Keith Haring: il bene e il male del mondo

Keith Haring, About Art, Palazzo Reale Milano. Fino al 18 giugno

Alto, dinoccolato, un inconfondibile paio di occhiali e la faccia da bravo ragazzo: è così che si presenta sulla scena newyorkese degli anni ‘80 Keith Haring, pronto a cambiare il volto e il colore della città. Profondamente convinto che l’arte sia da condividere, un mezzo di comunicazione a disposizione di tutti, si pone come obiettivo proprio il portarla fuori dai musei, in mezzo alla gente comune, offrendola a chiunque abbia voglia di ascoltare argomenti talvolta scomodi. E con tali premesse, quale luogo più adatto della metropolitana? È sui pannelli di carta nera che ricoprono gli spazi pubblicitari non utilizzati che Haring compie i primi “raid” munito di gessetti bianchi. Dalla sua linea continua, veloce e armonica, nascono le sue icone pop come il bambino radiante, il cane, la piramide. Un esercito di personaggi che nel giro di pochissimo tempo conquista tutti, grandi e piccoli, addetti ai lavori e non. Haring vanta estimatori persino tra le forze dell’ordine che puntualmente lo arrestano per atti di vandalismo!

L’interesse dei galleristi è immediato, così come la partecipazione alle prime mostre e un inevitabile mutamento di mezzi e materiali, pur senza perdere mai il suo segno inconfondibile. Haring dialoga con il passato e il presente, è un divoratore instancabile di immagini di ogni tempo, che puntualmente cita e restituisce con il suo stile unico: dalle influenze azteche ai nativi d’America, dall’Africa al mondo Giapponese, passando attraverso Michelangelo, Picasso, Pollock, Leger e Alecinsky. La grandezza di Haring è la facilità con cui ci racconta la sua personale storia dell’arte così come la assorbe, la vive e la restituisce con l’immediatezza e il candore dei propri segni Keith Haring non è solo un mondo infantile, è anche riflessione su temi impegnativi, come la droga che condannava fermamente, o la discriminazione verso le minoranze.
Ma soprattutto Keith Haring è il volto tragico della New York che vive il flagello dell’Aids senza neppure sapere cosa sia esattamente, la “peste dei gay” come veniva definito il virus in molti ambienti, un mostro che genera una serie di pregiudizi e teorie rivelatesi poi infondate, una malattia che non lascia scampo e che in pochi anni mieterà migliaia di vittime. Lo stesso Haring morirà prematuramente a causa dell’Aids nel 1990, a soli trent’anni, non senza aver prima indirizzato la sua arte verso la prevenzione e la sensibilizzazione. «La malattia non mi ha insegnato ad amare la vita perché l’amavo già prima»; questo ci resta di Haring, pura energia e rara capacità di creare un contatto con chiunque abbia voglia di guardare con attenzione.

Curiosità

Amante della break dance e della musica Hip hop ed Electric boogie, pianificava le esposizioni e gli eventi in giro per gli Stati Uniti in modo da poter rientrare a New York al massimo al sabato mattina per poter andare in discoteca la sera stessa!

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