People are media: il business digitale nell’era dei selfie

Il saggio di Aldo Agostinelli e Silvio Meazza è una riflessione sulla nostra società, sui nuovi comportamenti di consumo e sulle sfide che brand e aziende si trovano a fronteggiare in un mondo perennemente distratto da notifiche e like

Aldo Agostinelli, digital officer in Sky Italia, e Silvio Meazza, fondatore e socio dell’agenzia M&C SAATCHI Milano, uniscono la loro expertise nel libro People are media (Mondadori) per andare oltre alla fotografia di ciò che sta succedendo nella nostra società e analizzare l’impatto pervasivo della rivoluzione digitale nei comportamenti delle persone e nella comunicazione aziendale.
Il primo gesto che molti di noi compiono appena svegli verrà ripetuto un centinaio di volte nell’arco della giornata, per un totale di 60 minuti, sommando il tempo di navigazione su Facebook: l’accesso alla creatura di Zuckerberg per gettare un sguardo alla nostra bacheca e cliccare contenuti nella maggioranza dei casi non originali e condivisi da altri “amici” (quasi tutti sconosciuti nella vita reale).
La nostra soglia dell’attenzione è crollata, insieme alla vendita dei chewin gum collocati vicino alle casse del supermercato (quando ci arriviamo siamo incollati allo schermo del nostro smartphone per rispondere a qualcuno su WhatsApp o giocare a Candy Crush).

La cura dei nostri avatar
Bombardati di messaggi, notifiche e bip che interrompono pensieri e attività, impedendoci di concentrarci per più di pochi minuti, siamo tutti più fragili e insicuri: i social stanno alimentando le nostre insicurezze affidandoci alla mercé dei like, moneta dal valore sfuggente in grado di determinare il successo dei nostri avatar 2.0, sempre sorridenti e perfetti grazie a filtri, app per far sparire le occhiaie e delineare la nostra silhouette e inquadrature studiate per il racconto non tanto di noi, ma di chi vorremmo essere. Già, perché su Instagram non siamo noi: per scoprire la nostra vera identità, le paure che ci assillano e i desideri reconditi dovremmo piuttosto controllare la cache dei nostri pc e scorrere la lista di ciò che chiediamo a Google, di nascosto.

Lo storytelling è morto
Il saggio tenta di dare delle risposte a comunicatori e marketer in preda a una crisi di nervi: i brand che si affidano allo storytelling tradizionale fanno fiasco e le pagine istituzionali intasate di contenuti noiosi e falsi ci infastidiscono. Eppure basterebbe dedicare più tempo ad ascoltare le conversazioni in rete o a chiedersi il motivo di un silenzio che la dice lunga. Stesso discorso per i media, che hanno come concorrente diretto un signor nessuno che può inviare messaggi ai suoi migliaia di follower o commentare le notizie anche senza capirle. Il megafono è a disposizione di tutti e chiunque può promuovere un brand o rovinarne la reputazione. Il consumatore ha comportamenti inaffidabili ed è pronto a fare la spesa in modo più dinamico e personalizzato, come viene spiegato nel capitolo dedicato allo shopping interattivo. Il nostro cellulare ci permetterà molto probabilmente di immergerci in negozi aumentati e anticiparci quello di cui siamo alla ricerca tra una gara di droni e l’altra.

Big data e privacy
Tutte le informazioni sui passaggi delle persone all’interno dei centri commerciali, stazioni ferroviarie e altri luoghi pubblici ci permetteranno di costruire mappe in grado di identificare un punto con una persona specifica grazie a quello che ha comprato e alla carta fedeltà utilizzata. Già oggi la tecnologia permette di sfruttare i big data, verosimilmente nel futuro saremo abituati ad essere così coccolati con servizi e prodotti su misura in poco tempo che saremo disposti a fregarcene della privacy.

Un futuro distopico?
La rivoluzione è solo all’inizio, avvertono Agostinelli e Meazza. L’intelligenza artificiale è ancora stupida, se pensiamo che il sito di e-commerce numero uno ci propone lo stesso prodotto non appena lo abbiamo acquistato e le piattaforme di booking alberghiero ci mostrano le offerte dello stesso hotel dove abbiamo appena fatto il check out.
Possiamo immaginarci cosa accadrà? Dobbiamo avere paura dei robot? Accanto a suggestioni, come la Apple Bank, tutta bianca e con a disposizione la liquidità dei suoi clienti nel suo store, assistiamo nei mercati di riferimento, come quello statunitense, alla riscoperta della carta e del vinile e alle prese di distanza degli investitori pubblicitari sui nuovi mezzi, segno che forse tutto questo digitale alla lunga stanca e forse non conviene sempre, nonostante le sue seduzioni. Forse riusciremo ad avere un approccio più equilibrato con la rete quando ammetteremo a noi stessi di esserne schiavi e che un cellulare non può rovinarci la salute e condizionare così tanto il nostro umore.

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca