Prima della Scala 2017: lo spettacolo dell’opera in Italia e nel mondo

Le ragioni del successo: a tu per tu con il direttore d'orchestra Amedeo Monetti

Presso il Teatro alla Scala domani sera andrà in scena l’opera Andrea Chénier. Lo spettacolo aprirà la stagione 2017-2018. I biglietti si sono esauriti in poche ore e molti giovani si sono precipitati ad acquistarli.

Ma come mai l’opera conserva il suo fascino in un mondo così distante dal suo come quello di oggi, digitale e frenetico? Ne discutiamo con il direttore d’orchestra e insegnante presso il Conservatorio di Milano Amedeo Monetti.

L’opera sta vivendo una seconda giovinezza?
Confermo. Per certi versi è abbastanza curioso, per altri comprensibile. Curioso perché fino a pochi anni fa si diceva sempre che la musica classica soffriva di un momento di crisi, che ci fosse per la sinfonica un calo di pubblico. Una volta col cd, ora con YouTube, è possibile sentire quello che si vuole quando si vuole. La musica lirica al contrario è sempre stata vista come qualcosa che comunque non sarebbe mai entrata in crisi. Prima di tutto perché è un’esperienza visiva che si realizza con la musica. Ci sono opere che appartengono alla tradizione, entri in un mondo distante dalla realtà quotidiana.
In un momento di incertezza l’essere umano ha bisogno di sognare, di fare un viaggio nel tempo, un déjà vu. La sinfonica lo dà solo dal punto di vista dell’ascolto, della piacevolezza. In più c’è un altro aspetto: grandi scenografi e stilisti si dedicano al teatro, ai costumi, tanto che l’opera è sempre stata un insieme di operatori (regista, direttore d’orchestra, scenografo, ognuno col suo ruolo preciso). C’è bisogno di essere sempre moderni dal punto di vista della regia e dei costumi e dell’ambientazione, in modo da catturare le giovani generazioni. Non puoi mettere in scena il Don Giovanni di Mozart sempre allo stesso modo. Devi anche essere moderno, ma a servizio della musica. Monteverdi diceva che la musica è al servizio della parola. Adesso è un po’ diverso.

Lei come spiega questa forma di interesse da parte dei ragazzi? L’opera è diventata pop?
Sì se intendiamo la possibilità di fruirne in un’ambientazione che può essere quella dei tempi moderni. Oggi c’è il desiderio di vedere non necessariamente quello che abbiamo ereditato dalla tradizione, l’opera è diventata uno spettacolo come Broadway. Vai all’opera come puoi andare a vedere un musical colto e questo attira. L’opera ha questa fortuna grazie al fattore visivo. La musica entra nella pelle indirettamente. Lo spettatore in questo caso ha la possibilità di vedere e ascoltare allo stesso tempo. C’è bisogno di avere certezze e l’opera è una certezza, un certo tipo di ascolto. E così i giovani vanno a sentire la Nannini ma anche l’Andrea Chénier. C’è voglia di svago.

La storia dell’opera andrebbe inserita nei programmi scolastici?
Certamente. Dipende però da come la insegni. Insegnare storia della musica può essere qualcosa di prolisso, borioso e accademico. Bisognerebbe fare storia della musica con l’ascolto diretto. Stranamente si insegna poco la musica. Eppure è una forma di cultura, un pezzo di storia della nostra civiltà. In ogni caso i giovani la scoprono individualmente.

L’opera può veicolare una certa idea di Italia nel resto del mondo?
Può senz’altro essere un modo per veicolare una certa idea del nostro Paese. La Scala ha sempre rappresentato la cultura dell’opera all’estero: subito dopo la guerra andava a Vienna, in Russia o in America ed era sempre vista come l’opera italiana per antonomasia. I direttori portavano l’opera italiana nel mondo e questo era sempre un grande evento. Herbert von Karajan pretese che le opere italiane venissero cantate in lingua italiana all’estero. L’opera del resto è nata proprio da noi. I compositori stranieri avevano la nostra opera come modello.

Fra pochi giorni si terrà la prima al Teatro alla Scala. È solo un evento mondano e culturale oppure può avere anche una valenza particolare?
Non ritengo che l’Andrea Chénier possa avere un’attinenza col periodo in cui viviamo. La prima alla Scala è da sempre un evento che una volta attirava un certo tipo di élite e provocava alcune contestazioni: si assisteva quasi a una battaglia politica. Adesso tutto ciò è stemperato. È sempre un appuntamento con battage pubblicitario e risonanza internazionale. Una volta era in Eurovisione, ora in Mondovisione. Forse tutto ciò è un indotto perché i giovani trovano in questa forma di spettacolo un evento di massa. A un concerto rock posso applaudire, fare quello che voglio, comunicare. Il mondo sinfonico è associato a una serie di riti in cui ad esempio l’applauso si fa alla fine di una sinfonia. C’è quasi una sorta di liturgia. Ma la musica classica non deve essere vista come un rito, non è un concerto rock, seppure i silenzi siano funzionali. Molti ignorano però che nel passato non si stava così tanto ad ascoltare. Ai tempi di Mozart la musica era fatta a corte: mentre suonavano i partecipanti parlavano, comunicavano, si trattava di un vero e proprio evento sociale.

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