25 anni di The big Lebowski

L’inspiegabile ed irresistibile attrazione di un film culto per i manager di tutto il mondo

Senza lasciare alcuno spazio al caso, il prossimo primo Maggio ricorrono i 25 anni dall’uscita del film che, dopo l’Oscar dei fratelli Coen per Fargo, si rivelò un flop al botteghino, ma nel tempo divenne un vero e proprio cult, una specie di Rocky Horror Picture Show del nuovo secolo.

Negli ultimi decenni, i fanatici del Dude (mal tradotto Drugo in italiano), interpretato da uno straordinario Jeff Bridges, hanno creato un vero e proprio movimento underground che si riunisce periodicamente per delle kermesse in costume chiamate Lebowskifest in svariate piste da bowling per il territorio americano. Jeff Bridges ha pubblicato un libro con un maestro zen sulle lezioni di vita che si possono trarre dal film e, addirittura, è stata coniata la religione del Dudeismo, la religione che “cresce meno rapidamente al mondo”.

Per chi non conoscesse il film, il Dude è un ex sessantottino che ora vive al margine della società in un appartamento modesto a Los Angeles, apprezzando i piccoli piaceri della vita e, soprattutto, giocando a bowling con i suoi altrettanto bizzarri amici (interpretati da due straordinari John Goodman e Steve Buscemi). Il protagonista viene coinvolto in modo rocambolesco in un’improbabile storia di crimine nero, nella quale si addentra con curiosità ed incompetenza, accentuando per tutto il film il senso di assurdità della vita e delle nostre preoccupazioni che ci assillano quotidianamente.

Chi ha avuto la pazienza di leggere fino qui si chiederà perplesso cosa c’entra questo personaggio con la categoria dei manager del terziario italiano.

Me lo chiedo anche io, eppure la maggior parte delle volte che parlo del film con un collega che l’ha visto gli si accendono gli occhi, e si conviene che il film sia un trip straordinario che richiama qualcosa di profondo in tutti noi. Forse quella sensazione che ogni tanto, seppur raramente, proviamo mentre siamo tutti presi dalle nostre preoccupazioni e responsabilità, quella sensazione che forse a volte ci farebbe piacere vivere un’altra vita, che nel fondo tutte queste preoccupazioni non ce le siamo scelte e anzi ci sono state cucite addosso senza che ce ne accorgessimo e che forse le logiche del mondo non sono così cartesiane e razionali come ci siamo convinti, anzi realmente più ci fermiamo ad osservarle più sono assurde?

Chi in tutta sincerità non prova ogni tanto questa sensazione in pancia?

The Big Lebowski è un’evasione di due ore, una dichiarazione di indipendenza nei confronti di una cultura improntata sul successo e sull’immagine che forse non ci appartiene fino in fondo, un trip a termine in un’altra vita che non abbiamo scelto di percorrere

Potere rispondere all’affermazione: “Le sembra questo il modo di vestirsi in un giorno lavorativo?” con: “ah perché oggi che giorno è….?”

Oppure quando, interrogato dalla polizia sulla sua auto rubata nel quale ci sarebbe dovuta essere una valigia piena di soldi del quale non vuole rivelare il contenuto, vivere un dialogo di questo tipo:

“Cosa conteneva l’auto che le hanno rubato?”

“Niente, delle cassette musicali e una valigetta”

“Cosa conteneva la valigetta?”

“Documenti”

“Che tipo di documenti?”

“Documenti, solo documenti vari, documenti di lavoro”

“E che lavoro fa signor Lebowski?”

“Sono disoccupato.”

Nel fondo The Big Lebowski è un lamento della Generazione X, sempre più confusa rispetto ai valori di impegno incondizionato a vivere una vita sui binari che ci hanno posato le generazioni precedenti.

Se siamo associati Manageritalia significa che i binari sono solidi e belli dritti e, sicuramente, abbiamo fatto tutti tanta strada dalla stazione di partenza.

Ma ogni tanto anche ascoltare quella voce sommessa su un’altra vita che avremmo potuto vivere, indugiarvi per un paio d’ore non ci farà sicuramente deragliare, anzi, forse ci renderà più consapevoli di chi realmente siamo nel fondo, esseri complessi e, a volte, anche leggermente contraddittori.

Buon primo Maggio!

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