Greta, il cambiamento e la disoccupazione

Appurato che la sedicenne svedese è una grande, adesso focalizziamoci sul cambiamento, la crisi occupazionale e il clima

La toccherò leggera. 

Greta è una bambina con gli attributi. A prescindere da una serie di analisi approfondite, che la etichettano come oggetto di strumentalizzazione da parte della madre o di un imprenditore svedese (che a quanto pare su Greta ci ha campato sfruttandola per fare fundraising per la sua startup, che caso vuole si chiama “non abbiamo più tempo”), stare lì mesi con un cartello al freddo e al gelo a protestare contro il cambiamento climatico implica perseveranza. 

Venerdì milioni di studenti si sono ritrovati in tutto il mondo per protestare contro il cambiamento climatico. Per la precisione protestavano contro i politici, gli uomini di affari, i burocrati che non fanno nulla per cambiare il clima. 

A onor del vero una piccola cosa è successa (di per sé una inezia, ma rilevante per chi vuole seriamente considerare il clima): a prescindere da Greta, il consiglio dell’Onu, riunitosi per discutere i sistemi di modifica climatica (generalmente conosciuti come geo-ingegneria,), ha bocciato una proposta radicale per autorizzare sistemi di raffreddamento estremi.

Bene inteso: qui Greta non “c’entra una mazza”. C’è un approccio importante, supportato da molti scienziati che, pare, abbiano rifiutato una soluzione di geo-ingegneria piuttosto violenta per raffreddare il clima. Una soluzione che conteneva una serie di pratiche radicali (di stampo corporativo) per raffreddare il clima. 

Di per sé un successo: un conto è la strategia cinese o africana delle cinture verdi con alberi (magari un poco OGM), un conto sono soluzioni da aerosol per rifrangere i raggi solari (di cui si ignorano gli effetti a lungo termine) o seminare i mari di ferro.

Torniamo a noi. Appurato che Greta è una grande, adesso focalizziamoci sul cambiamento, la crisi occupazionale e il clima. 

Nello stesso giorno in cui i giovani adepti di Greta marciavano fieri a Roma, una seconda protesta (più dimessa e oscurata da quella dei giovani) calpestava gli antichi selciati della capitale. Era la protesta dei lavoratori e delle aziende associate ad Ance (Associazione nazionale costruttori edili) che chiedevano una soluzione per il “blocca cantieri”: un approccio chiesto al governo per sbloccare molti cantieri aperti o in apertura e dare il là a una serie di progetti (grandi e piccoli) rilevanti per l’Italia, ed egualmente rilevanti per le aziende associate ad Ance e l’intera filiera. 

Inutile a dirsi che nella filiera di Ance ci siano i maggiori produttori di cemento. Non è un segreto che in Italia per costruire il cemento serve. 

Ed è qui che mi sarebbe piaciuto che avesse luogo, per caso o per volere delle parti, un incontro tra i giovani che inneggiavano a un cambiamento (lecita richiesta che io supporto sia ben chiaro) e l’intera filiera delle costruzione che ecologicamente parlando, sono rimasti al Medioevo. 

L’industria del cemento (per estensione delle costruzioni tradizionali), come riporta un’analisi del Guardian di qualche giorno fa, è una delle maggiori produttrici di Co2 nel mondo. Ovviamente l’industria del cemento non ha preso bene la posizione del Guardian (di fatto si sono presi dei super inquinatori peggio che le compagnie petrolifere) e han risposto con moderata enfasi

Tutti convengono che il cambiamento climatico sarà una botta per l’intero mondo. Tutti convengono che ci siano soldi da fare per la finanza verde (ovviamente per salvare il pianeta, non per fare soldi fine a se stessi), ma quello su cui nessuno pare convenire o dibattere è come gestire questo cambiamento. 

E la protesta di Ance (giusta o sbagliata non lo discuto) dimostra che se si bloccassero oggi, come chiesto dai giovani adepti di Greta, tutte le operazioni inquinanti ci sarebbero milioni di posti di lavoro bruciati. La teoria verde dice che ci saranno milioni di posti di lavoro dall’industria verde. Verissimo, nessuno vieta che se si vuole costruire una pala eolica o un campo solare si debbano assumere persone. Tuttavia mi domando quante delle persone esodate (dire licenziate fa brutto) dalle aziende di Ance avranno la possibilità di ricollocarsi (magari prima riformarsi) per entrare nell’industria verde. 

Ora: Greta è una ragazzina adorabile, con altre (l’ultima eroina appena mappata dai zelanti media “politicamente corretti, sta in Turchia e ha 11 anni, di questo passo tra poco arriveremo ai bebè con il cartellino verde al posto del ciuccio!) sta affrontando uno scenario di cui ignora molti aspetti. Ma va benissimo. Il problema è che la sua visione, sventagliata e strumentalizzata subito da un certo mondo di globalisti e finanza verde, imporrà una serie di cambiamenti. Chi pagherà i cambiamenti? I cittadini tramite le tasse. 

Il resto, come si dice, è noia. 

@enricoverga

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