Disabilità: usciamo dai luoghi comuni?

Inquadrare la disabilità per quello che è veramente è un percorso utile per tutti noi, anche per uscire da questa impasse singolarmente e collettivamente. Per questo abbiamo intervistato Alessandro Ossola, presidente di Bionic People.

Dobbiamo creare veramente i presupposti per arrivare a una società, mondo del lavoro in primis, sostenibile e inclusiva, in tutti i sensi. Su questo stiamo lavorando da anni come Manageritalia e Prioritalia, coinvolgendo direttamente i manager, che anche in una recente indagine hanno affermato che includere la disabilità e farla diventare quello che è, una faccia della realtà, porta vantaggi per tutti. 

Abbiamo raccolto la testimonianza di Alessandro Ossola, presidente di Bionic People, un’associazione composta da persone con diverse tipologie di disabilità che hanno deciso di mettersi in gioco e raccontarsi per far cambiare l’opinione di molti sulla disabilità. Una storia toccante e affascinante. A lui la parola.

Come e perché lei ha incontrato la disabilità, purtroppo vivendola di persona?
«Ho conosciuto la disabilità nell’agosto del 2015, a seguito di un incidente in moto che ha portato via mia moglie e la mia gamba sinistra. Sono stati sicuramente i momenti più duri e più difficili da affrontare della mia vita, mi sono trovato davanti a un bivio: vivere o non vivere. La terza scelta non c’era».

Nell’immediato, come ha reagito?
«Dopo un primo periodo molto duro dove non vedevo la luce nella mia vita ho deciso di reagire. Mi ha dato una forte motivazione vedere mio padre in ospedale con le lacrime agli occhi. Mio padre per me è un po’ come un supereroe. Già da bambino è sempre stato presente e positivo, una roccia, direi, e vederlo così giù mi ha dato l’input per reagire e tirarmi su».

E cosa ne pensava prima e cosa ne pensa adesso?
«Sono sempre stato molto rispettoso nei confronti della disabilità, ho spesso cercato di mettermi nei panni di chi la viveva ogni giorno, ma sicuramente dopo l’incidente ho capito che oltre rispettarla si può fare qualcosa in più, si può dare una mano concreta per migliorare la vita delle persone o comunque sensibilizzare il più possibile al riguardo».

Quindi come si è reinventato una vita e tutto il resto?
«Ho deciso di vivere perché la vita è un dono, ho riflettuto su quanto è importante trasmettere la forza di reazione che ho trovato io ad altri (disabili e non) perché spesso ci si trova da soli in questo percorso di reazione e grazie a degli storytelling mirati si possono aiutare davvero tante persone a riprendere la propria vita in mano».

Penso sappia che da anni Manageritalia, anche attraverso Prioritalia, promuove l’inclusione della disabilità nel mondo del lavoro. Cosa pensa e cosa possiamo fare di più?
«Penso che sia stato fatto un ottimo lavoro perché la condivisione e l’informazione è alla base di ogni vero cambiamento, soprattutto in ambito sociale. Ovviamente tanto è stato fatto e tanto c’è da fare, per migliorare ancora si potrebbe creare un database a livello italiano dal quale ogni manager d’azienda può attingere per trovare risorse con disabilità in un’ottica di inclusione e magari con una ricerca più mirata con approfondimenti sulle skills e le soft skills delle persone».

Anche i dirigenti in un’indagine ci hanno detto che avere disabili al lavoro fa bene a tutta l’azienda, obbligando a cambiare organizzazione e ottica a vantaggio di tutti. Un buon punto di partenza, vero?
«Sicuramente sì, la diversità spesso può essere una fonte di arricchimento, analizzando le situazioni da più punti di vista e con un atteggiamento critico ma costruttivo si può crescere e migliorare a tutti i livelli aziendali».

Quali sono gli obiettivi della vostra associazione?
«L’obiettivo di Bionic People è cambiare l’idea che molti hanno sulla disabilità, su cosa si può e non si può fare a seguito di un incidente di percorso nella propria vita. Vogliamo dare la forza di reagire alle persone che ci ascoltano».

Come operate e su quali fronti?
«Tramite i nostri testimonial, grazie alle loro storie e al metodo di reazione che abbiamo sviluppato, siamo partiti dal terreno più facile, le scuole, incontrando studenti dalle elementari alle università per cambiare l’idea che spesso si ha in merito alla disabilità. Con la pandemia ovviamente è diventato tutto più difficile, ma crescendo come numero di testimonial (ora siamo a 37 in 14 regioni) ci siamo rivolti anche al mondo business, incontrando realtà multinazionali come IBM, AIG, Zurich, Alstom ed effettuando speech e percorsi D&I mirati».

Avete tanto da insegnare anche alle aziende e alle persone “normali” che ci lavorano? E cosa?
«Fondamentalmente, un metodo di reazione che aiuti giorno dopo giorno a migliorare ogni aspetto della vita degli stakeholder, siano essi dipendenti o top manager, perché le nostre storie, alcune molto difficili, hanno degli insegnamenti semplici ma profondi, sono messaggi chiari e diretti al cuore delle persone che ascoltano».

Insomma, quanto e cosa serve per passare a valorizzare, al di là del buonismo, ma con realismo e concretezza, il valore assoluto della diversità e, nello specifico, della disabilità, alla quale dobbiamo anche cambiare nome o non nominarla affatto?
«Pensiamo che la disabilità sia un qualcosa di reale, esiste, c’è. Se non hai una gamba e porti una protesi di fatto hai una disabilità, ma questo non pregiudica nulla a livello produttivo e relazionale all’interno dell’azienda, anzi, può dare un forte valore aggiunto. Se noi per primi accettiamo e viviamo la nostra disabilità in maniera positiva sicuramente sarà più facile per gli altri essere davvero inclusivi. L’ascolto penso sia il fattore chiave, se ci si ascolta davvero si ha modo di costruire un futuro più positivo e dare valore reale alle persone, perché la risorsa più preziosa di ogni azienda sono proprio le persone».


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