Koalisation: collaborazione, sostenibilità, sviluppo e impatto sociale

Una realtà che progetta e accompagna processi di collaborazione tra persone, organizzazioni e territori, usando modelli imprenditoriali orientati all’impatto sociale e culturale. Ne parliamo con Jonathan Senesi, Co-founder & head of project development di Koalisation
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Qual è la missione di Koalisation e cosa vi distingue nel panorama della sostenibilità?

«Siamo nati da una semplice constatazione: il mercato della compensazione di carbonio è stato invaso da speculazioni, scarsa trasparenza e progetti di bassissima qualità. Questo ha creato scetticismo legittimo, ma anche tanto greenwashing.

La nostra missione è trasformare il carbonio da strumento di facciata a vero catalizzatore di sviluppo socio-economico nei paesi emergenti. Crediamo che la finanza carbonica, quando fatta bene, sia uno dei mezzi più potenti per generare impatto reale.

Cosa ci distingue? Siamo fisicamente sul territorio. Non vendiamo crediti da una scrivania. Monitoriamo costantemente quello che succede sul campo, forniamo trasparenza e tracciabilità su ogni singolo dato, e offriamo un livello di supervisione che va ben oltre gli standard dei registri di certificazione. Assai spesso, gli impatti dichiarati e quelli reali sono due storie diverse. Noi facciamo in modo che coincidano».

Come funziona il vostro modello di business?

«Abbiamo ribaltato completamente il modo tradizionale di comprare crediti di carbonio. Niente scaffali, niente intermediari, niente scatole nere.

Il modello è semplice: le aziende investono con un costo di avviamento e una fee mensile che garantisce il monitoraggio costante e il rilascio degli asset. In cambio, diventano co-proprietarie del progetto. Non comprano crediti: diventano partner attivi, acquisiscono una quota o l’intero progetto in base alle loro necessità di compensazione.

I vantaggi sono concreti: proprietà diretta, zero intermediari, crediti di carbonio ad altissima qualità generati ogni anno, over-compliance rispetto agli standard attuali, tracciabilità totale su ogni step progettuale. Ma c’è di più: possono creare attivazioni direttamente sul campo e storytelling autentici che amplificano l’impatto e il valore del loro brand. Non è solo carbon finance, è impresa consapevole.

Inoltre attraverso il nostro modello, l’azienda non sostiene un costo, ma effettua un vero e proprio investimento da inserire nello stato patrimoniale come un’immobilizzazione immateriale ammortizzabile per l’intero ciclo di certificazione (5 anni)».

Quali tipologie di progetti sviluppate e in quali aree geografiche?

«Abbiamo scelto di focalizzarci su uno dei problemi socio-ambientali più critici dell’Africa sub-sahariana: il dirty cooking. Due miliardi e mezzo di persone nel mondo, di cui 900 milioni solo in Africa sub-sahariana, cucinano ogni giorno con legna o carbone. Usano fornelli inefficienti che emettono fumi tossici, causando malattie respiratorie e alimentando la deforestazione.

Il nostro approccio è olistico. Da un lato, distribuiamo fornelli efficienti che riducono drasticamente il consumo di carbone nelle aree urbane e periurbane.

Dall’altro, coinvolgiamo i produttori di carbone in attività rigenerative: li trasformiamo da agenti di distruzione in custodi della foresta, creando nuove fonti di reddito e ripristinando la biodiversità.

Lavoriamo sia a valle che a monte del problema, offrendo soluzioni alternative che convenire economicamente a tutti: consumatori, produttori, e al pianeta.

Per ora siamo ancorati in Zambia, ma molto presto espanderemo in Malawi, dove i problemi e le dinamiche sociali sono identici».

 In che modo le aziende possono utilizzare i vostri crediti di CO₂?

«I nostri progetti sono modulari. Ogni azienda ha bisogni diversi, dimensioni diverse, priorità diverse.

Compensare le emissioni è ovviamente il punto di partenza, ma non è il fine. Un investimento in Koalisation può servire a posizionarsi in termini ESG, aumentare la talent attraction facendo leva su un impegno concreto, sviluppare attività di CSR con vero impatto territoriale, o semplicemente fare la cosa giusta.

La nostra forza è integrarei tutti questi aspetti, focalizzandosi su quelli che l’azienda ritiene più rilevanti e sugli output che vuole ottenere. Non è un prodotto rigido, è una soluzione su misura».

 Come supportate le aziende nel raccontare il loro percorso di sostenibilità?

«Abbiamo team dedicati in Italia e in Zambia che lavorano fianco a fianco con i dipartimenti comunicazione e marketing delle nostre partner. Non creiamo storytelling di fantasia.

Creiamo storie vere, autentiche, che documentano come funziona il progetto, chi sono le persone coinvolte, quali sono i benefici reali.

L’obiettivo è doppio: da un lato, sensibilizzare e ispirare, avvicinando mondi che sembrano lontani ma che in realtà sono molto più vicini di quello che pensiamo.

Dall’altro, dimostrare a concreto che destinare budget a sostenibilità non è un costo, è un investimento che genera valore e opportunità di crescita per tutti: per l’azienda, per le comunità, per il pianeta».

Qual è il vostro approccio alla misurazione dell’impatto?

«Partiamo dai cosiddetti studi di baseline, nel quale andiamo a calcolare qual è il consumo pro capite della zona attraverso un procedimento chiamato KPT (kitchen performance test).

Durante i KPT calcoliamo il consumo di carbone che viene utilizzato nei sistemi di cottura tradizionali e facciamo una media su una campionatura che varia tra i 100 ed i 150 e più test (in base alle dimensioni del progetto che dobbiamo sviluppare).

Il nostro approccio alla misurazione dipende dalla tipologia di forno che andiamo a distribuire. Per i forni pirolotici, che funzionano a pellet per esempio, il monitoraggio avviene attraverso degli strumenti integrati nel cookstove. Ogni qualvolta il cookstove viene acceso, si attiva un sensore. Ogni mese il nostro team di field officers monitora ogni singola abitazione, scarica i dati dal cookstove e raccogliere dati qualitativi e quantitativi intervistando la famiglia. Durante questa visita, si assicura che il cookstove sia in buone condizioni, che non la famiglia si trovi bene nell’utilizzarlo e prima di andare via scatta una foto al forno.

In seguito, tutti questi dati vengono riportati in un file che poi viene analizzato e mandato attraverso un report ai clienti».

Come vengono accolte le vostre iniziative dalla comunità?

«Non è stato immediato, e saremmo disonesti a negarlo. C’è stato scetticismo iniziale, legittimo: troppe organizzazioni hanno promesso e non mantenuto. Abbiamo costruito la fiducia con il tempo, rispettando gli impegni e entrando sempre più profondamente nella realtà e nella cultura locale.

Abbiamo scelto un approccio bottom-up: non arrivavamo con le soluzioni già pronte. Ascoltavamo, capivamo quali fossero le esigenze reali, adattavamo i nostri progetti in base ai feedback ricevuti durante gli studi di fattibilità. Molti progetti falliscono perché portano “la soluzione giusta” secondo chi la progetta, senza considerare il contesto sociale. Noi facciamo il contrario.

Il risultato? Un’adozione delle nostre iniziative ben oltre le nostre stesse aspettative. E continuiamo: ogni giorno raccogliamo consigli e suggerimenti dalle comunità per migliorare i progetti e massimizzare il loro coinvolgimento. Loro sono i protagonisti, non noi».

Come immaginate Koalisation tra cinque anni?

«Non pensiamo tanto a come vediamo Koalisation, ma a quale impatto Koalisation insieme a tutte le realtà partner avrà generato.

In cinque anni il nostro obiettivo è toccare 1 milione di famiglie impattate. Sembra un numero grande, ma rappresenta meno dell’1% del problema in Africa sub-sahariana rispetto ai dati attuali. C’è molta strada da fare.

Per arrivarci abbiamo bisogno del supporto di tante realtà virtuose che, come noi, credono nel potere della collaborazione e nella creazione di valore reciproco. Non è una visione da soli, è una coalizione. È per questo che ci chiamiamo Koalisation».

Come possono le aziende e i manager interessati saperne di più, entrare in contatto con voi e valutare insieme opportunità di collaborazione?

«Facile. Tre strade. La prima è il sito: c’è un form con il quale potete lasciarci i vostri contatti e inizieremo il dialogo. La seconda è scrivere direttamente a jonathan@koalisation.com. La terza è l’occasione che vi darà Manageritalia nei prossimi mesi: un webinar in cui approfondiremo le dinamiche della collaborazione, risponderemo alle vostre domande e porteremo concrete il nostro approccio. Speriamo di vedervi numerosi.

Non abbiate fretta, ma abbiate coraggio. La transizione verso modelli di business realmente sostenibili non è veloce, ma è necessaria. E non è un percorso che si fa da soli».

 

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