Coronavirus: qui Sydney

Stiamo attraversando una crisi sanitaria mondiale: una vera e propria pandemia. Di fronte a un virus altamente contagioso e ancora oggetto di studio, i governi dei diversi paesi hanno adottato specifiche misure, dal lockdown totale ad altri interventi più soft, sempre in relazione alla curva del contagio. Manageritalia ha raccolto alcune testimonianze di suoi collaboratori, manager e professionisti che vivono all'estero in questo periodo. L'obiettivo? Offrire una fotografia di altre realtà e punti di vista, raccontando l'impatto del coronavirus sulla vita quotidiana di società diverse da quella italiana, condividendo esperienze, passi falsi e best practice. Iniziamo dall'Australia, dove si è trasferito il nostro collaboratore Davide Mura

Come sta affrontando l’Australia l’emergenza coronavirus? Negli ultimi mesi, due crisi hanno minacciato la stabilità del paese.


Prima quella dei bushfires, ovvero gli incendi che da sempre si verificano durante la stagione estiva, fisiologici e che intaccano le aree ricoperte da bush, una sorta di macchia mediteranea costituita da cespugli e piccoli arbusti (non stiamo parlando infatti di boschi e foreste): quest’anno, a causa di venti e siccità, hanno assunto dimensioni enormi colpendo soprattutto l’area di confine tra il New South Wales e lo stato di Victoria. La seconda crisi è stata quella delle alluvioni, legata alla prima perché la vegetazione carbonizzata non ha creato barriere naturali in molti villaggi dell’entroterra. 


Il 2020, insomma, non è iniziato nel migliore dei modi da queste parti (sto scrivendo da un sobborgo di Sydney). 


Di fronte a una nuova crisi senza precedenti, il governo di Canberra sta dimostrando sangue freddo. La popolazione sta tendenzialmente osservando le linee guida. 


Le scene di assalti ai supermercati durante i primi giorni dell’outbreak sono state subito stigmatizzate e giudicate assurde. Le catene di supermercati come Coles e Whoolworths si sono attrezzate per permettere alle persone anziane di fare la spesa per primi all’apertura (dalle 7 alle 8) e garantendo in fretta il rifornimento delle merci. 


Mentre scrivo, il lockdown totale non è stato ancora contemplato. Le persone sono invitate a lavorare da casa e a uscire solo per tre motivi: visite mediche, shopping di beni necessari e attività fisica in luoghi isolati (c’è molta enfasi sull’importanza dell’allenamento fisico). 


Il messaggio chiave, ripetuto in continuazione, è quello del social distancing: occorre tenere le debite distanze dalle persone. In un continente con poco più di 25 milioni di abitanti non è così difficile. Non c’è stata troppa enfasi sull’uso delle mascherine. 


La comunicazione colpisce: arriva puntuale e le “drama news” sono state subito contenute. Di fatto la televisione di stato ABC News è il canale privilegiato per avere aggiornamenti puntuali – la sezione “Coronavirus” sul sito è stata tenuta gratuita – e ascoltare le conferenze stampa quotidiane del premier Scott Morrison e di quelli dei singoli stati, a partire dai due principali, Gladys Berejiklian per il NSW e Daniel Andrews per Victoria, così come il sito australia.gov.au. Pubblicità a tema vengono trasmesse tra un programma e l’altro. 


Il paese ha chiuso rapidamente le frontiere e i 6 stati interni hanno fatto altrettanto. Tutti gli australiani di ritorno da viaggi overseas sono stati obbligati a rimanere in hotel predisposti per 14 giorni. Lo spazio e le strutture disponibili, anche sulle isole, facilitano il lavoro. 


Mentre scrivo il numero delle persone infettate è di 5.795 e hanno contratto il virus principalmente all’estero o attraverso contatti con persone provenienti da altri paesi. Pochi i decessi: 39 persone hanno perso la vita in tutto il continente (anziani e con altre patologie). 


La chiusura delle scuole è stato un argomento controverso e ambiguo: ufficialmente non sono state considerate luoghi a rischio, e dunque sono state mantenute aperte, ma di fatto è passato l’invito a tenere a casa i bambini, laddove possibile. 


Le canzoni dai balconi e le urla di incoraggiamento rivolte a medici, infermieri e soccorritori qui si vedono solo nei servizi televisivi sui paesi europei maggiormente colpiti dal virus, a cominciare dall’Italia. Nelle città australiane ci si limita a cambiare marciapiede quando si incrocia qualcuno e ci si sta avvicinando troppo. I bambini hanno imparato a starnutire e a tossire sulla parte interna del braccio. Un comportamento meno “latino” e più “british”, insomma (il legame tra Australia e UK è fortissimo e la regina Elisabetta invia spesso messaggi specifici allo stato prediletto del Commonwealth, puntualmente trasmessi a reti unificate). 


La crisi coronavirus ha avuto un pesante impatto economico e i primi a rimetterci sono tutti coloro che non sono né residenti né cittadini e che tradizionalmente lavorano nell’hospitality, primo settore colpito. Per tutti gli altri, il governo ha stanziato un maxi piano di sussidi immediatamente disponibili e lievitato negli ultimi giorni. Per accedere ai sussidi occorre contattare un call center dedicato, ottenere un codice di riconoscimento e inoltrare una domanda online fornendo informazioni dettagliate sull’ex datore di lavoro. Nonostante l’attesa al telefono, la procedura è piuttosto semplice. 


Perdere un lavoro per un australiano è in genere molto più grave rispetto a un italiano: non esiste l’attitudine al risparmio e pochi sono proprietari di una casa. Se devi pagare un affitto e non hai soldi sul conto corrente la situazione si fa seria. 


Il tema del mental health ricorre spesso: psicologi e counsellor sovvenzionati dallo stato offrono sostegno gratuito. 


Università e college hanno chiuso i battenti continuando però a impartire lezioni online. 


Caffè e ristoranti sono ancora aperti, ma solo per il take away. Cinema, teatri, palestre e tutti i luoghi di culto delle molte religioni professate hanno esposto il cartello “sorry, we are closed”. 


Treni e stazioni si sono svuotate. I commuters del mattino sono chiusi in casa a telelavorare. 


Le spiagge più famose, come Bondi, sono off-limits. 


Gli eventi e le celebrazioni pubbliche, come l’Anzac Day, sono stati posticipati. 


Il messaggio finale è che l’economia australiana non intende fermarsi e che durante una crisi che potrebbe durare fino a 6 mesi, il paese, con le dovute misure, ha la possibilità e il dovere di andare avanti.

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