Un Caravaggio in soffitta

Una perdita d’acqua dal soffitto, si sa, è sempre una gran seccatura… ma evidentemente ci sono eccezioni! Siamo nel 2014 e a Tolosa proprio una subdola infiltrazione dal tetto costringe una famiglia a esaminare con attenzione la soffitta e si rende necessario forzare una porticina che chiudeva un’intercapedine da cui, sorpresa delle sorprese, spunta fuori una tela “dimenticata” da almeno 150 anni e in perfetto stato di conservazione.

Ad un primo esame l’opera, che raffigura l’episodio biblico di Giuditta che decapita Oloferne, ha un sapore di déjà vu. Rivela una luce particolare, un’intensità nelle espressioni e nei gesti che non possono non far pensare al grande Michelangelo Merisi da Caravaggio. Ed ecco che gli ingredienti del giallo ci sono tutti, il ritrovamento fortuito, il grande artista attorno a cui da secoli si discute in merito alla sua genialità e sregolatezza, il dipinto scomparso… già, perché l’opera stessa è avvolta da sempre nel mistero. Sappiamo che Caravaggio nel corso della sua breve e intensa vita dipinse due versioni di “Giuditta e Oloferne”.

La prima è tutt’oggi conservata nelle sale del Museo di Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, della seconda si perdono invece le tracce a Napoli già nel lontano XVII secolo. Esistono però vari documenti che descrivono il dipinto e, soprattutto, siamo in pos-sesso di una copia fedele, dipinta nel 1607 dal pittore fiammingo Louis Finson, e conservata a Napoli a Palazzo Zavallos. Finson, addirittura nel suo testamento, sottolinea l’aver realizzato la sua opera ispirandosi proprio all’originale caravaggesco (perfettamente sovrapponibile al dipinto di Tolosa!). Cosa sia accaduto dopo non è dato sapere, la Giuditta caravaggesca scompare per poi, forse, riapparire nel 2014 nella soffitta dei discendenti di un ufficiale napoleonico… elemento anche questo che dovrebbe far riflettere! Non siamo in grado ovviamente di risolvere il mistero, ma è comunque gradita l’occasione di poter discutere in merito a un’opera inedita dal sapore caravaggesco, in cui tutto parla di lui e del suo genio: quella luce intensa prodotta da una fonte non visibile nell’opera ma solo intuibile che si riversa sul pesante tendaggio rosso, evocativo del sangue, e sulla sommità della spada che ha appena inciso la gola dell’uomo, i cui muscoli tesi ancora tentano un ultimo gesto di ribellione prima di lasciarsi andare alla morte; la determinazione negli occhi di Giuditta, il gesto della domestica che sembra volerle dire “torna in te, è tutto finito”. Chiunque sia l’autore lo ringraziamo per averci donato questo brano di vibrante intensità.

Curiosità
Nel dibattito sull’attribuzione intervengono anche le voci autorevoli di alcuni medici, i quali sostengono che per stabilire la paternità caravaggesca sia sufficiente osservare il gozzo della domestica! Caravaggio infatti era un autentico esperto di gozzo tiroideo, una malattia dovuta alla carenza cronica di iodio, e amava rappresentare tali malformazioni per sottolineare la  povertà delle sue figure.

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