Fashion, food, beauty, travel, lifestyle, book, geek. Sono solo alcune delle tipologie di blog che si possono trovare in rete. Sì, perché negli ultimi anni si è assistito a un processo di progressiva specializzazione: non esiste più il/la blogger ma esiste il/la blogger specializzato in cibo, moda, viaggi, cosmesi, tecnologia e così via. Non solo: all’interno di ogni comparto si sono sviluppate ulteriori nicchie. Così, per esempio, vi sono beauty blog incentrati solo sulla cura delle mani/unghie e blog di viaggio a misura di famiglia, dedicati a chi ha bambini piccoli. L’obiettivo è duplice: da una parte ci si differenzia all’interno del panorama competitivo e dall’altra parte ci si ritaglia un target/pubblico ben definito.
Restano, tuttavia, molte incertezze sul reale giro di affari. In altri termini: quanti tra i blogger riescono davvero a vivere di questo lavoro? L’impressione è che, nel migliore dei casi, il blog sia una sorta di vetrina che consente di fare personal branding e di originare progetti collaterali. Insomma, non genera fatturato in modo diretto ma genera business in modo indiretto. Del resto ciò vale anche per Chiara Ferragni, il cui fatturato (pari a 10 milioni di dollari) deriva in primis dall’attività di testimonial (è il volto di Pantene e di Amazon Fashion) e dalle collaborazioni con i marchi.
In parecchi casi, poi, il blog è semplicemente un mezzo per avere un po’ di visibilità e ottenere qualche invito. Ma qui, più che di blogger parliamo, per usare un’espressione coniata da Camilla Baresani, di sbafatori.