Trasporti e infrastrutture: intervista a Danilo Toninelli

A tu per tu con il ministro: stato dell'arte, investimenti, criticità, punti di forza e prospettive per il nostro Paese

Come sono stati questi primi mesi da ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture?

Decisamente intensi, complessi, ma anche per alcuni versi entusiasmanti e comunque affrontati con la passione e la libertà di chi non ha alcun legame con lobby e gruppi di interesse.


Infrastrutture e trasporti: come siamo messi in Italia rispetto a queste due facce della stessa medaglia?

Nel Paese ci sono contesti e situazioni molto differenziate. E la discriminante non è solo la latitudine. Sicuramente è mancata la programmazione, la manutenzione continua e una visione d’insieme fondata su efficienza e sostenibilità.


Ritiene che questo sia un settore su cui puntare con investimenti capaci di modernizzare il paese e creare sviluppo e occupazione?

Le buone infrastrutture sono uno dei principali volani di crescita. Gli investimenti pubblici sono crollati in questi anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Dai trasporti, poi, dipende buona parte della capacità del Paese di produrre ricchezza. Ora stiamo invertendo la rotta, sarà un cammino lungo e difficile, ma senza il rilancio dei buoni investimenti il Paese non potrà mai risollevarsi davvero.


Dove e come trovare i soldi?

Spesso i soldi ci sono, ma non vengono spesi bene o non vengono spesi affatto per colpa di corruzione, mala burocrazia o anche banale insipienza di chi dovrebbe mettere a terra le risorse. Per il resto, è chiaro che ci sono vari strumenti tra fondi nazionali e strutturali che vanno ottimizzati.

Parliamo solo di infrastrutture, cosa va e cosa non va?

Si sono sprecate tante risorse su progetti che stentano a decollare dopo decenni, mentre ci si è spesso dimenticati delle grandi e piccole opere realmente utili e di quella sana manutenzione che invece darebbe sicurezza e prosperità reale al Paese.


I corridoi europei e le grandi opere che subiscono da anni rallentamenti e stop and go non le paiono necessari per un’integrazione economica e sociale con l’Europa e quindi con il mondo?

Lo sono, certo. Ma vanno sviluppati su tracciati sostenibili.



Oggi a livello di rete viaria stradale e autostradale come siamo messi?

Negli anni Settanta o Ottanta avrei detto molto bene. Poi ci siamo fermati.


E per quanto riguarda i porti e gli aeroporti?

Ci sono eccellenze e situazioni di estrema sofferenza. Abbiamo istituito una nuova autorità portuale, quella dello Stretto, per rilanciare un’area nevralgica con una sua importante specificità. Il Piano aeroporti ha bisogno di modifiche nel segno dell’efficienza.


Per chiudere sulle infrastrutture non possiamo non parlare di Genova: è soddisfatto di quanto fatto con il decreto e quali risultati dobbiamo aspettarci?

Si è fatto un grande sforzo a seguito di una tragedia immane. Si sta lavorando alacremente alla ricostruzione del nuovo ponte. Siamo di fronte a una sfida storica e conto che alla fine del 2019 i genovesi potranno vedere una nuova infrastruttura stagliarsi nel cielo della loro splendida città.


Veniamo quindi ai trasporti. Lei tra gomma e rotaia dove pensa che dobbiamo puntare di più per le merci?


Sicuramente è importante spostare quote di traffico sul ferro.


Sempre per le merci, agli aeroporti e soprattutto ai porti come siamo messi e cosa serve?

Servono collegamenti intermodali più efficienti e ramificati. Servono binari di ultimo miglio e poi stazioni ferroviarie adeguate ai grandi treni che portano i container. Serve una gestione delle concessioni portuali più oculata.


E il trasporto passeggeri, determinante per il vivere sociale ed economico, non ultimo per il turismo, come lo vede oggi?

Per quanto riguarda il ferro, si è investito tanto e bene sull’Alta velocità, ma le ferrovie regionali sono state dimenticate. Stiamo cercando di invertire la rotta, grazie al prezioso contributo di Fs. Le Regioni e le altre aziende di trasporto locale devono lavorare per aumentare sicurezza e qualità del servizio reso.


Non le sembra che, salvo poche isole felici perché collegate dall’alta velocità, l’Italia, stretta e lunga, abbia ancora collegamenti non proprio al passo con i tempi?

Esatto, ci sono troppi pendolari che la mattina scelgono il treno vivendo mille disagi. Quella deve smettere di essere una scelta di coraggio e deve diventare di normalità.


Abbiamo vasti territori sempre più marginalizzati, quanto è colpa degli scarsi collegamenti?

Un’orografia complessa contribuisce spesso ad aggravare il problema. Ma non può essere un alibi: inefficienze e scarsi investimenti hanno generato più Italie dentro il nostro bellissimo Paese.


Quello del trasporto aereo, aeroporti e Alitalia, non è poi un altro dilemma irrisolto che ci sta costando tanto in senso finanziario e di mancati arrivi di turisti esteri?

Dopo anni di sprechi, scelte clientelari e cattive operazioni “di sistema” che hanno ulteriormente danneggiato la compagnia e la collettività, adesso si sta ripartendo con una visione di insieme che connette finalmente il vettore nazionale alle esigenze reali e alle potenzialità inespresse del Paese.



Pubblico e privato, a livello di infrastrutture e trasporti, quale ruolo devono giocare?

Devono integrarsi in modo virtuoso, facendo in modo che il giusto profitto privato non vada a detrimento del fondamentale interesse pubblico, visto che ci troviamo sostanzialmente a gestire opere che molto spesso sono dei monopoli naturali.


Secondo lei come si può collegare bene l’Italia dentro e fuori i suoi confini nel rispetto della sostenibilità economica, sociale e ambientale?

Con opzioni di infrastrutturazione i cui costi economici, sociali e ambientali siano inferiori ai benefici che poi portano benefici non solo economici, ma in termini complessivi di qualità della vita.


Quali sono i punti chiave del suo programma?

Rilancio del trasporto su ferro sostenibile, con un focus specifico sul trasporto regionale e locale. Spinta sulla mobilità pulita e dolce. Rilancio delle piccole opere diffuse di cui il Paese ha tanto bisogno. Un grande piano di manutenzione ordinaria della viabilità. Valorizzazione delle concessioni e riequilibrio dei pesi tra Stato e concessionari privati. Riqualificazione edilizia, urbanistica e del paesaggio attraverso le buone opere che in esso si integrano. Rilancio delle grandi infrastrutture utili che devono riavvicinare il Paese al suo interno e avvicinarlo all’Europa.

Quali obiettivi si dà e quindi su quali risultati dovremo valutare il suo operato?

Ci misureremo in base a quanto realizzato rispetto alle direttrici che ho appena indicato.


Qual è secondo lei il ruolo dei manager in generale nell’economia italiana e ancor più nel suo settore?

Un buon manager può essere una guida illuminata in grado non soltanto di badare ai conti dell’azienda e ai margini di profitto, ma anche di valutare le ricadute sociali, le esternalità generate dalla propria attività. In generale, il Paese ha bisogno di una maggiore crescita, ma che sia una crescita di qualità. Dunque non bisogna mai scordare che dietro i numeri ci sono le persone. Può sembrare banale, ma non lo è.


Come Manageritalia, che rappresenta oltre 35mila manager e tutti quelli dei trasporti e della logistica, potrebbe portare un contributo collaborando con il suo ministero, le istituzioni e tutto il sistema?

Indicando percorsi virtuosi di investimento, di impegno delle risorse. E delineando buone pratiche in modo da rendere migliore la nostra programmazione e gestione delle opere e dei servizi.

L’intervista al ministro Danilo Toninelli è stata fatta prima dell’uscita del Data Room di Milena Gabanelli sulle opere pubbliche e della successiva risposta del ministro.

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