Sindaco e manager?

Le città, le imprese e le nostre comunità sono in continua evoluzione: per comprenderne il cambiamento sono necessarie competenze, capacità di visione e di analisi, tratti distintivi anche dei manager. Ne abbiamo parlato nell’incontro avvenuto a Palazzo Vecchio tra il sindaco di Firenze, Dario Nardella, e il presidente di Manageritalia Toscana, Riccardo Rapezzi. Abbiamo rivolto a Nardella anche alcune domande sulle questioni più urgenti presenti sul tavolo di lavoro di un’amministrazione civica
Intervista Dario Nardella sindaco di Firenze

Sindaco Nardella, amministrare una città in un certo senso è come gestire un’azienda complessa. Secondo lei, quali sono le caratteristiche e le competenze che un buon sindaco dovrebbe avere? Lei si sente anche un po’ manager?
«Un buon sindaco deve certamente avere buone capacità organizzative, propensione alle relazioni sociali e abilità comunicativa per poter governare sistemi complessi come le nostre città. Un sindaco è anche un manager, non c’è dubbio: se pensiamo al solo Comune Firenze, si trova a gestire 4.000 dipendenti diretti, a cui si aggiungono i 1.000 lavoratori della città metropolitana, oltre ai dipendenti delle società partecipate e di tutti i servizi pubblici locali. Fare il sindaco è, molto probabilmente, il mestiere più complesso tra tutti quelli della politica. Bisogna trovare soluzioni efficaci ed efficienti a molte problematiche e richiede diverse competenze, come capacità d’azione e di visione».

Città come Firenze, Milano, Roma o Napoli stanno affrontando profondi cambiamenti, da luoghi della produzione a città sempre più vocate al terziario e ai servizi. Come governare questo fenomeno e quali sfide ci attendono?
«Le città oggi sono veri e propri laboratori sociali, economici, urbanistici e politici. Non è un caso che in queste realtà, dall’Europa all’Italia, si concentrino le sfide più ambiziose e complesse: dal cambiamento climatico alla rigenerazione urbana, passando per l’inclusione sociale, l’immigrazione e la sicurezza. Qui, spesso, si sperimentano le politiche pubbliche per trovare soluzioni più innovative in tutti gli ambiti. Una naturale propensione alla trasformazione che spinge sindaci e amministratori a investire sull’innovazione tecnologica, sul cambiamento degli stili di vita e delle infrastrutture. Attraverso i servizi e l’organizzazione di questi si migliora la qualità della vita del cittadino, si gestiscono le infrastrutture e tutte le strutture a vocazione pubblica».

La tecnologia può quindi essere un valido supporto?
«Le nuove tecnologie possono rappresentare un grande aiuto. Basti pensare a come, grazie agli smartphone e alla rivoluzione digitale, si possa raggiungere il cittadino in qualunque momento e modo, mettendo a sua disposizione ogni genere d’informazione e servizio»

Quali sinergie tra pubblico e privato?
«Personalmente sono sempre stato convinto che la sfida della collaborazione con il privato possa consentire la produzione e la gestione di servizi sempre più innovativi. Un esempio ci è dato dai servizi di fornitura del gas, dell’acqua e della gestione dei rifiuti. In quest’ottica, negli ultimi due anni a Firenze abbiamo dato vita a una grande società di multiutility che combina l’esperienza del mondo privato e dell’industria con la capacità d’indirizzo strategico degli enti pubblici».

Tra i fattori di cambiamento c’è il turismo di massa che si sta trasformando in un vero e proprio problema. Dagli affitti brevi che svuotano le città alla riduzione del commercio di vicinato, sino alla gentrificazione di interi quartieri. Come reagire e quali soluzioni adottare per far convivere il turismo e le sue risorse strategiche con il futuro delle città?
«Le grandi città europee, quasi tutte città storiche e città d’arte, si trovano da tempo ad affrontare le sfide dell’over tourism, la gestione del turismo di massa e la ricerca di modelli sostenibili e di fruizione del proprio patrimonio storico e artistico. Non possiamo volere il turismo e non i turisti. Il turismo è fonte di ricchezza, non solo indiretta attraverso le imprese e i posti di lavoro che genera, ma anche diretta, attraverso, ad esempio, la tassazione di scopo ormai presente in tutte le città turistiche. Una risorsa a cui non possiamo rinunciare ma che possiamo certamente ripensare attraverso modelli di gestione innovativi e sempre più sostenibili».

Qual è stata per la sua amministrazione una problematica urgente da risolvere?
«Di recente, a Firenze abbiamo affrontato in maniera concreta la questione dell’esplosione degli affitti brevi, introducendo nel regolamento urbanistico una nuova norma che blocca, nei prossimi anni, la destinazione degli appartamenti del centro storico alla locazione breve a fini turistici. Ogni città turistica, ovviamente, ha le sue problematiche e le sue ricette. Non si possono avere modelli omologanti e univoci, ma certamente c’è bisogno di un quadro normativo nazionale sulla scia di quanto già avviene in molti paesi europei e negli Stati Uniti. Leggi che diano più poteri ai sindaci per programmare e pianificare i tipi di destinazione commerciale e turistica nei vari quartieri delle città, coniugando le esigenze dei turisti con la qualità della vita per i residenti».

Parliamo di economia: con un +8,7% in Toscana e un +5,4% in Italia, osserviamo una crescita costante dei manager privati nelle imprese. Numeri che esprimono la dinamicità di un tessuto economico regionale e nazionale, che nonostante le difficolta del momento decide di investire nelle competenze. Come commenta questi dati?
«I dati sono davvero positivi e incoraggianti. La complessità del sistema produttivo, di consumo e di gestione dei servizi richiede però sempre più competenze specifiche: per l’organizzazione delle risorse umane, la loro selezione, la loro capacità di gestire e trovare soluzioni a problemi complessi. E il manager ha proprio questa missione. Il diversificarsi dei mercati e degli ambiti d’azione di imprese e servizi porta con sé un aumento delle competenze richieste e di managerialità ancor più ricercata sia in ambito pubblico che privato. Ora la sfida è quella di prevedere una filiera di formazione manageriale sempre più evoluta e al passo con i tempi, capace di guardare, intercettare e rispondere alle esigenze delle imprese e dei sistemi pubblici, nonché le esigenze di collaborazione tra questi due mondi».

Cosa pensa della manovra economica varata del governo sul piano degli stimoli alla crescita e all’occupazione?
«Penso che non contenga un disegno strutturato di politica economica e industriale e non preveda neanche misure di medio e lungo periodo. Al contrario, introduce forme d’incentivo economico, come il taglio al cuneo fiscale di durata annuale, oltre all’aumento di alcune imposte, come l’Iva su diversi prodotti, azioni dal fiato corto. La cosa più grave, però, è l’assenza di una strategia complessiva di crescita che consenta la riduzione del debito pubblico a favore delle nuove generazioni, la creazione di nuova occupazione e lavoro di qualità. Oltre a non dare nessuna risposta sul fronte di una maggiore semplificazione amministrativa a favore di imprese e ceto produttivo. Mi auguro che, per i prossimi anni, emerga un disegno di politica economica credibile, con obiettivi di lungo periodo capaci di valorizzare al massimo le risorse dei nostri territori, vere ricchezze di questo Paese».

Secondo lei, di cosa avrebbe bisogno il Paese per una crescita strutturale e duratura? Quali sono tre ambiti su cui riflettere e intervenire.
«Il primo ambito su cui intervenire è quello di una vera e profonda azione di semplificazione amministrativa. La burocrazia appesantisce un Paese che ha potenzialità straordinarie e costa ancora troppo, quasi 30 miliardi di euro. Poi bisognerebbe attuare una vera lotta all’evasione fiscale, che consentirebbe di ridurre anche la pressione fiscale attraverso l’aumento di sanzioni a carico degli evasori e premialità per chi invece rispetta le regole. Infine, il terzo ambito è quello delle infrastrutture del Paese. Mi auguro che il Pnrr dia una svolta al sistema Italia, anche se ho l’impressione che molti progetti, purtroppo, siano stati scelti non in base a una visione strategica ma in base alla loro fattibilità e possibilità di rispettare gli stringenti tempi d’impiego delle risorse assegnate».

Secondo il suo punto di vista, i manager che contributo possono dare alla crescita?
«Possono dare un grande contributo, non solo perché rappresentano un livello alto di professionalità e di competenze, ma anche perché consentono ai sistemi complessi, siano essi pubblici o privati, di produrre risultati concreti in modo efficiente e sostenibile».

Veniamo a lei, cosa lascia a Firenze dopo l’esperienza di questi due mandati?
«Prima di tutto mi chiedo che cosa Firenze ha lasciato a me dopo questi due entusiasmanti mandati? Penso di aver imparato moltissimo dalla città e dai fiorentini. Esco da questa esperienza molto cambiato rispetto a quando sono entrato, di certo più consapevole, maturo e arricchito di valori ed esperienze, oltre che di relazioni. Spero di lasciare a Firenze un’infrastruttura moderna nel settore della mobilità, della formazione e delle politiche sociali. Credo di lasciare una Firenze più sostenibile, con molti spazi verdi e, soprattutto, più consapevole del proprio ruolo, che non può essere solo quello di conservare un celebre passato, ma di essere una protagonista nel presente».

Quali sono i suoi piani, una volta smessi i panni da sindaco?
«Spero di poter continuare il mio impegno al servizio della comunità al Parlamento europeo. Ho messo a disposizione la mia candidatura, così come la mia esperienza, le mie competenze. Ma è giusto che sia il partito a decidere, perché l’interesse della comunità a cui appartengo viene prima dell’interesse personale».

Foto in alto di Diego Catoni – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=105859715

Incontro con sindaco di Firenze Dario Nardella

Il sindaco di Firenze Dario Nardella insieme al presidente di Manageritalia Toscana, Riccardo Rapezzi.

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