Lo Stato, grazie al principio di sussidiarietà, può consentire ai singoli cittadini o alle formazioni sociali liberamente costituite – quali, ad esempio, i corpi intermedi – di agire autonomamente per la soddisfazione di un bisogno sociale. L’attribuzione ai cittadini, singoli o associati, di tale compito non deve ovviamente pregiudicare l’erogazione di quelle prestazioni del welfare che devono essere garantite in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, in quanto espressione di diritti di cittadinanza.
Nell’ambito dello stesso comparto del welfare – ad esempio, nel comparto della previdenza e in quello della sanità – coesistono vari livelli di protezione: alcuni forniti direttamente dallo Stato (le prestazioni pensionistiche e le prestazioni sanitarie di base), altri attribuiti ad organismi di origine contrattuale e ad enti mutualistici (i trattamenti integrativi) e altri ancora posti a carico delle famiglie (i piani individuali di risparmio e le polizze malattia).
Se è vero che questi tre distinti pilastri del welfare (di natura rispettivamente obbligatoria, collettiva e individuale) sono presenti nella generalità dei paesi europei, è anche vero, però, che il loro contributo varia sensibilmente da paese a paese, non solo per motivi di carattere economico ma anche per motivi di carattere sociale e culturale. Per fare un esempio, basti pensare ai piani di previdenza complementare, i quali risultano molto diffusi in Olanda, Regno Unito, Svezia e Germania. In Italia invece la diffusione dei fondi pensione è ancora insufficiente e solo una modesta frazione dei lavoratori più giovani risulta iscritta. Un divario altrettanto ampio emerge anche con riferimento al secondo pilastro dell’assistenza sanitaria, la cui rilevanza dovrebbe aumentare sensibilmente negli anni a venire per effetto della forte accelerazione della domanda di assistenza a lungo termine.
Ma forse esiste la possibilità di rendere il sistema maggiormente conveniente e sostenibile per tutti i livelli.
Più libertà di iniziativa privata ai corpi intermedi
Se l’iniziativa privata associata interviene nella soddisfazione di bisogni sociali anche primari, svolgendo la propria attività in maniera efficace e in una cornice regolamentata e no profit, perché non incentivarla ulteriormente lasciando che tale iniziativa si dispieghi ancora più liberamente?
Manageritalia è convinta che esistano margini per l’ampliamento del secondo e del terzo pilastro, in particolare in quegli ambiti che per gli apparati pubblici risulterebbero particolarmente dispendiosi.
Incentivazione fiscale e informazione
Il lavoratore dovrebbe poter scegliere più liberamente come e dove allocare il proprio reddito per garantirsi un futuro migliore, a patto che lo Stato crei le condizioni giuridiche affinché questo avvenga, incentivando sul piano fiscale l’utilizzo delle forme integrative di welfare e fornendo un’adeguata informazione ai cittadini sui rischi sociali: una giusta informazione sui rischi di peggioramento della qualità della vita, dell’obsolescenza delle proprie competenze, del livello insufficiente della propria pensione ecc. e sugli strumenti che l’apparato pubblico e il welfare privato possono assicurare per contrastare tali rischi.
Una volta soddisfatte queste due condizioni (incentivazione fiscale e adeguata informazione) il cittadino potrebbe optare, avendo consapevolezza e una disponibilità maggiore di reddito, a favore di forme integrative di natura privatistica rispetto al bisogno di salute, di benessere sociale, di un’occupazione stabile, di una crescita professionale ecc.
Esistono livelli diversi di assistenza del welfare, alcuni prestati dallo Stato, altri da organizzazioni intermedie e altri presi in carico direttamente dai cittadini.
Se è vero che il welfare privato intermediato ha dato prova in questi anni di soddisfare bisogni importanti della popolazione, in una cornice comunque regolamentata, perché non incentivarlo ulteriormente lasciandogli più spazio?
Manageritalia, partendo dall’assunto che i manager contribuiscono in maniera sostanziosa al mantenimento del welfare pubblico, è convinta che esista la possibilità di ampliare il secondo e terzo pilastro, in particolare in quegli ambiti che per gli apparati pubblici risulterebbero particolarmente dispendiosi.
Soprattutto quando i rendimenti del settore privato risultano decisamente più alti di quelli del welfare pubblico.
Farà lo Stato un passo indietro a favore della libertà del cittadino?
Partiamo da una seria politica retributiva
In che modo? Una prima misura utile sul piano generale potrebbe essere quella di approntare una seria politica retributiva, che abbia anche una funzione redistributiva della ricchezza. Una politica che necessariamente deve coprire tutte le retribuzioni che in Italia lasciano poco spazio ad investimenti sul welfare. Secondo i dati dell’Oecd, nel 2019 la retribuzione media annua oscilla nel nostro Paese attorno ai 30 mila euro, al lordo delle ritenute fiscali e dei contributi a carico del lavoratore. Ciò significa che, a parità di potere d’acquisto, in Italia la retribuzione media risulta inferiore del 26,9% a quella della Germania, del 17% a quella del Regno Unito e del 15,7% a quella della Francia. Se si aumentasse il reddito dei lavoratori, con politiche fiscali e contributive, anche con maggiori prestazioni di welfare aziendale, vi sarebbe un maggior coinvolgimento di quei soggetti non profit che, attraverso la sussidiarietà e l’integrazione con il settore pubblico, possono rendere più sostenibile e più efficace il sistema di protezione sociale.
Anche la categoria dei manager non sfugge a tale morsa pur concorrendo al welfare pubblico con una contribuzione elevata, versando, correttamente e convintamente, molto in termini di solidarietà.
Ma la stessa categoria vorrebbe poter scegliere, oltre una certa quota di versamento contributivo e assicurata la solidarietà tra categorie di lavoratori, dove e come investire le proprie risorse economiche per coprire i rischi derivanti dalla salute, dall’obsolescenza del lavoro e dall’età.
Il legislatore ha introdotto negli anni incentivi per la previdenza e l’assistenza sanitaria integrativa anche dei dirigenti, che andrebbero in ogni caso rivisti. Non ha invece previsto forme incentivanti per la formazione e per le politiche attive.
Premesso che il meccanismo della sussidiarietà alleggerisce i costi del settore pubblico, il punto di partenza per valutare sviluppi e scenari futuri sta nell’analizzare come si esplica oggi la funzione sussidiaria nei settori della sanità, della previdenza, degli ammortizzatori sociali e della formazione e come potrebbe essere sviluppata e incentivata.
Tutela dei rischi sociali: partiamo dai pilastri
Per tutelare meglio i rischi sociali e rispondere ai bisogni emergenti, occorrerà prevedere forme più stringenti di collaborazione e cooperazione tra soggetti pubblici e privati a partire dal settore sanitario, nonché una piena valorizzazione delle potenzialità del volontariato.
Sul piano previdenziale riteniamo che, oltre certi importi vicini all’attuale massimale, se parte della contribuzione versata all’INPS potesse essere trasferita alla previdenza complementare, questo consentirebbe di poter contare su un maggior risparmio previdenziale complessivo anche a fronte di una pensione per la parte pubblica leggermente inferiore. Ma a favore ci sarebbe maggiore flessibilità che permetterebbe anche di poter provvedere in autonomia a far fronte economicamente a periodi di inattività o di anticipare il momento del pensionamento.
Sul piano della formazione e delle politiche attive, grandi spazi possono essere rimessi alla contrattazione collettiva e all’autonomia delle parti sociali se finalmente intervenissero incentivi fiscali.
Cosa chiede Manageritalia
Ci auguriamo che si apra una nuova frontiera in cui lo Stato faccia un passo indietro, permettendo ai cittadini e alle organizzazioni sociali di potenziare sempre di più un welfare privato solidale che concorra a garantire un maggior benessere per i cittadini.
Una nuova frontiera del welfare, che dia una risposta anticipatoria ai grandi problemi dell’invecchiamento della popolazione, della denatalità, della occupabilità dei lavoratori e dell’equilibrio tra generazioni.
Nelle prossime settimane approfondiremo il tema della sussidiarietà applicato alla sanità, alla previdenza, alla formazione, al fisco e alle politiche attive; verificheremo quali spazi di investimento si possono dispiegare avendo a disposizione un maggior reddito disponibile. Un lavoro fatto da questa Federazione e maturato negli anni in cui è riuscita a costruire un welfare contrattuale rispondente a buona parte delle esigenze primarie dei manager e dei propri familiari. Ma l’indebolimento del bilancio previdenziale, la precaria tenuta del sistema sanitario e le repentine trasformazioni del lavoro impongono un accorta riflessione sui modelli di riferimento, non solo contrattuali. Manageritalia intende concorrere per la costruzione di un nuovo equilibrio tra pubblico e privato congegnato in maniera che nessun sistema cannibalizzi l’altro. Un modello dove la sussidiarietà possa diventare la chiave per soddisfare il diritto del cittadino del terzo millennio ad avere un sistema di protezione sociale davvero equo, sostenibile e rispondente ai nuovi bisogni.