Alessandro Locatelli: lasciate ogni speranza, voi che taggate

Alessandro Locatelli è autore del romanzo Lasciate ogni speranza, voi che taggate, un'originale rivisitazione in chiave 2.0 dell'Inferno di Dante. Con lui parliamo di web, personal reputation e strategie di comunicazione online.

È giovanissimo Alessandro Locatelli e di lavoro fa il social media specialist per una web agency: detto altrimenti, lavora con Facebook & co, gestisce pagine virtuali, community e imposta piani di comunicazione digitale.

La passione per la letteratura, unita alla conoscenza di questi grandi incubatori di informazioni e contenuti, lo ha portato a scrivere un romanzo pubblicato da Rizzoli che ha come fonte di ispirazione il capolavoro di Dante, rielaborato però in versione digitale. Con una guida d’eccezione, Mark Zuckerberg, il protagonista Francesco si smarrisce fuori da scuola e viene accompagnato in un mondo chiassoso, popolato da anime dannate e pene, dove tra password e mostri si scontano la vanità, l’esibizionismo, la fame smisurata di “like”, il tradimento, la calunnia e la violenza. Anche se, al termine del viaggio, quello che appariva un incubo ha in sé elementi di redenzione e che fanno ben sperare.


Il mondo dei social è un inferno dove tutti sembrano prima o poi macchiarsi di qualche peccato?
Il mondo del web è una sorta di gigantesca giungla. Per sopravvive re basta un po’ di buonsenso e capacità critica. L’errore che fanno molte persone è di scollegare il cervello quando si collegano a internet. Spesso succede che si consideri come verità assoluta ciò che si legge online, da qui nasce il proliferare delle varie bufale che quotidianamente invadono le newsfeed di qualsiasi persona che abbia un social network.
Occorre tenere gli occhi aperti, perché ci sono molti lati nascosti del web e cascare in errore è facile e si possono pagare conseguenze spiacevoli.


Molte persone decidono di stare alla larga dal web 2.0: cosa vuoi dire ai diffidenti e a chi lo snobba?


La frangia dei conservatori è sempre esistita. Un tempo c’era chi disprezzava i cellulari, oggi tutti ne hanno uno. Di fronte alle novità tecnologiche c’è sempre qualcuno che si oppone, ma le giovani generazioni, così come i quarantenni, sono di fatto già online in qualche modo. Dunque si tratta di una questione di tempo: prima o poi tutti ci entreranno.


Il successo di certi contenuti o post, se misurato in termini di visualizzazioni e condivisioni, lascia un po’ perplessi: per diventare virali ed emergere nel mare magnum occorre essere un po’ demenziali o aggressivi?


Questa è una delle cose che più odio dei social network: non si contano le web star, persone che producono video più o meno stupidi, tra parodie e trash, con l’obiettivo di stupire il pubblico. Oggi i contenuti si sono moltiplicati, ma si notano somiglianze e repliche: una volta il loro numero era inferiore ma c’era più qualità e talento. Basti pensare all’invasione di youtuber, che fanno tutti le stesse cose alla stessa maniera, cavalcando i soliti cliché. La viralità resta qualcosa di misterioso, perché non esiste una formula scientifica con step determinati. Quando crei una campagna per un cliente non conosci i risultati che
raggiungerai, ci sono però fasi da seguire, a grandi linee, per far condividere un contenuto: che deve essere prima di tutto attuale, sul pezzo, come fa ad esempio Ceres.


Le aziende hanno un rapporto ambivalente verso questi nuovi mezzi di comunicazione: da un lato c’è interesse e la consapevolezza che non si possono ignorare, dall’altro c’è difficoltà a comprendere il ritorno di un investimento economico e di risorse: chi, come e quando dovrebbe occuparsi di coordinare questi canali?


Molte aziende ancora non sono entrate in questo mondo e parecchie che già ci sono applicano le stesse logiche dei canali tradizionali. Ogni social network ha bisogno di contenuti diversi e quindi portarci un certo tipo di pubblicità – perché tale è quando si parla di un brand – in modo canonico, come in una campagna su tv o giornali, significa cadere in errore. È importante affidarsi a un’agenzia competente, ma è utile anche avere una figura interna all’azienda che sappia di cosa stiamo parlando: occorre sapere quando ci sono probabilità di successo e quando invece è meglio lasciar perdere. La presenza sui social è comunque imprescindibile e va diversificata, con la consapevolezza che ieri dominavano Netlog e Myspace, oggi Facebook, domani chissà.


Sei amministratore di diverse pagine Facebook e community di successo: che tipo di lavoro c’è dietro ai milioni di “mi piace” e follower?


Seguo i trend, consultando i tool oggi disponibili, come quelli offerti da Google. Ci sono pagine con un linguaggio più aggressivo e audace, altre meno, ma resta importante per avere successo ascoltare ciò di cui la gente già discute fuori dalla rete. Si parla non a caso di instant marketing.


Quanto conta oggi curare la propria reputazione online in modo consapevole e con costanza, anche per il lavoro e la carriera?


Molto, privilegiando i social più professionali. LinkedIn in questo senso è il social che più conta: non è altro che la versione attuale del classico curriculum ma offre in più la possibilità di dimostrare i risultati ottenuti attraverso la loro conferma da parte di altri professionisti, colleghi di lavoro o persone che hanno collaborato con te.

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