Networking: una competenza strategica

Un nuovo appuntamento del ciclo Friday’s Manager. Come costruire relazioni di successo: strategie e strumenti per potenziare la propria rete nel contesto professionale moderno
come fare networking

Venerdì 24 ottobre, dalle 12 alle 13, presso Manageritalia Emilia Romagna (Via A. Moro 64, Bologna e online sui canali social Manageritalia) un nuovo appuntamento del ciclo Friday’s Manager di XLabor, divisione di Manageritalia dedicata al mercato del lavoro: Manager e networking: come costruire relazioni di successo. CLICCA QUI PER REGISTRARTI

Nella ricollocazione professionale, oltre il 70% dei manager ottiene il ruolo successivo grazie al proprio network e alle relazioni costruite nel tempo: il capitale relazionale è oggi l’arma più potente che abbiamo per affrontare i cambiamenti professionali e prepararci alle sfide di un mercato in continua evoluzione. Ma come coltivarlo e renderlo davvero strategico?

Scopriremo insieme il metodo PCR, un framework pratico per lo sviluppo professionale che integra 3 competenze, trasformandole in leve concrete per affrontare cambiamenti e cogliere nuove opportunità.

Ne parleremo con Gabriele Sciulli, specialista di carriera, career coach ICF, fondatore di Power Career e autore di Relazioni di successo (Guerininext), a cui abbiamo posto alcune domande in vista del suo intervento.

Nel tuo libro e nei tuoi percorsi di coaching, parli spesso del potere del network. Perché oggi il capitale relazionale è così determinante nei momenti di transizione professionale?

«Oggi il mercato del lavoro è profondamente cambiato: emergere è sempre più complesso e un buon curriculum non basta più per fare la differenza. Secondo il World Economic Forum, il 39% delle competenze chiave richieste cambierà entro il 2030 e molte di quelle che possediamo oggi rischiano di diventare obsolete.

L’intelligenza artificiale ci supporta, è vero, ma allo stesso tempo rende rapidamente sostituibili le nostre competenze, soprattutto quelle tecniche: le hard skills aprono le porte, ma sono le soft skills, come comunicazione, empatia e capacità di leadership, a farci restare e farci crescere.

In questo contesto, il networking diventa una leva strategica. Non parlo degli “aperitivi di networking”, che vanno tanto di moda adesso, ma di una vera e propria competenza: saper costruire e coltivare relazioni autentiche e di valore. I dati lo confermano: oltre il 70% dei manager trova nuove opportunità grazie alla propria rete. Come scriveva Granovetter, già nel 1973 nel suo celebre saggio “The strength of weak ties”, la forza dei legami deboli resta oggi più attuale che mai, anche (e soprattutto) in un mondo dominato dalla tecnologia».

Hai ideato il metodo PCR: puoi raccontarci cosa significa questa sigla e come può aiutare concretamente un manager a riposizionarsi nel mercato del lavoro?

«Il metodo PCR nasce dalla mia esperienza nel settore HR, come trainer e coach Icf specializzato nello sviluppo di carriera: rappresenta l’intreccio di tre competenze chiave ben specifiche: Promozione, Comunicazione e Relazione. È un vero e proprio framework visivo che aiuta manager e professionisti a riposizionarsi nel mercato del lavoro, mantenendosi occupabili e attrattivi agli occhi delle aziende.

Come dico spesso anche nel libro, oggi ogni professionista svolge tre lavori: il proprio lavoro, il personal branding e il networking, come ci ricorda anche Jeffrey Gitomer. E, anzi, sono proprio queste ultime due dimensioni a garantirci continuità, crescita e una carriera sostenibile nel tempo.

Promuoversi nel modo giusto, comunicare con impatto e costruire relazioni autentiche non sono “abilità accessorie”, ma la benzina della nostra employability. Se non impariamo a gestire la nostra carriera con strategia e consapevolezza, rischiamo di sprecarla e una carriera sprecata, in fondo, equivale a una vita sprecata».

Quali sono gli errori più comuni che i manager commettono quando cercano di attivare o ricostruire il proprio network?

«Sfortunatamente, gli errori che i manager commettono quando cercano di riattivare o ricostruire il proprio network sono molti, ma alcuni sono davvero ricorrenti. Il primo è ricordarsi della propria rete solo quando serve, magari in un momento di emergenza professionale. È un approccio sbagliato, che spesso arriva troppo tardi. Il network, invece, va coltivato con costanza, sempre, soprattutto quando le cose vanno bene.

Un altro errore è confondere il networking con gli “aperitivi” o gli “eventi mondani”: in realtà, è una vera e propria competenza strategica, non un passatempo. Serve metodo, visione, preparazione, ed è proprio questo che mi ha spinto a scrivere il libro e a sviluppare i miei percorsi sul tema.

C’è poi la difficoltà, molto diffusa, di imparare a chiedere. Non c’è nulla di male nel farlo: se hai seminato relazioni autentiche nel tempo, la risposta arriverà spontaneamente.

Infine, come ci insegna Adam Grant nel celebre libro “Give and Take”, il networking va visto come un investimento nel medio-lungo periodo. Vince chi sa dare prima di ricevere, chi costruisce valore per gli altri senza aspettarsi un ritorno immediato. E ricordiamoci sempre: noi facciamo parte di un network, ma anche il network fa parte di noi e questo implica responsabilità, reciprocità e disponibilità».

In un mondo sempre più digitale, come si bilancia il networking online con quello “dal vivo”? Ci sono strumenti o piattaforme che consigli di usare in modo strategico?

«Giusta domanda, oggi il networking sta vivendo una nuova stagione. Dopo l’esperienza del Covid, stiamo riscoprendo il valore degli incontri dal vivo: guardarsi negli occhi, stringere una mano, condividere un momento reale, restano questi i modi più efficaci per creare fiducia e connessioni autentiche. Il networking “fisico” rimane quindi più proficuo, ma oggi va integrato con l’online in modo strategico.

Le piattaforme digitali, a partire da LinkedIn, ma anche community verticali o gruppi professionali, sono strumenti preziosi per attivare nuovi contatti, fare follow-up in modo rapido e mantenere vive le relazioni nel tempo, soprattutto quando si lavora o si vive lontano. L’ideale è far dialogare i due mondi: conoscere qualcuno online e poi passare quanto prima all’offline, o viceversa.

Nel mercato del lavoro attuale, il networking è strettamente legato al fenomeno del job referral, cioè la segnalazione di candidati da parte di persone già inserite in azienda. Oggi oltre il 30-40% delle nuove assunzioni avviene proprio tramite referral, perché le aziende si fidano delle relazioni e delle segnalazioni interne più che di un CV inviato a freddo. Secondo la rivista on line The HR Tech Weekly, un referral su 5 viene assunto, contro un candidato su 100, assunto dai canali di recruiting tradizionali

Ecco perché ribadisco che il networking è una vera competenza strategica: ti permette di farti trovare pronto, di arrivare prima al decision maker giusto e di cogliere le opportunità migliori quando si presentano».

Hai seguito centinaia di professionisti in percorsi di outplacement: c’è una storia che ti ha colpito particolarmente e che dimostra il valore delle relazioni nei momenti di cambiamento?

«Sì, tra le tante storie, mi torna in mente una che porto sempre con me, quella di Matteo. Lavorava in Emilia-Romagna come rappresentante commerciale in un’azienda tecnica e, come molti altri, si è trovato a dover uscire dopo una riorganizzazione aziendale. È stato un momento difficile, di incertezza e di smarrimento, ma anche un’occasione per ripartire.

Insieme abbiamo lavorato su tutti gli aspetti fondamentali di un percorso classico: curriculum, lettera di presentazione, personal branding e bilancio delle competenze. Ma ciò che ha fatto davvero la differenza è stato il network.

Matteo aveva mantenuto ottimi rapporti con i suoi ex colleghi e con alcune persone incontrate nel corso della sua carriera. Una di queste, venuta a sapere della sua situazione, lo ha segnalato internamente in un’altra azienda. Nel giro di pochi mesi è stato riassunto, con un ruolo simile ma in un contesto ancora più stimolante.

Questo dimostra che il network non è mai tempo perso: è il frutto di connessioni coltivate nel tempo. E spesso, è proprio trovarsi al posto giusto nel momento giusto, grazie alla propria rete, a fare la differenza tra restare fermi e ripartire».

Se dovessi dare un solo consiglio a un manager che oggi si sente “fermo” e non sa da dove ripartire, quale sarebbe?

«Può sembrare paradossale, ma anche se viviamo in un mondo complesso e incerto, oggi, intorno a noi, abbiamo molte più opportunità rispetto a cinquant’anni fa. Il segreto è non isolarsi: restare connessi è ciò che ci permette di non perdere queste opportunità, anche le più nascoste.

Il mio consiglio a un manager che si sente “fermo” è di ripartire dalle relazioni. Coltivare i legami forti, ovvero quelli con familiari e amici, perché ci danno supporto emotivo nei momenti difficili. Ma allo stesso tempo aprirsi ai legami deboli, come li definì Granovetter ovvero quei legami che ci connettono con mondi nuovi, idee diverse e occasioni che non troveremmo da soli.

E poi, non avere paura di chiedere: se hai seminato bene, la rete risponde. Restare curiosi, aggiornarsi, formarsi e frequentare ambienti nuovi sono le attitudini giuste per rimanere appetibili e attraenti agli occhi delle aziende.

Nel mio libro parlo di sette tipologie di network a cui ogni professionista dovrebbe appartenere: iniziare anche solo da uno di questi può essere il primo passo concreto per rimettersi in movimento».

FRIDAY’S MANAGER – Manager e networking: come costruire relazioni di successo.
24 ottobre, dalle 12 alle 13, presso Manageritalia Emilia Romagna (Via A. Moro 64, Bologna e online sui canali social Manageritalia)

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