Quale scuola per i Centennials?

La generazione dei ragazzi nati dal 1996 in avanti ha valori ed esigenze specifiche. Le nuove sfide per proporre un’offerta formativa al passo coi tempi e in grado di garantire un futuro professionale

Il mondo è cambiato”. “I ragazzi di oggi sono diversi da quelli delle generazioni precedenti”. “A scuola i ragazzi si annoiano”. Luoghi comuni? Quanto di vero c’è in queste affermazioni? Chi sono veramente i ragazzi di oggi, quelli che vengono chiamati Centennials? Da che cosa percepiamo che possono essere capaci di dare risposte nuove a problemi vecchi? I segnali non mancano. Partiamo da Greta Thunberg, nata in Svezia nel 2003, a soli 16 anni è divenuta l’attivista per lo sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico più conosciuta al mondo.

Nel mondo si stanno facendo notare con la stessa velocità anche tanti altri giovanissimi e giovanissime che, come Greta, lottano per la salvaguardia dell’ambiente, dall’Europa agli Stati Uniti: la mobilitazione non ha confini territoriali e la connessione planetaria è divenuta strumento della protesta pacifica ma tenace di questi giovani.

SEMPRE CONNESSI
Nati dal 1996 in poi, i Centennials non hanno conosciuto il mondo senza internet, sono dunque nativi digitali. Sono la generazione dell’euro e della cittadinanza europea, ma anche quella che sta pagando più di ogni altra le conseguenze economiche e sociali delle recenti crisi, con tassi di disoccupazione molto alti, mai registrati prima d’ora nel nostro continente.

Non c’è dubbio, poi, che questa sarà ricordata anche come la generazione della rete, sempre connessa (rapporto Istat 2016) perché costituita da coloro che sono nati e cresciuti nel periodo in cui le nuove tecnologie informatiche hanno raggiunto la loro maggiore diffusione. Una generazione, come tale, che ha quindi percorso tutto o buona parte del proprio iter formativo nell’era di internet.

Ma quanti sono i Centennials che frequentano le nostre scuole? Nel 2018, secondo l’Istat, i Centennials dai 3 ai 18 anni erano 8.084.362, di cui 4.158.100 maschi e 3.926.262 femmine. Questi bambini e ragazzi arrivano nelle scuole italiane come la generazione più multiculturale che il nostro paese abbia mai conosciuto. Gli stranieri dai 3 ai 18 anni sempre nel 2018 (dati Istat) erano infatti 886.733, di cui 542.447 al Nord, 213.480 al Centro e 130.086 al Sud.

UNA CONVERGENZA DI VALORI
Per saperne di più su che cosa pensano e come vivono questi ragazzi, molto utile è la ricerca Teen’s voice: miti e valori dei giovani tra scuola, società e lavoro, curata dal Salone dello Studente “Campus Orienta” in collaborazione con La Sapienza Università di Roma1: con cadenza annuale, dal 2015, dà ascolto e restituisce voce alle ragazze e ai ragazzi che visitano il Salone.

La maggior parte degli intervistati si dice convinta che la riuscita nella vita dipenda dalle qualità personali e dalla forza della motivazione e dell’impegno. Manifestano un’inattesa attenzione alla politica, intesa però nella sua dimensione alta di impegno civile. Chiedono equità, correttezza, sapienza, impegno, merito, equilibrio. E per loro il mondo è un villaggio globale. Uno dei dati più significativi è la convergenza di valori e di opinioni che si registra lungo tutta la penisola e tra città grandi e piccole.


LA SCUOLA E IL LAVORO
Rispetto alla scuola, la ricerca offre la fotografia di una generazione per cui questa rappresenta un’esperienza valoriale positiva e che si attende dall’università un’esperienza formativa qualificata.

I ragazzi vogliono allargare i loro orizzonti, imparare e scoprirsi attraverso un percorso che li faccia crescere come persone. Il ruolo della scuola emerge con forza soprattutto come fattore di indirizzo culturale (libri da leggere, film da vedere, personaggi a cui ispirarsi) e come punto di riferimento e di mediazione con la società.

Parallelamente, però, i giovani sono consci del digital mismatch, lamentano lo scarso utilizzo di strumenti tecnologici nel percorso scolastico e ritengono di essere tecnologicamente più aggiornati dei loro professori. Il dato certamente più preoccupante è che la maggior parte degli studenti intervistati è ben consapevole che la scuola non prepara al lavoro.

Il tema del lavoro è diventato cruciale in questi anni: oggi l’attenzione è sul lavoro e la scelta dei percorsi formativi dipende sempre più dalle previsioni occupazionali. Insomma, la scelta del percorso scolastico prima e universitario poi è determinata dalla volontà di «acquisire una professionalità», «diventare più competenti», «crescere come persone», secondo quanto dichiarano gli intervistati – che peraltro, quando parlano di lavoro, pensano a un’attività utile per se stessi e per gli altri.

La Generazione Z (un altro nome con cui i Centennials sono stati designati) sembra considerare il lavoro un’esperienza importante ma non totalizzante della propria vita, nella quale tempo libero, flessibilità, autonomia, qualità ambientale, possibilità di dedicare tempo alla famiglia contano sicuramente molto. Un altro dato importante è che i giovani dicono di aspirare a un lavoro stabile, ma non necessariamente uguale per tutta la vita. Si conferma il tramonto del mito del posto fisso che apparteneva ai loro nonni e quello di una carriera spesso esasperatamente competitiva dei loro padri.

LA NECESSITÀ DI UN NUOVO MODELLO FORMATIVO
Sarebbe sicuramente sbagliato insistere con modelli relazionali ed educativi che stentavano già a essere accettati dalla generazione precedente, nata a cavallo tra il XX e XXI secolo. Il primo problema è rappresentato tuttora dalla durata eccessiva dei percorsi di studio: siamo tra i pochi paesi all’interno dell’Ocse in cui sono richiesti 13 anni di istruzione per accedere all’università. Il secondo rimanda alla concezione lineare e sequenziale dell’istruzione e della formazione, secondo una logica ormai inservibile e superata.

Infatti, come è ormai chiaro, ai lavori del futuro non ci si può preparare come si faceva in passato. Se nell’epoca dell’innovazione digitale cambiano i luoghi, i tempi e la natura stessa del lavoro, non può essere solo l’apprendimento scolastico a garantire l’occupabilità delle persone e, di conseguenza, la piena occupazione.

Per tutti serviranno un aggiornamento continuo ed esperienze maturate in contesti reali. È indispensabile, insomma, come suggerisce Giuseppe Bertagna (Scuola e lavoro, tra formazione e impresa. Nodi critici e (im?)possibili soluzioni, La Scuola), passare a qualsiasi livello (sociale, istituzionale, ordinamentale, culturale, metodologico-didattico) dal modello diacronico-separativo (prima il percorso di studi poi il percorso lavorativo in momenti e fasi assolutamente separati) a quello sincronico-integrativo (in cui il percorso di studi può incontrare, in alcune fasi, il percorso lavorativo). Questo significa che non deve venire prima la scuola – fino all’esame di Stato e magari fino ai 24-27 anni in università, come accade ora – e poi (solo poi) il lavoro.

LA FORMAZIONE TRA SCUOLA E LAVORO
Dal 2003 in avanti, numerose leggi hanno introdotto nell’ordinamento scolastico italiano, con sfumature e prescrizioni diverse, l’alternanza scuola-lavoro. Purtroppo il bilancio – eccezion fatta per alcuni casi eccellenti – non può dirsi positivo. In che modo ne usciamo? Per non aumentare le  patologie di cui soffre e presumibilmente continuerà a soffrire il nostro sistema educativo, occorre cambiare focus e centrare sempre più la formazione iniziale delle giovani generazioni, e quella continua degli adulti, sull’apprendistato educativo. Volendo, sarebbe già possibile, poiché non mancano nella nostra legislazione riferimenti normativi in grado di favorire questa svolta.

Dalla legge 30/2003 (la cosiddetta legge Biagi) alle più recenti norme introdotte dal Jobs Act, e soprattutto dal decreto attuativo 81/2015, che ha rilanciato un nuovo apprendistato che tiene conto anche delle competenze regionali in materia, il nostro paese può infatti rivendicare il fatto che mette a disposizione dei giovani, a partire dai 15 anni di età, un sistema duale per l’acquisizione dei titoli di studio: quello scolastico-universitario con l’alternanza scuola-lavoro e i tirocini, e quello in apprendistato formativo di primo e terzo livello, centrato sull’impresa.

Con l’apprendistato non si tratta soltanto di far lavorare i giovani e di far loro incontrare il lavoro in impresa. Si tratta piuttosto di farli lavorare e di far loro incontrare il lavoro in un certo modo, appunto formativo: unendo sempre, cioè, teoria e pratica, esecuzione e critica riflessiva, dato e senso, allievo-apprendista e maestro-anziano, mansione e contesto non solo professionale ma anche più generalmente sociale e culturale. E viceversa. Cosicché nessuno apprenda senza insegnare e pensi di poter insegnare senza apprendere. Sempre, in ogni età della vita.

Ci sono nella società tre esigenze aperte che cercano risposta: l’esigenza delle imprese che hanno bisogno di nuove competenze e di intelligenza creativa; l’esigenza dei giovani che cercano di lavorare continuando a imparare da ciò che fanno; l’esigenza di un numero crescente di educatori e formatori che cercano di adeguare il proprio modo di educare innovando la didattica. Più che in passato, bisogna puntare sull’educazione permanente, lungo tutto l’arco della vita (lifelong learning) e su una maggiore contaminazione tra gli apprendimenti scolastici e le realtà produttive e della ricerca che anticipano il futuro.


GENERARE ALLEANZE
Volendo sintetizzare il nuovo paradigma formativo per i Centennials, potremmo allora dire così: occorre costruire in tempi rapidi un sistema educativo di istruzione e formazione non più incentrato soltanto sull’insegnamento, ma anche sull’apprendimento per tutto l’arco della vita.

Insegnare ad apprendere, dunque. Insegnare certamente a elaborare cultura, ma insegnare anche a interpretare i cambiamenti, a essere lavoratori intraprendenti, più “indipendenti” e meno “dipendenti” quando entreranno nel mercato del lavoro. In sintesi: inaugurare una scuola del futuro.

Il punto di partenza per raggiungere questo obiettivo diventa allora quello di introdurre policy che incentivino, finanzino, premino e indichino come esempio le iniziative educative e formative capaci di generare alleanze fra educatori e imprese, ma, prima di tutto, tra adulti e giovani. Quando i Centennials, infatti, dialogano con gli adulti e questi ultimi accettano di imparare da loro, in virtù delle conoscenze tecnologiche possedute quasi naturalmente, possono accadere cose sorprendenti e positive.

UN MONDO A PORTATA DI APP
Gli strumenti tecnologici a disposizione dei Centennials rappresentano un’evoluzione delle tecnologie che solo dieci anni fa non esistevano, a cominciare dal mondo delle app. Come evidenzia Aica10 (l’Associazione italiana informatica e calcolo automatico), le app degli smartphone hanno funzionalità più circoscritte e limitate rispetto ai software tradizionali, ma questa caratteristica più che essere un limite è un vantaggio.
Infatti, la curva di apprendimento per l’utilizzo dell’applicazione è minima e i prezzi di acquisto sono bassissimi (molte applicazioni sono addirittura gratuite).

Attraverso le app, i Centennials sono divenuti davvero una generazione on demand, capace di soddisfare in modo personalizzato ogni esigenza di comunicazione, di informazione, di studio, di svago, di vita, senza limiti di tempo e di spazio. Questo nuovo modo di vivere ha sicuramente molti vantaggi, anche se non vanno trascurate le conseguenze indesiderate che possono limitare la privacy. Resta, comunque, un processo che si evolve e che sta modificando gli stili di vita: non conoscerlo e non comprenderlo significa non essere pronti a entrare nel terzo millennio.

La differenza tra la nostra generazione, nata nella seconda metà del Novecento, e i Centennials sta proprio nella capacità di utilizzare queste tecnologie, il cui funzionamento ai giovani risulta ovvio. Naturalmente smart e sempre geolocalizzati, alternano con disinvoltura le fonti orali e scritte a quelle digitali per risolvere problemi o per assumere informazioni e consigli che orientano le loro scelte finali.

Ormai gli smartphone hanno sostituito decine di singoli strumenti separati che si usavano nel Novecento. Ma non è finita qui, perché il mondo fisico sarà sempre più connesso con quello digitale. Si parla da tempo di internet of things e ormai ci siamo, presto assisteremo alla connessione in rete di oggetti di qualsiasi tipo. Lo smartphone arriverà in breve tempo a essere sempre più un vero e proprio telecomando di differenti dispositivi domestici e ci consentirà di impartire comandi ed effettuare controlli e monitoraggi a distanza.

Insomma, sarebbe sciocco da parte nostra non accettare il fatto che i Centennials si rifiutano di vivere e studiare come chi è nato nel Novecento, e non è più neanche auspicabile perché il progresso non si ferma e non aspetta coloro che lo ignorano. E quando i nostri giovani cercheranno un lavoro dovranno dimostrare di essere ben attrezzati in materia di competenze tecnologiche e scientifiche e quindi pronti per iniziare a lavorare. Se il mondo è cambiato così tanto in pochi anni, è legittimo pensare che nel 2032, quando usciranno dalle scuole superiori i bambini che nel 2019 hanno iniziato a frequentare la scuola primaria si ritroveranno a vivere in una realtà molto diversa dall’attuale, ancora più smart, più multiculturale, più planetaria.

Il tempo che già oggi trascorrono a scuola deve allora diventare un tempo per allenarsi al futuro. Basterebbe riflettere su questo per comprendere che, se non modifichiamo in fretta i nostri modelli culturali e istituzionali, rischiamo di mantenere in piedi “cattedrali nel deserto”, con costi improduttivi e non utili ai giovani e alla crescita del Paese. La scuola del Novecento ha le ore contate. Diamoci da fare.

Articolo tratto dal libro La scuola dei centennials, Valentina Aprea (Egea).


CONOSCI FOOD4MINDS?

È l’iniziativa di Manageritalia che ha come principale obiettivo quello di migliorare la sinergia tra la scuola e il mondo del lavoro e avere così risorse giovani in linea con le richieste del mercato, accrescendo l’occupabilità delle nuove generazioni e la competitività delle imprese. La peculiarità dell’iniziativa sta proprio nella figura del manager che fa da ponte tra ragazzi e aziende.

L’iniziativa in pillole:

  • Favorisce uno scambio virtuoso tra scuole, studenti e aziende.
  • Aiuta le scuole ad ampliare il perimetro delle discipline trattate nei programmi di studio e a integrarle con quelle di maggiore attualità e interesse nel mondo del lavoro.
  • Aiuta gli studenti a programmare e attuare consapevolmente il loro futuro ingresso nel mondo del lavoro, entrando direttamente in contatto con i manager d’azienda.
  • Aiuta i manager e le aziende a comunicare con gli studenti per indirizzarli verso il mondo del lavoro e favorire contemporaneamente lo sviluppo delle competenze nelle aziende.

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