La mappa delle disuguaglianze in Italia

Il saggio Nel Paese dei disuguali di Dario Di Vico traccia una mappa dei divari e delle ingiustizie sociali in Italia, ma individua anche le cause e le motivazioni che le hanno prodotte

I saggi sono spesso (pericolosamente) teorici. Si arriva alla fine del volume e si pensa:  “tutto molto interessante. Ma cosa c’entra con me, con noi?”. È un pericolo che non si corre leggendo l’ultimo libro di Dario Di  Vico, Nel  Paese  dei  disuguali, pubblicato da Egea. Il testo – il cui sottotitolo recita Noi, i cinesi e la  giustizia sociale – è infatti ben ancorato alla realtà concreta.

Quella che vediamo ogni giorno nelle nostre città, quando incrociamo i fattorini in bici che consegnano il cibo a domicilio oppure, al supermercato, ci troviamo di fronte allo scaffale, sempre più grande, dei prodotti biologici. Un ancoraggio fatto da una parte di numeri e statistiche provenienti da svariate fonti e dall’altra parte di storie di persone reali. Come quella di Sandro che, abbandonato il liceo, è entrato nella folta schiera dei Neet (i giovani che non studiano né cercano lavoro) oppure di Giulia, che ha trasformato Airbnb in una professione.

Il risultato è un’istantanea del presente che mescola l’approccio più scientifico e “freddo” (fatto di dati  e  teorie) a una dimensione più “calda” e narrativa, che prende corpo attraverso il racconto di vicende reali di persone reali.

Una diseguaglianza macro? l’infanzia
Ma il risultato è anche una fenomenologia delle diseguaglianze, poiché questo è il centro dell’interesse di Di Vico (non dimentichiamo che è laureato in sociologia e, prima di dedicarsi al giornalismo, ha lavorato come sindacalista). Le diseguaglianze identificate (e descritte in modo diretto, talvolta ruvido) nelle 150 pagine del libro sono tante. Una delle più macroscopiche (eppure sottovalutate) riguarda l’infanzia. «Come italiani siamo diventati generosi con le adozioni a distanza ma fatichiamo ad accettare che da noi, nella penisola della bellezza, vivono 1,3 milioni di bambini in povertà assoluta. Che diventano 2 milioni se prendiamo in considerazione l’indicatore di povertà relativa: stiamo parlando quindi di un bambino su quattro».

L’indigenza minorile si concentra nel Mezzogiorno del paese e nelle famiglie con un capofamiglia che ha frequentato le elementari. I bambini che vivono in questo contesto sono a rischio povertà quattro volte di più di quelli residenti al Nord e figli di diplomati.

Diseguaglianze interne ai segmenti sociali
E poi ci sono le diseguaglianze interne ai segmenti sociali. La classe operaia, per esempio, appare oggi suddivisa  in  tre  fasce. Ci sono gli operai cognitivi, che sono coinvolti nei processi di controllo e regolazione delle macchine e hanno un ruolo centrale in azienda, sebbene non sempre valorizzato a livello retributivo. Ci sono gli operai delle linee di montaggio, che rappresentano il cuore della partecipazione sindacale e ragionano più tradizionalmente in termini di rivendicazioni egualitarie. Di questo gruppo
fanno parte, secondo l’autore, anche gli operatori dei call center, il cui lavoro è routinario e privo di sbocchi di mobilità. Infine c’è il proletariato dei servizi, che opera soprattutto nella logistica ed è poco rappresentato a livello sindacale. 

Al proletariato dei servizi appartengono anche le badanti: un piccolo esercito che, secondo le stime, conta 200 mila persone, in grande maggioranza donne e straniere. La  differenza tra i tre gruppi riguarda – oltreché la vicinanza al sistema sindacale – le retribuzioni.

Se gli operai cognitivi guadagnano in media 1.500  euro, quelli delle linee di montaggio hanno un salario medio intorno ai 1.350 euro e il proletariato dei servizi si ferma a 1.050 euro. Insomma – osserva Di Vico – «i processi di diseguaglianza sono più estesi di quanto si sia raccontato finora».

Cause e motivazioni
Il libro non si limita a tracciare una mappa delle diseguaglianze ma individua anche le cause, le motivazioni che  le  hanno  prodotte. E  ne identifica i responsabili. A partire  dalle  istituzioni, dalla  classe politica e dirigente del Paese che mostra di avere una visione miope della  realtà,  tesa  all’arrocco, alla difesa dei propri privilegi. Un esempio tra tanti: il tema della povertà infantile è completamente rimosso dall’agenda politica nonostante sia  destinato ad avere un impatto fortissimo sulle sorti future del Paese. L’indigenza minorile sfocia, infatti, nell’abbandono  del  percorso scolastico che, nei migliore dei casi, è il preludio all’ingresso nella corte dei Neet. Più spesso, tuttavia, apre la strada all’introduzione nel mondo della (micro o macro) criminalità. Insomma, un presente di bambini poveri (dal punto di vista materiale e immateriale) significa un futuro di adulti senza lavoro, demotivati, facili prede del crimine organizzato.

Non sarebbe meglio – scrive Di Vico citando Maurizio Ferrera, direttore scientifico di Percorsi di secondo welfare – «intervenire per sostenerli  quando  ancora  la  loro  esistenza si può raddrizzare, invece di chiudere gli occhi e doverli poi supportare per tutta la vita con scarsa efficacia  e  spreco  di  risorse?».  La  risposta  di  questa  –  come  di  molte altre domande poste nel volume – spetta ai lettori.

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca