Amore e dolore 2.0

Dai fatti di cronaca alle relazioni virtuali, fino alle nuove dipendenze: come stanno cambiando il digitale e i social network i rapporti umani, la psiche e l’affettività? Dove occorre intervenire? Ne parliamo con Paolo Crepet, psichiatra e sociologo

Paolo Crepet torna in libreria con un saggio dal titolo Baciami senza rete, una riflessione nata dopo anni di studio sulle nuove tecnologie e il loro impatto sulla nostra società, insieme alle esperienze dirette con i suoi pazienti. La pervasività del mondo digitale è sempre più preoccupante e ha conseguenze sulle relazioni umane e sui sentimenti, liquidi e anestetizzati. 

La cronaca ci presenta molto spesso episodi drammatici, come quello di Tiziana Cantone o le violenze filmate e diffuse in rete, in cui i social e il web sembrano avere un ruolo oscuro. Internet può essere una cassa di risonanza di una società sempre più cinica e voyeuristica?
Più che cassa di risonanza direi cinghia di trasmissione. Internet non crea dei fenomeni che non ci sono. Li fa semplicemente apparire. Io lei e chiunque altro fino a vent’anni fa, per quanto potessimo coltivare relazioni sociali, conoscevamo una pochissima porzione del mondo e quindi il giudizio sulle persone e sul mondo era molto limitato. Ora internet fa sì che tutto sia visibile: chiunque può apparire, chiunque può scrivere. Questo per chi ha inventato internet e vende internet viene scambiata come una grande libertà e opportunità. Io non voglio affermare che non sia vero, sto semplicemente aggiungendo a questa considerazione una serie di evidenti effetti collaterali, tra cui quello più ridondante, ovvero quello sulla libertà.

Quali sono le nuove patologie psichiatriche che hanno secondo lei un legame stretto con i social network? Lei parla dell’ansia da doppia v di Whatsapp. Qual è la cura migliore? È necessario disintossicarsi?
Naturalmente dipende dal livello a cui si è arrivati, come con l’eroina. È evidente che si è arrivati ad essere connessi 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno non credo che sia compito mio spiegare ai genitori e agli insegnanti che questa è una linea che è già molto oltrepassata e che sviluppa già degli effetti collaterali molto invadenti.

Esiste un problema di educazione alla rete? Chi dovrebbe farsene carico?
Esiste un problema di educazione come in tutte le cose. Internet a maggior ragione. Se ne devono fare carico gli adulti, nei confronti di loro stessi prima e verso i giovani poi, gli insegnanti, verso se stessi e verso le persone a cui si rivolgono. C’è un problema: se una volta al liceo lei prendeva 4 si dava per scontato che il professore di italiano che le aveva dato quel voto fosse una persona colta. Sulla base della sua cultura giudicava la sua non cultura. Se siamo tutti ignoranti, come facciamo a dare 4? Se lei ha un figlio e vuole dirgli di smetterla di smanettare con il suo smartphone e poi lei smanetta per sei ore in più, come fa a dirglielo? Viene meno quella cosa fondamentale che si chiama autorevolezza, in una società che l’ha già persa da tempo.

Il suo libro affronta il tema dei rapporti umani ai tempi di Facebook: come si sono trasformate le relazioni oggi in cui possono iniziare e concludersi rapidamente con un click?
Dire che l’eccesso di virtualità che ha invaso le nostre relazioni sociali e affettive sia un danno è banale perfino rilevarlo. Che a questo si aggiungano tutta una serie di aspetti, di maleducazione dei rapporti, nelle relazioni, per cui un amore nasce e finisce con un click e un controclick: anche questo la dice lunga sulle nostre mutevoli relazioni, che si stanno banalizzando. Il problema è proprio la banalizzazione. Perché vede, dentro l’amore c’è il dolore. Non si può togliere il dolore dall’amore, perché sennò diventa un sentimento qualsiasi. Il dolore non deve essere necessariamente atroce, però vuol dire il fatto che chi è innamorato ha paura di perdere la persona che ama, questa paura ha a che fare con il dolore. Questa è un aspetto formidabile, perché rende l’amore un sentimento straordinario. Se lei toglie il dolore, rende l’amore una sorta di prêt-à-porter facilissimo ed è la fine.

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