Coronavirus: qui Berlino

Stiamo attraversando una pandemia. Di fronte a un virus altamente contagioso e ancora oggetto di studio, i governi dei diversi paesi hanno adottato specifiche misure, dal lockdown totale ad altri interventi più soft, sempre in relazione alla curva del contagio. Manageritalia ha raccolto alcune testimonianze di suoi collaboratori, manager e professionisti che vivono all’estero in questo periodo. L'obiettivo? Offrire una fotografia di altre realtà e punti di vista, raccontando l'impatto del coronavirus sulla vita quotidiana di società diverse da quella italiana, condividendo esperienze, passi falsi e best practice. Oggi scopriamo come se la passano in Germania attraverso le parole di Giorgia, una giovane che vive nella capitale da 8 anni e lavora come programmatrice informatica.

Come sta affrontando la Germania l’emergenza coronavirus? Mi vorrei limitare a parlare di Berlino, perché, come tante capitali cosmopolite, si differenzia per attitudine dal resto della Germania. I suoi abitanti hanno una mentalità più aperta e certamente sono più predisposti a prendere “le cose un po’ come vengono” senza farne un grosso problema, probabilmente ereditando questo comportamento da ciò che hanno dovuto passare negli ultimi decenni di storia.
Qui a Berlino, quando è arrivata la notizia di questa emergenza, che poi è diventata pandemia, non è stata presa troppo sul serio dalla popolazione, anzi non era infrequente vedere deridere chi, con animo più serio, cominciava a chiedersi se fosse il caso di comprarsi una mascherina.

La cosa forse più triste è stata la non considerazione delle preoccupazioni manifestate da noi expat, in particolare italiani (quelli più colpiti all’inizio), che, quotidianamente in contatto con i nostri familiari in patria, ci rendevamo conto della gravità della situazione a cui nessuno sembrava credere. Io in particolare ho applicato da subito i comportamenti che i miei familiari da Milano mi suggerivano (mantenere la distanza, lavare le mani, evitare luoghi affollati…), ma accanto a me i miei amici tedeschi reagivano alla prime misure di contenimento, come la chiusura delle discoteche, organizzando party affollati nelle case, a cui naturalmente non partecipavo, cercando di spiegare la gravità della situazione.

Quando, poi, in Italia la situazione è diventata estremamente grave, e a seguire in altri Paesi europei vicini come Spagna, Austria e Francia, si è cominciato a cancellare eventi con partecipazione superiore alle mille persone, chiudere scuole, parchi giochi, organizzarsi per lo smart working e chiudere ristoranti che non garantiscono il metro e mezzo di distanza: tutte misure prese repentinamente, una in seguito all’altra nel giro di circa 5 giorni. Finalmente la gente sembrava aver preso più coscienza della gravità della situazione. Anche le organizzazioni più piccole (gruppi di volontariato, meet ups, …) si sono organizzate per offrire i propri servizi online e nel giro di una settimana si era in grado di proseguire virtualmente quasi tutti i soliti impegni settimanali, dalla birra con gli amici al corso di lingua straniera.

Le indicazioni ufficiali del Governo non erano però molto chiare e parecchi bar, ristoranti e altre attività aperte al pubblico hanno preso l’iniziativa di chiudere. Si sono creati diversi siti online di supporto alla popolazione, dalle liste dei ristoranti che offrono home delivery a pagine social per donare e supportare le piccole attività locali che stanno soffrendo maggiormente dal punto di vista economico. Le strade si svuotavano e i mezzi pubblici si dimezzavano, anche se ancora in molti continuavano a ritenere si trattasse “solo di un raffreddore più forte”. I media parlavano quotidianamente dell’emergenza coronavirus, ma focalizzandosi principalmente su altri Paesi e dando piccoli consigli pratici su come proteggersi, dal lavare le mani allo starnutire nell’avambraccio.

Intanto nelle regioni di Nordrhein-Westfalen e in Bayer il numero di contagiati cominciava a salire velocemente e la Baviera ha deciso di passare a lockdown, chiudendo ristoranti, bar e suggerendo fortemente di rimanere a casa. A quel punto, il governo ha deciso per tutta la Germania il veto di aggregazione superiore alle due persone, fatta eccezione per le famiglie (significa che puoi uscire e incontrare una persona al massimo se non vive nella tua casa, se invece vivete in 7 nella stessa casa, perché familiari, potete tranquillamente uscire tutti insieme).  
Questa può sembrare una regola un po’ insolita, ma qui sta funzionando bene poiché, expat esclusi, già normalmente i tedeschi tendono a uscire in piccoli gruppi di 3, 4 persone al massimo e non certamente in 8 o più persone come è abitudine in Italia.

Essendo anche un popolo abbastanza riservato viene già naturale per loro mantenere una certa distanza interpersonale, ovunque sia permesso. Infatti qui a Berlino non si sono alzate grandi polemiche riguardo questa regola; piuttosto, quel che ha fatto più discutere è stata la controversa immagine di famiglia tradizionale che è stata utilizzata come riferimento! 

Ora si può uscire solo per i pochi motivi elencati nel sito ufficiale della regione come fare sport, comprare beni di prima necessità, andare dal medico o andare al lavoro. I media hanno finalmente cominciato ad incalzare di più con il messaggio “State a casa” ed evidenziare come bisogna evitare il più possibile i contatti sociali. Il messaggio che viene trasmesso, però, è che non siamo in lockdown e che la possibilità di muoversi è vitale per la salute mentale!

Più passano i giorni, più nuove misure di prevenzione vengono messe in atto. I parchi giochi e le aree di allenamento all’aperto sono chiusi da nastri e tappezzate di divieti, i supermercati hanno indicazioni e strisce a terra che suggeriscono il metro e mezzo di distanza, i ristoranti sono aperti solo per delivery. Si vedono molte più auto della polizia in giro e i poliziotti cominciano ad andare anche nei parchi e nelle aree verdi a rimproverare, più in maniera paterna che con forza, chi esce a godersi il primo sole. Generalmente le persone stanno rispondendo bene alle regole e lentamente si sta comprendendo la vera gravità della pandemia. In giro si trovano, specialmente nelle aree verdi, sempre più cartelli con messaggi ironici, o anche meno ironici, per “sgridare” la gente che resta in giro a gozzovigliare.

Va detto che i tedeschi tendono poco ad affrontare le controversie sociali di persona: se c’è una minima disputa o se si nota che una persona non rispetta una norma anche molto semplice (come fare rumore in casa in orario di riposo), è normalissimo contattare la polizia, invece che risolvere semplicemente facendo notare la cosa all’interessato. Ora però questo comportamento non aiuta e la polizia si sta trovando sovraccaricata di chiamate di chi, per esempio, vede un passante incontrare un amico e abbracciarlo. In giro si trovano alcuni cartelli, ironici e non, dove si spiega come affrontare questa emergenza in maniera civile, invitando a non chiamare il 110 quando si vede qualcuno che non rispetta le regole o invitando a non spiare il vicino che ha starnutito troppe volte aspettando il momento che esca di casa per chiamare la polizia, ma piuttosto a pensare che magari queste persone hanno un motivo valido per agire in quel modo e provare quindi a comunicare con loro (ma a distanza!).

Berlino ha elargito fino a cinquemila euro ai liberi professionisti per i guadagni mancati; simili supporti sono garantiti per i lavori part-time e minijob (lavori al di sotto delle 20 ore a settimana), facilmente ottenibili compilando un semplice form. Acqua e luce non vengono “tagliate” se le bollette non vengono pagate e se non si ha la possibilità di pagare l’affitto si può compilare un form da mandare al proprio proprietario di casa.

Insomma, dopo le prime giornate di allarmismo dove qualche supermercato è stato preso d’assalto, l’emergenza qui non sembra ancora esser scoppiata. A parte qualche piccola modifica nella propria quotidianità, come andare a correre fuori invece che in palestra o recarsi a un supermercato più distante, non molto sembra essere cambiato rispetto alla vita di tutti i giorni.

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