Americani, studiate all’estero

Quando si parla di fuga dei cervelli si tende a credere che gli Stati Uniti siano la destinazione ideale per tutti i giovani che desiderano costruirsi un futuro, ostacolato nel paese di origine, visto come poco meritocratico, a cominciare dall’Italia. L’idea delle scuole e delle università statunitensi come il non plus ultra per un giovane italiano o europeo è ben radicata, ma dal punto di vista americano la concezione degli USA come il centro del mondo può avere dei forti limiti.

Meno del 40 percento dei cittadini statunitensi hanno un passaporto e non va meglio per altre nazioni anglofone, come l’Australia (50%), il Canada (più del 60%) e la Nuova Zelanda (75%), fatta eccezione per il Regno Unito, geograficamente più vicino ad altri paesi e dove ben l’80% dei cittadini hanno un passaporto.

Solamente 304mila studenti statunitensi hanno avuto esperienze di studio all’estero durante l’anno accademico 2013-2014. Qual è il profilo dell’americano che sceglie un percorso di studio in un altro paese? Donna, di etnia bianca e di ceto sociale elevato, indirizzata verso studi umanistici, scienze sociali o management, a scapito delle facoltà scientifiche, matematiche e informatiche. Una gran fetta di popolazione sembra dunque estranea a esperienze di questo tipo e tutto ciò rappresenta un impoverimento culturale notevole per gli Stati Uniti, con ripercussioni anche per lo sviluppo della carriera e per l’aumento delle retribuzioni.

Alcuni passi avanti per contrastare questa tendenza si stanno facendo, a cominciare dagli interventi governativi e dal dispiegamento di fondi per incoraggiare gli studi oltreoceano dei giovani americani compiuti sotto la presidenza Obama, attraverso programmi di scambi sponsorizzati da scuole superiori e college.

L’obiettivo sembra essere ambizioso: nell’arco di un decennio almeno un terzo di tutti gli studenti statunitensi dovrebbero avere accesso, senza disagi finanziari, a programmi di studio all’estero, da poche settimane fino a un anno, privilegiando periodi lunghi.

Sanford J. Ungar ha pubblicato su Foreign Affairs un interessante articolo su questo tema, dove si evidenziano i benefici prodotti da un’esperienza di studio all’estero accompagnata dalla conoscenza di una lingua straniera, a cominciare da una visione della società differente: assetto urbano, trasporti, campagne di alfabetizzazione, eventi culturali accessibili per le masse, cura per le generazioni più anziane e così via.

 

 

 

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