile con quanto registrato in altri paesi dell’Unione Europea per comprenderlo in modo semplice”. I dati relativi al tasso di occupazione femminile in alcuni principali paesi europei, 15-64 anni, anno 2021 (Fonte: Elaborazione ADAPT su dati Eurostat) mostrano infatti come in Svezia, Danimarca, Germania e Finlandia il tasso di occupazione femminile sia superiore al 70%. La media europea si attesta attorno al 63,4% e l’Italia registra un tasso di occupazione inferiore di 14 punti percentuali rispetto alla media. “Il dato comparato è importante premessa all’osservazione dell’andamento della serie storica del tasso di occupazione femminile che mostra una crescita costante dal 2013 al 2019, seguita, tra il 2019 e il 2020 da una contrazione di 1,1 punti percentuali connessa alla pandemia. Un andamento quindi positivo che mostra dati ampiamente in recupero rispetto alla fase pre-crisi del 2008 e rispetto agli anni più difficili della crisi stessa ma che, allo stesso tempo, distanzia ancora fortemente l’Italia dagli altri paesi europei. Il primo elemento a cui guardare, prima di addentrarsi nella ricostruzione della storia recente dei dati, è l’andamento dell’ultimo anno disponibile, cioè il 2021, che appare particolarmente positivo. Si tratta, certo, di un dato che beneficia del trend di ripresa post-pandemico ma che non era scontato, considerato proprio quanto le donne siano state penalizzate nella fase iniziale della pandemia. L’andamento del tasso di occupazione femminile nei 4 trimestri del 2021 mostra infatti una crescita di 3,7 punti percentuali dal primo al quarto trimestre”.

Guardando ai dati ISTAT, aggiornati a fine 2021, il divario di genere non cambia: “Il tasso di disoccupazione femminile resta cristallizzato al 9,1% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per la fascia d’età fra i 15 e i 24 anni; la sfera della «non partecipazione» vede ancora penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,4% contro il 25,2% degli uomini; su 334mila occupati in più registrati in un anno (dicembre ’21 vs ’22), 296mila sono uomini (oltre l’88%) e 38mila donne”.

Il Gender Policies Report 2022 (Inapp, Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) evidenzia tra le criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria; part time; impiego in settori a bassa remuneratività o poco strategici. La conclusione è che “il divario uomo-donna resta immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile. Dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi”.

Il mondo manageriale sfida e disattende questi dati

Dirigenti e manager sono in crescita su tuttoil territorio: i dirigenti privati registrano nel 2021 un balzo del 5,4% spinto dalle donne (13,5). Il dato emerge dall’ultimo Report elaborato da Manageritalia sugli ultimi dati ufficiali resi disponibili dall’Inps (aggiornato 2021). Nell’ultimo anno (2021/2020) sono cresciute soprattutto le donne: dirigenti +13,5% vs 3,6% degli uomini; quadri +4,22% vs +1,32% uomini. Nel periodo 2008/2021 crescita complessiva del +2,9% dei dirigenti: donne +77,4% uomini -7,1%.

Forte la crescita al Sud, notoriamente molto sotto managerializzato

Le province più rosa sono al Nord (tutte le prime dieci) e Torino è sul podio. Nella classifica Milano prevale nettamente, con 9.728 donne dirigenti, seguita da Roma (4.926) e Torino (1.343) In merito al peso percentuale prevalgono alcune province del Sud e/o minori, spesso caratterizzate da un bassissimo numero di dirigenti in assoluto e quindi facilmente influenzabili da vari fattori: al primo posto c’è Enna, con le donne dirigenti (56,6%) che superano addirittura gli uomini, seguita da Pavia (35,6%) e Catanzaro (31,1%). Tra le grandi province, Roma, dove le donne pesano il 26,7%, prevale su Milano (23,2%) e Torino (18,9%).

L’aumento dei dirigenti privati è nell’ultimo anno più consistente nel terziario (+9%) rispetto all’industria (1%) che è stato l’unico a crescere, e in modo consistente, nella componente manageriale dal 2015 a oggi (+17%), a fronte del calo dell’industria (-1%).

Il gender gap si riduce con le nuove generazioni

I dati consolidati al 2021 confermano una tendenza nei giovani dirigenti a una significativa riduzione o addirittura inversione delle differenze di genere: dirigenti under 24 in maggioranza femmine (56%); 25-29 anni 51,8% M 28,2%F; oltre 65 anni: 86,9M, 13,1% F. Per i quadri non vale lo stesso: fino all’età 50-54 tutte le fasce restano in un range 70/30. quelli più anziani (over 65) sono 82/18. QUADRI: rapporto 68,4% M 31,5% F. DIRIGENTI: rapporto 79,5%M 20,5% F (2021).

Dirigenti in crescita spinti dalle donne

A fine 2022 il numero dei dirigenti che applicano il CCNL del terziario è pari a 28.796, con una crescita del +8,3% rispetto al 2021. Nel 2022 le donne dirigenti sono cresciute del 12,4% mentre gli uomini del 7,4%. L’età media dei dirigenti uomini nel triennio 2020/2022 è passata da 51 a 50 anni, quella delle donne da 49 a 48. Complessivamente i nuovi iscritti nel 2022 sono stati 4070 (25,6% F – 74,3%M. L’abbassamento dell’età media deriva principalmente dalle giovani manager che diventano dirigenti quasi un anno e mezzo prima degli uomini.

Sintesi della relazione di Eva Desana 

La necessità di un cambiamento culturale e di leggi che accelerino i processi verso la parità

Dodici anni fa In Italia solo il 7,4% dei membri dei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa erano donne e più della metà delle società quotate in borsa (51,7%) non aveva nemmeno una donna nel consiglio di amministrazione. Nel Global Gender Gap Index 2011, l’Italia si è classificata al 74° posto su 135 paesi, una situazione drammatica – ha osservato Eva Desana – Poiché non solo la mentalità cambia la legge, ma la legge aiuta a cambiare la mentalità, si è deciso di introdurre quote a favore del genere sottorappresentato nelle principali società italiane”.

Nel 2011, l’Italia ha emanato la Legge n. 120/2011, la cosiddetta Golfo-Mosca per raggiungere l’equilibrio di genere: tre articoli per prescrivere quote obbligatorie a favore del genere meno rappresentato negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate e a controllo pubblico. La misura è neutra: le quote sono a favore del genere sottorappresentato (non sono “quote rosa”). Le quote sono obbligatorie negli organi societari delle società quotate (comprese le PMI) e delle società a controllo pubblico; le norme sono state recentemente rafforzate dalla Legge n. 160/2019 e per le società controllate dallo Stato dalla Legge n. 162/2021.

Attualmente, la quota riservata al genere sottorappresentato è pari a 2/5 del consiglio di amministrazione (e del consiglio di sorveglianza e dei sindaci per le quotate) e al 33% del genere sottorappresentato nelle banche e nelle compagnie di assicurazione. Le società devono inoltre adottare misure per promuovere la parità di trattamento e di opportunità tra i generi all’interno dell’intera organizzazione aziendale, monitorandone la concreta attuazione.

La situazione europea

7 Paesi, fra cui l’Italia, hanno imposto le quote (Francia, Belgio, Italia, Germania, Austria, Portogallo e Grecia, aggiuntasi nel 2020); 9 Stati hanno adottato un approccio attenuato (Danimarca, Irlanda, Spagna, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Slovenia, Finlandia e Svezia); 11 (Bulgaria, Cecoslovacchia, Estonia, Croazia, Cipro, Lettonia, Lituania, Malta, Ungheria, Romania e Slovacchia) sono ancora privi di interventi volti a correggere la disparità.

L’Unione Europea ha adottato la Direttiva Women on Boards che prevede per le società quotate il 40% dei componenti non esecutivi o il 33% di tutti i componenti, esecutivi e non.

Il successo delle leggi italiane è innegabile e hanno inciso sul cambiamento

La relazione Consob sul governo societario delle società quotate 2022 (la presentazione si terrà il 9 giugno 2023 presso Borsa Italiana) evidenzia che dal 2011 a oggi “le caratteristiche dei membri degli organi societari sono cambiate, anche per l’aumento della presenza femminile nei consigli di amministrazione, a seguito dell’applicazione delle disposizioni sulle quote di genere). I membri dei consigli di amministrazione mostrano un livello di istruzione più elevato e, per quanto riguarda i CdA, un background professionale più diversificato”. La quota di amministratori donna ha raggiunto il 41,2% entro la fine del 2021; nel 2011 la quota era solo del 7,4%. Alla fine del 2022 la quota ha raggiunto il 43%.

Non solo luci

Nelle società a controllo pubblico nel 2019 le donne che ricoprivano cariche di consigliere di amministrazione di società pubbliche a livello nazionale erano il 32,6%; al Nord e nel Centro Italia la quota era rispettivamente del 34,3% e del 33,7%, al Sud e nelle Isole era il 26,9%. Su 262 nomine di amministratore unico effettuate nel periodo considerato, solo il 10,3% riguardava una donna (27 donne amministratore unico); a marzo 2019, le amministratrici uniche rappresentavano il 12,3% del totale degli amministratori unici. Nelle società quotate le donne raramente ricoprono il ruolo di amministratore delegato (17 casi) o di presidente dell’organo amministrativo (32 casi). Poche le donne in posizioni manageriali: “Il rafforzamento della partecipazione delle donne nel processo decisionale, in particolare nei consigli di amministrazione, avrebbe dovuto avere un effetto di ricaduta positiva sull’occupazione femminile nelle aziende interessate e nell’intera economia, ma ciò non è avvenuto”. Poche le donne nelle società private non interessate dalla Legge Golfo-Mosca: “Fino a dicembre 2022 Barilla G. e R. Fratelli Spa aveva 8 amministratori, solo 1 donna; Eataly Spa aveva 12 amministratori, solo 2 donne, Ferrero Spa aveva 6 amministratori, nessuna donna; Atlantia S.p.A. dopo essersi ‘delistata’ ha nominato un Cda di 11 uomini… ma dopo le proteste di alcune associazioni che promuovono la parità di genere ha recentemente inserito una donna”. L’Italia nel 2022 ricopre il 63° posto nel Global Gender Gap Index: l’Islanda è al 1° posto, l’Afghanistan all’ultimo (146°), la Germania al 10°, la Francia al 15°, la Spagna al 17°, l’Uganda è al 61° e lo Zambia al 62°. Il tasso di partecipazione delle donne al lavoro in Italia è del 53,1%, al di sotto della media europea che è del 67,4%.

Per raggiungere l’equità l’Italia può agire su più fronti ricorrendo a diversi strumenti: introdurre le quote in tutte le società di capitali medio-grandi; adottare misure di welfare (asili nido, congedi obbligatori per i padri, sostegni per le donne che rientrano dalla maternità); ridurre il gap salariale; introdurre misure premiali per le imprese virtuose (ancorate ad esempio alla certificazione di genere); introdurre obblighi di disclosure delle politiche aziendali per promuovere la parità di trattamento fra i generi all’interno dell’organizzazione aziendale, monitorandone la concreta attuazione con la redazione del Rapporto biennale sulla situazione del personale (obbligatorio per aziende con più di 50 dipendenti). A fine aprile il Consiglio europeo ha adottato nuove regole sulla trasparenza delle retribuzioni per colmare il divario retributivo di genere nell’Unione Europea: le aziende dell’UE saranno tenute a condividere le informazioni su quanto pagano le donne e gli uomini per un lavoro di pari valore e a prendere provvedimenti se il loro divario retributivo di genere supera il 5%; dovranno essere previste disposizioni sul risarcimento delle vittime di discriminazioni retributive e sanzioni, tra cui multe, per i datori di lavoro che violano le regole.

Questione di immagine e vantaggi economici: dalle quote alla certificazione di genere

Le Aziende pubbliche e private che occupano oltre 50 dipendenti sono tenute a produrre, a pena di esclusione, copia del rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta in gare pubbliche a valere su risorse del PNRR e del PNC. Il Dipartimento per le Pari Opportunità, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha pubblicato, nella G.U. n. 152 del 1° luglio 2022, il Decreto 29 aprile 2022 che fornisce i parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità. I parametri minimi sono quelli delle «Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni». Accredia, l’Ente unico nazionale di accreditamento, ha rilasciato nel luglio 2022 i primi accreditamenti a Organismi di certificazione. Per l’anno 2022, al datore di lavoro provvisto della certificazione della parità di genere sarà concesso l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a suo carico in misura non superiore all’1,00% della contribuzione obbligatoria di previdenza e assistenza dovuta e nel limite annuo massimo di 50mila euro.

Role models e leadership; il valore della diversità, anche di genere; la necessità di promuovere l’uguaglianza in ogni campo, in politica come in economia

È importante avere nel consiglio di amministrazione donne e uomini: In generale è importante avere diverse boards: con uomini, donne, giovani, componenti con differenti prospettive e diverse professionalità e competenze. È però importante avere persone capaci, che siano donne o siano uomini. E se è vero, come ci insegna Antigone, che le donne e gli uomini possono essere diversi, l’auspico è che le donne siano portatrici di un nuovo modello di leadership”.

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