L'editoriale del presidente di Manageritalia Mario Mantovani sul numero di marzo della rivista Dirigente

No alla guerra, nessuna ragione è valida per scatenarla. Da troppo tempo la storia ci insegna che le guerre portano solo distruzione, in entrambi i campi, e sono la prima causa di degrado sociale ed economico dei popoli, oltre che portatrici di morti e sofferenze infinite.

Si dice che solo noi europei abbiamo sviluppato in modo così radicale la negazione della guerra come strumento di confronto tra stati: è probabilmente vero e deriva da una lezione tragicamente appresa nei secoli, culminata nelle due guerre mondiali, giunte a un passo dal cancellare la nostra civiltà.

Memorie di guerre che non abbiamo dimenticato, racconti di genitori e nonni che risuonano oggi nei nostri cuori. Cercare la pace a ogni costo non è una debolezza, non cedere alle provocazioni non è ignavia. Certo, noi europei abbiamo di fronte una strada difficile: non siamo uno stato monolitico, non abbiamo masse disperate da mandare al fronte con la promessa di un qualche riscatto. Preferiamo investire in strumenti di pace e non in armi, non abbiamo serbatoi smisurati di materie prime ai quali attingere. Ma proprio perché conosciamo un mondo migliore, per averlo costruito, non abbiamo nessuna intenzione di perderlo.

Dobbiamo perciò essere consapevoli della nostra forza, che si manifesta quando siamo uniti, coesi, alleati affidabili, ma non subalterni, degli Usa. Dobbiamo essere pronti ai sacrifici necessari, per divenire autonomi nella difesa e nell’energia, una strada che oggi deve essere imboccata senza ritardi e tentennamenti. Dobbiamo essere fieri delle nostre democrazie: anche se paiono lente e involute nel prendere le decisioni, dobbiamo curarle, rafforzarle, senza cedere alla disastrosa tentazione dell’“uomo forte”.

Nelle scelte manageriali che siamo chiamati a fare abbiamo purtroppo di fronte nuovi pesanti vincoli, proprio quando l’emergenza pandemica sembrava volgere al termine. Abbiamo una nuova (in realtà antica e sottovalutata) motivazione, ancora più evidente dei cambiamenti climatici: la geopolitica ci impone di accelerare la transizione energetica senza tatticismi e senza pregiudizi ideologici, pronti a pagarne il prezzo economico, suddividendolo in modo equo. Prima o poi la guerra dei carri armati e dei bombardamenti finirà, ma quella energetica ed economica è destinata a svilupparsi, fino a raggiungere nuovi equilibri.

Abbiamo di fronte un altro lungo periodo difficile, che potrebbe aprire la crisi di molte filiere produttive: il terziario potrà essere la forza trainante del Paese, ancor più dei due decenni passati, accelerando la modernizzazione, avvicinando i servizi ai cittadini. A tutti, non solo quelli delle grandi città. Per condividere pienamente rischi e opportunità dobbiamo finalmente integrare tutte le reti europee, finora troppo compresse nei confini nazionali: quelle energetiche, i trasporti, ma anche la ricerca, la sanità, l’istruzione, la cultura.

Se restiamo uniti, se sappiamo accettare le sfida, siamo molto più forti di quanto crediamo.

United we stand, divided we fall.


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